Il Medium è il Messaggio


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Ho già utilizzato in commenti precedenti alcuni passaggi tratti dal libro di Piergiorgio Odifreddi, oggi ne voglio aggiungere un altro (un sunto della prima parte di un capitolo) perché trovo che si tratti di una lettura piacevole, frutto di una mente particolarmente acuta e permeata di profonda cultura;
Il tema di fondo del libro è un ipotetico dialogo con il Papa (quindi argomento di carattere religioso) ma, lo avrete notato, trattato in maniera particolare;
le parole che potrete leggere sono prodomiche di una riflessione finale che trovo molto interessante e sul quale è possibile, volendolo, anche aprire una discussione;
vi ricordo la mia laicità, il mio approccio contrario alla parte “umana” della religione (le varie “chiese”), al mio non “credere” ai dogmi vigenti (scelti tra molti scritti di oltre 2.000 anni fa per una popolazione di pastori ma assolutamente anacronistici oggi) e di conseguenza posso affermare di aver particolarmente apprezzato questa lettura …

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dal libro: CARO PAPA TI SCRIVO

Capitolo: I DUBBI DI UN CLOWN

“La Sua ‘Introduzione al Cristianesimo’ si apre con un sorprendente apologo di Soren Kierkegaard, che Lei riprende da ‘La città secolare’ del teologo Harvey Cox.

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La storiella narra di un circo itinerante danese, che viene colpito da un incendio.
Un clown, già truccato e vestito con gli abiti di scena, corre a chiedere aiuto in paese. Implora affannato gli abitanti affinché intervengano, e aiutino a spegnere le fiamme.
Ma essi ridono e non si muovono, credendo si tratti soltanto di un modo per farli accorrere allo spettacolo. Il clown si dispera, ma più urla e piange, più la gente ride e applaude la sua bravura.
Nel frattempo il fuoco, dopo aver distrutto il circo, si propaga attraverso i campi secchi e distrugge anche il villaggio.
La morale della storia è chiara e palese.

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Il clown è portatore di un messaggio tragico e veritiero, ma non viene creduto a causa del suo aspetto. Il trucco e gli abiti da scena dominano e prevalgono sulle sue parole, confermando l’intuizione di Marshall Mc Luhan (sociologo e filosofo ndr) che *il medium è il messaggio*.
Conclusione: poiché un clown fa ridere anche quando dice cose serie, per essere presi seriamente non bisogna vestirsi e comportarsi da clown. […]
Lei parla al proposito di *sconvolgente metafora*, e si domanda apertamente se sia sufficiente *che il clown cambi il suo costume da pagliaccio e si ripulisca la faccia, perché tutto sia pergettamente in ordine*.
Confesso che come inizio del Suo libro di commento alle verità enunciate nel Credo, questo mi ha spiazzato per due motivi.
Il primo è la fonte del suo apologo.
Con tutti gli accomodanti cattolici che poteva invocare, Lei opta per uno scomodo protestante.
Con tutti i testi apologetici a cui poteva rivolgersi, Lei ne sceglie uno che esalta la Chiesa dei fedeli a scapito di quella delle istituzioni.
674Con tutti i lavori accademici del professore di Harvard (Cox ndr) dai quali poteva attingere, Lei preferisce un suo best seller divulgativo da un milione di copie.
Il secondo motivo di spiazzamento è la scelta dell’apologo stesso.
E’ piuttosto da un anticlericale incallito che ci si attenderebbe di sentir apostrofare quali ‘clown e pagliacci’ i teologi e i preti, e presumibilmente ‘papagliaccio’ il papa. Non certo da un teologo prete che diventerà appunto papa, qui schermato solo velatamente dal doppio riferimento a Kierkegaard e Cox, e dal giudizio della ‘sconvolgente metafora’.
Si tratta di scelte significative, che rivelano un desiderio di rivolgersi non ai soli specialisti, ma a un vasto pubblico.
Non solo ai cattolici, ma ad altre denominazioni, cristiane e non. Non ai soli credenti, ma a coloro che guardano appunto alla Chiesa in particolare, e alla religione in generale, come fenomeni circensi di cui ridere e farsi beffe. Non ai soli lettori umanisti, adusi agli abusi metafisici, ma a quelli scientifici, che pretendono fatti invece che opinioni.
Queste scelte e questi desideri si configurano come espressioni di coraggio, oltre che come esibizioni di forza. Il coraggio e la forza di chi sa, o crede, di poter affrontare i problemi della fede attaccandoli fortemente di petto, invece che arroccandosi debolmente in difesa.

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Si riconosce in questo atteggiamento un segno di vigore progressista che la caratterizzava nella sua prima fase teologica. Una fase che un ex collega di quegli anni, il suo ‘alter ego’ Hans Kung, l’ha poi accusata di aver abiurato dopo il fatidico 1968, anno sia della contestazione che del suo libro. […]
Per cominciare il nostro dialogo, partiamo dunque dall’apologo in questione. Dietro alle mentite spoglie della parabola, esso presenta un’immagine non solo verosimile, ma veritiera: il fatto che nel mondo d’oggi il teologo e il prete appaiano veramente, a coloro che non condividono la loro fede, come pagliacci sia letterali che metaforici. […]
Lei si domanda se sarebbe sufficiente, per i preti, ripulirsi la faccia dal trucco e dimettere i vestiti di scena.

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Ovviamente no, ma certo aiuterebbe a veicolare la religione come un messaggio spirituale, più che come uno spettacolo viscerale.
Anche se, altrettanto ovviamente, la sobrietà scenica vi alienerebbe l’interesse del vostro pubblico.
Anzi, la vera domanda è se il cattolicesimo potrebbe sopravvivere senza lo spettacolo attraverso cui viene veicolato.
Il timore è infatti che, come per tante altre forme di comunicazione popolare, anche nella religione ‘il medium sia il messaggio’, come abbiamo già osservato a proposito del clown”.

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STATISTI ??? … magari …


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in questi giorni “molto particolari” per la nostra “Carta Costituente” volevo solo aggiungere (alle tante dette e sentite, a sproposito o meno) una mia considerazione …

può anche darsi che la Costituzione sia anzianotta ed in qualche punto vada “ammodernata” per stare al passo con i tempi, di sicuro Enti assolutamente inutili e dispendiosi come il Cnel vanno eliminati …

di certo però dobbiamo tenere in debita considerazione che la “azioni” presuppongono sempre degli “attori” … coloro cioè che le compiono e questa non è una cosa di secondaria importanza …

gli Italiani (in special modo quelli di una certa età ed esperienza), prima di schierarsi, dovrebbero valutare una semplicissima verità :

la Costituzione è stata redatta con il solo obiettivo del bene del Paese, senza alcun interesse di bottega,
è stata concertata e scritta nella maniera più comprensibile possibile anche agli Italiani non alfabetizzati,

è stata pensata da degli

STATISTI !!!

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da allora gli Statisti si sono progressivamente “estinti” (è la vita …) ma sono sempre stati rimpiazzati da politici prima e politicanti poi (servi di poteri forti ed in parte occulti) …

non possiamo permettere a dei ciarlatani (dalla morale, dall’etica e dalla fedina penale neppure troppo immacolate) di rovinare quanto di buono dei “grandi Uomini” hanno fatto !!!

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Non fatevi abbindolare dai media che non conoscono neppure il vero significato della parola

V E R I T A ‘

utilizzate il vostro cervello per pensare e fatevi aiutare dal vostro “cuore” …

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LA LORO DECRESCITA SONO LORO


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Uno degli argomenti che la gente non è ancora riuscita a mettere a fuoco, sembra incredibile, ma è la differenza tra la parola economia, che ha un etimo greco “oikos” e “nomos” (la cura della casa) e la parola finanza (flussi di denaro scambiati);

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eppure tutti dovrebbero ricordare che nel corso degli anni avranno usato o sentito dire “fare economia” nell’accezione di “risparmiare” e/o “far essere le uscite inferiori alle entrate” almeno un migliaio di volte: e questo non è per caso “la cura della casa” ? (se ampliamo il concetto di casa ?).
Il significato delle parole non è stato assegnato per sorteggio ma ha una sua ferrea logica che è stata stravolta in questo ultimo secolo anche con l’abuso di termini anglofoni che non hanno altro scopo che confondere le idee;
Jobs Act, Spread, Bail-in e solo per fare qualche esempio;

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per cercare di fare un po’ di chiarezza utilizzo come contributo, ancora il libro  BANCHIERI  che ha come sottotitolo: “storie del nuovo banditismo globale”.

Capitolo    LA LORO DECRESCITA SONO LORO

“Perché la crescita si è inceppata? Cherchez la banque. Uno studio recente dell’International Labour Organization (ILO), agenzia delle Nazioni Unite, getta una luce inquietante sugli effetti della finanziarizzazione.
E’ lei la causa principale dei due mali del nostro tempo: il peggioramento delle diseguaglianze sociali ed il rallentamento della crescita. Un filo lega le due patologie, ed è la riduzione della quota di reddito nazionale che va al lavoro.
In America (USA), nell’ultimo decennio la parte di reddito destinata ai lavoratori è scesa di ben 12 punti percentuali; il declino è ancora più sostanziale se il paragone viene fatto con il periodo che va dagli anni Cinquanta ai Settanta.

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Di questo calo del reddito di lavoro rispetto alla ‘torta’ complessiva, secondo lo studio dell’ILO il 36% è una conseguenza diretta della finanziarizzazione, il 19% deriva dalla globalizzazione, il 10% dal progresso tecnologico e un buon 25% da ‘fattori istituzionali’ (leggi: politiche fiscali e di bilancio).
La riduzione del reddito da lavoro sul totale nazionale rallenta considerevolmente la crescita, prché le toglie il suo carburante principale: il consumo dei lavoratori e del ceto medio, che è legato al loro potere d’acquisto.
La finanziarizzazione, in quanto arricchisce lo 0,1% della popolazione, genera una piramide distributiva nolto inefficiente.
Gli effetti della distribuzione sul dinamismo economico, sono noto da tempo.
Nelle società feudali o sotto il regno di Luigi XIV, la spesa voluttuaria e lussuosa delle élite non bastava come volano di crescita perché la platea dei consumatori era troppo ristretta.

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Quando Henry Ford, all’inizio del Novecento, decise di raddoppiare i salari dei suoi operai perché potessero acquistare il modello T, fece un’operazione non di di tipo ‘socialista’, ma semplicemente lungimirante: allargò il mercato di sbocco dei suoi prodotti.
Il crescendo della finanziarizzazione è implacabile: il settore bancario e dei servizi finanziari rappresentava il 2,8% del Pil americano nel 1950, salì al 4,9% nel 1980, per superare l’8% ai nostri giorni. Si è più che triplicato.

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Inoltre, fino agli anni Ottanta gli stipendi medi nel settore della finanza erano in linea con quelli delle altri industrie americane. Da allora sono schizzati verso la stratosfera: oggi chi lavora nella finanza guadagna il 70% in più degli altri a parità di livello. Con effetti negativi ‘a cascata’.
Ozgur Orhangazi, economista della Roosevelt University, ha dimostrato che più si investe nella finanziarizzazione, meno si investe nell’economia reale. E forse un caso (tra i pochi ndr) in cui la scienza economica non fa che convalidare il buon senso comune.
Accade sempre più spesso che in dotte analisi pubblicate su riviste scientifiche il mondo bancario venga etichettato con termini come ‘rendita parassitaria’. ‘sanguisuga che sottrae risorse all’economia’.
Lo sapevamo intuitivamente, fa piacere averne la conferma accademica”.

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La domande allora “sgorgano” spontanee:
ma allora perché cercano in tutti i modi, sempre, di salvare le banche ?
perché i manager che le hanno affossate vengono “premiati” con laute prebende e liquidazioni milionarie anziché pagare per i propri errori ?
perché hanno usurpato gli Stati dalla proprietà della moneta, stampandola a costo zero e “prestandola” (più interessi) agli stessi a valore nominale ?

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perché prestano a privati ed aziende denaro che non hanno e pretendono in restituzione (sempre più interessi) denaro “vero” ?

le risposte sono semplicissime, le cause lo sono altrettanto (dobbiamo ringraziare globalizzazione e capitalismo sfrenato) …

Il mondo è in potere dei parassiti e delle sanguisughe, e le banche sono il loro ‘braccio armato’.
Pensare che si auto disarmino e si sottopongano alle antiche leggi economiche, al servizio dei cittadini è pura utopia …

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Perle dal Web n° 356


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( tratta dalla pagina FB di  Realtà, inganno e manipolazione )

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“Tutti seguono schemi prestabiliti, con una velocità prestabilita, in modo predisposto. Perfino le reazioni sono prescritte: allegria, tolleranza, amabilità, ambizione e capacità di andare d’accordo con tutti senza attrito. Il divertimento è organizzato nello stesso modo, sebbene non con lo stesso sistema; i libri sono selezioni da biblioteche, i film dagli impresari, e gli slogans pubblicitari coniati da loro; il resto è pure uniforme; la gita domenicale in automobile, i programmi televisivi, le riunioni e i ricevimenti ufficiali. Dalla nascita alla morte, dal lunedì alla domenica, da mattina a sera, tutte le attività sono organizzate e prestabilite. Come potrebbe un essere umano prigioniero nella ragnatela della routine ricordarsi che è un umano, un individuo ben distinto, uno al quale è concessa un’unica occasione di vivere, con speranze e delusioni, dolori e timori, col desiderio di amare e il terrore della solitudine e del nulla?”

(Erich Fromm)

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la strana visione della realtà


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Ogni tanto inizio i miei commenti facendo riferimento a cose accadute oppure udite, teoricamente alla realtà (almeno si è portati a pensarlo) … ma siamo certi che sia questa la “realtà” ???
Non è piuttosto quella distorta tragicomica rappresentazione, una vera pantomima, della realtà propinataci tramite i media servitori ???

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Ed il risultato di tutto ciò lo potete vedere con i vostri occhi a partire proprio dai social che tutti noi frequentiamo che sono la rappresentazione plastica di un troppo grande (e crescente) numero di persone sempre meno pensanti autonomamente e sempre più dedite a mettere un “like” al pensiero altrui (ma qualunque esso sia, anche il più anonimo) … capacità critica ridotta quasi allo “zero” assoluto, capacità e volontà di informarsi, non se ne parla neppure … nonostante oggi i mezzi ci siano più che in passato;
Forse che la gente, non avendo idee proprie, si appoggia a idee altrui è di una tristezza disarmante e preoccupante (ma provoca anche rabbia);

per proseguire, in un certo senso, il discorso del mio commento precedente vi voglio proporre un contributo, a mio modo di vedere interessante;
sapete che la mia simpatia verso la “categoria professionale dei giornalisti” non è ai massimi ma in ogni caso io ho sempre pensato che se si trova un messaggio in una bottiglia sulla spiaggia non bisogna guardare la bottiglia ma leggere il messaggio 😉

per quanto state per leggere il mio commento è lapidario : “chapeau !”

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dal libro BANCHIERI
scritto dal giornalista Federico Rampini
Capitolo – SE IL CAPITALISMO FA AUTOCRITICA

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“C’è un nuovo guru i cui testi sono diventati un’ispirazione per Wall Street: è un tedesco barbuto, si chiama Karl Marx.

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A riscoprire l’autore del Capitale e del Manifesto, non arrivarono per primi gli indignati. Il revival di Marx era già iniziato altrove: ai piani alti di quegli stessi grattacieli di WS contro cui i manifestanti gridavano i loro slogan.
Michael Cembalest, capo della strategia d’investimento per la JP Morgan Chase, in una lettera riservata ai clienti VIP della sua banca scriveva nel 2011 che *i margini di profitto sono ai massimi storici da molti decenni e questo si spiega con la compressione dei salari*. Cembalest riecheggiava l’analisi di Marx sulle crisi di sovrapproduzione, provocata da un capitalismo che comprime il potere d’acquisto dei lavoratori. […]
La rivista economico-finanziaria ‘Bloomberg Businnessweek’ ha intitolato un reportage ‘Marx to Market, come la crisi ha reso le sue teorie rilevanti’. Citava un altro esperto di una grande banca, George Magnus della UBS, secondo il quale l’attuale livello di disoccupazione può essere descritto come ‘l’esercito industriale di riserva’ di Marx: un’arma in mano ai capitalisti per ricattare chi ha lavoro e comprimere i livelli retributivi.
Il capitalismo – sostiene BB – *ha cercato di ovviare alla depressione dei consumi con la finanza creativa e cioè offrendo all’esercito dei nuovi poveri un credito a buon mercato: ma lo scoppio delle bolla dei mutui subprime ha interrotto quell’illusione*. […]

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Come ai tempi della Grande Depressione, in mano al capitalismo sregolato e alla destra conservatrice, l’economia di mercato va verso l’autodistruzione.
In effetti, tra i capitalisti odierni si levano voci contro la finanziarizzazione.
Warren Buffett (uno degli uomini più ricchi al mondo ndr) ha definito i derivati ‘un’arma di distruzione di massa’, lui e Bill Gates fanno campagna per una tassazione più equa, che colpisca l’immensa elusione fiscale delle rendite finanziarie.
C’è qualcuno, in alto, che la pensa come Keynes e Roosvelt negli anni Trenta: l’economia di mercato si salva solo se crea un benessere diffuso, un potere d’acquisto ben distribuito. Le diseguaglianze non sono solo moralmente inique, sono anche inefficienti e pericolose, Perfino per i capitalisti.
In Italia qualcuno lo aveva capito tempo fa.
Non è un complimento dire che Adriano Olivetti fu ‘uno Steve Jobs italiano’.
Era molto meglio.
Per la cultura umanistica, per la sensibilità sociale, per l’attenzione ai diritti dei lavoratori.
Leggete questi interrogativi che si poneva Olivetti più di sessant’anni fa: *Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi fini, semplicemente nei profitti? O non vi è qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione?* […]

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Adriano Olivetti è un personaggio da riscoprire: di un’attualità sconcertante, capace di intuizioni avanzatissime.
Lui che fu un protagonista – controverso, incompreso – del primo boom industriale italiano, già vedeva un futuro post-industriale.
Negli anni Cinquanta, quando l’Italia era la Cina d’Europa, per il dinamismo, la velocità di crescita, ma anche lo sfruttamento , lui crea un’oasi di diritti sociali.
Riduce l’orario a parità di salario per arrivare alla settimana di cinque giorni. Garantisce alle lavoratrici nove mesi di congedo maternità col 100% di retribuzione e la parità salariale con gli uomini.
Finanzia un welfare aziendale, dalla scuola alla sanità. Ma avverte il pericolo che *queste istituzioni diventino strumento di paternalismo* se una azienda dovesse elargirle come *concessioni a carattere personale*, perché il suo sguardo si allarga oltre all’azienda.
*Vedevo che ogni problema di fabbrica diventava un problema esterno*.
Nasce così la sua idea di Comunità che renda la fabbrica e l’ambiente circostante economicamente solidali. E’ una sorta di localismo moderno, che vuole rifondare la democrazia dal basso, cominciando da un’unità ‘né troppo grande né troppo piccola, territorialmente definita, concreta’.
Capisce che lo Stato va rifondato un ingranaggio alla volta. *Era inutile e pericoloso occuparsi della politica nazionale se non si fossero compiute delle minori esperienze nella vita del comune e della provincia, se non si avesse compreso qual era il modo con cui lo Stato esplicava la sua autorità e le sue funzioni nella vita di tutti i giorni per i cittadini.
Partendo non già da un vasto e nebuloso programma teorico, ma da un esame circostanziato, sperimentale, ufficio per ufficio*. […]

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*C’è una crisi di civiltà, c’è una crisi sociale, c’è una crisi politica.
Come possiamo contribuire a costruire quel mondo migliore che anni terribili di desolazione, di tormenti, di disastri, di distruzione, di massacri chiedono all’intelletto e al cuore di tutti?*.

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Un uomo grande ma purtroppo ormai dimenticato, il cui enorme esempio è stato abbandonato colpevolmente da tutti coloro che avrebbero potuto seguirlo ma che, per meschinità ed egoismo personale, hanno preferito non farlo;

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La sua storia non è conosciuta da tanti perché certamente scomoda per tutti gli “altri” imprenditori di questo Paese (e non solo) ma che merita la massima diffusione, una storia che dimostra inconfutabilmente (come recita una “sua” frase) che “Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare. Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande”

Molto bella una descrizione dell’uomo e dell’imprenditore che si trova nel libro scritto da Valerio Ochetto “Adriano Olivetti – la biografia” che potete leggere qui

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Un amico (parlando di lui) mi ha detto un motivo per il quale questo grande Uomo (che ricordiamolo non fu “solo” un imprenditore ma anche un uomo di grande cultura) è stato dimenticato :
“Ecco, questo era un uomo che vedeva l’intero, un vero filosofo…
Hanno atteso, i vigliacchi, la sua morte per disfare interamente la tela che aveva tessuto con infinita pazienza e contro tutti, creando nei luoghi dove operava con le sue fabbriche, oasi che hanno permesso ai suoi operai, alle loro famiglie, ai collaboratori tutti, di emanciparsi, di vivere le loro vite con la certezza che il loro lavoro servisse alla costruzione di un paese moderno e consapevole.”

Un giudizio che condivido in pieno …

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Se voleste approfondire la conoscenza con la realtà di questa storia bella ma finita molto male (Ingegner Carlo De Benedetti docet) vi invito a vedere questo filmato (trasmesso in TV) : è la prima di 4 puntate molto “istruttive” …

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l’Imprenditore rivoluzionario e utopista

vi giuro … non ne posso proprio più !!!


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Anche oggi, l’ennesima ostentazione di pura demagogia da parte dei “soliti” politicanti in TV con lo squallidissimo avallo dei servilissimi “pseudo conduttori” (definiti “giornalisti” e qui Montanelli ed altri si staranno rivoltando nelle tombe) !!!
Anche oggi mi tocca sentir dire che questa “SCHIFORMA” farà risparmiare sui costi della politica … lo hanno scritto pure sulla (altrettanto squallida) scheda elettorale !!!
E con quale enfasi lo affermano, quasi alzando la voce !!!

La Ragioneria dello Stato (non io) ha quantificato in meno di 60 milioni mentre il governo dice 10 volte tanto ma quello che io continuo a domandarmi è perché li “lasciano parlare a vanvera” senza fare mai la più semplice domanda : “OK … e a quanto ammonterebbe il risparmio ?

E sapete perché questi servi si guardano bene di porre questa domanda ???

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Perché sarebbe come scrivere sulla scheda elettorale il quesito in questi termini :
“Approvate … etc etc … IL CONTENIMENTO DEI COSTI DI FUNZIONAMENTO DELLE ISTITUZIONI NELLA MISURA DI UN EURO ANNUO PER CITTADINO … etc etc”

E come risponderebbero i cittadini a tale domanda ???

Certo la Ragioneria potrebbe avere torto e ragione il governo, ma allora cambia tutto …

cesserà la crisi e non esisterà più povertà in questo ameno Paese perché ad ogni cittadino sarà garantita ogni anno una bella pizza con bibita …
mi raccomando però di non ordinarla troppo farcita … ce lo chiede l’Europa …

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Messaggio da Andromeda


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UN WEEKEND CON LO ZIO ALIENO

(E SUO MESSAGGIO DA ANDROMEDA)

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(tratto dalla pagina FB di   Diego Cugia di Sant’Orsola )

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Stephen Hawking, l’astrofisico minato dall’atrofia muscolare ma benedetto dal genio, ha rivelato che con cento miliardi di galassie è improbabile che l’uomo sia il solo essere intelligente dell’universo.
Ancora più improbabile che sia il più evoluto.
Perciò siamo molto imprudenti nel lanciare messaggi in bottiglia nelle stelle. «Quando Colombo sbarcò in America, le cose non sono più andate così bene per gli indigeni».
Gli alieni potrebbero colonizzarci o sterminarci o infettarci con un virus di cui non possediamo gli anticorpi.
Ma dico io con cento miliardi di galassie che se ne fa un alieno della Terra?
O si serve da una pessima agenzia di viaggi oppure la scelta denoterebbe la sua assoluta inferiorità mentale.
E se così fosse non potrebbe raggiungerci, starebbe acquattato come noi in un altro polveroso pianeta alla periferia dell’alta società universale.
Invece, se viaggia alla velocità della luce magari col turbo, sarà molto più intelligente di noi, allora perché dovrebbe farsi un weekend fra europei rimbambiti che innalzano maledetti muri?
O tra americani così malridotti da dover decidere fra una Clinton e un Trump?
Tuttavia sono cautamente ottimista rispetto a Stephen Hawking.
Più intelligente equivale ad avere una coscienza (non solo una conoscenza) più elevata della nostra.
Sarà una specie di guru delle stelle. Ma ecco qui casca l’asino (sempre io) perché associo una coscienza superiore al bene e una inferiore al male. E bene e male sono termini umani.
Gli alieni forse sono superuomini senza emozioni. In una passeggiata galattica potrebbero schiacciarci con la noncuranza con cui noi calpestiamo una coccinella ai giardinetti. Quindi ha ragione Hawking? Tiriamo una tenda nel cielo, stiamoci zitti per carità e non facciamoci notare?
Ma no, perché?
Fossimo santi capirei, ma considerato il male che già ci facciamo da soli, uno zio alieno in visita, fosse pure uno psicopatico cosmico, avrà comunque l’effetto ricreativo del “buon selvaggio”.
Certo, dovremmo prima salvarlo dai cannibali, come Robinson Crusoe fece con Venerdì, quindi non fargli mai mettere piede all’Onu, alla Bundesbank, in Parlamento, ma neppure alla sagra della porchetta, insomma in tutti quei posti dove “se magna”.
Dovremmo farlo passare di casa in casa benedicente come un prete a Pasqua, o seduti al caminetto ascoltarlo raccontare come lo zio d’America, dopo averci ridotto gli smartphone in cenere con un’occhiataccia laser, la bella vita che si fa lassù.

MESSAGGIO SU FACEBOOK TERRESTRE INVIATO DALLA STELLA MIRACH: Ciao, ti ho letto telepaticamente, mi chiamo Obizos, sono uno di Andromeda, e non avrei programmi nel prossimo weekend.
Posso anche farmi 2.357.000 anni luce per conoscerti, ma a una condizione.
Mi presenti quella in reggiseno nero che fa la pubblicità di Intimissimi?

MIA RISPOSTA SU FB DI ANDROMEDA: A zi’, ma ti pare che se la conoscevo stavo a parla’ con te?

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le Ragioni di un NO


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Ne L’UOMO IN RIVOLTA, pubblicato nel 1951 trova la sua più rigorosa formulazione teorica la riflessione di Albert Camus sull’idea – fondamentale – della rivoluzione, intesa come ricerca di equilibrio, azione creatrice, unica possibilità data all’uomo per fare emergere un senso in un mondo dominato dal non senso.
L’opera diede origine a infinite polemiche che divisero l’avanguardia intellettuale francese (Sartre in primis), ma non riuscirono a pregiudicare la validità di una lezione di coraggio, generosità e moralità che rimane attualissima (anche se misconosciuta) ancora oggi.
(cit.)

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da L’UOMO IN RIVOLTA

“Che cos’è un uomo in rivolta?
Un uomo che dice no.
Ma se rifiuta, non rinuncia tuttavia: è anche un uomo che dice di sì, fin dal suo primo muoversi.
Uno schiavo che in tutta la sua vita ha ricevuto ordini, giudica ad un tratto inaccettabile un nuovo comando.
Qual’è il contenuto di questo ‘no’?

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Significa, per esempio, ‘le cose hanno durato troppo’, ‘fin qui sì, al di là no’, ‘vai troppo in là’ e anche ‘c’è un limite oltre il quale non andrai’.
Insomma questo no afferma l’esistenza di una frontiera.
Si ritrova la stessa idea di limite nell’impressione dell’uomo in rivolta
che l’altro ‘esageri’, che estenda il suo diritto al di là di un confine oltre il quale un altro diritto gli fa fronte e lo limita.
Così, il movimento di rivolta poggia, ad un tempo, sul rifiuto categorico di un’intrusione giudicata intollerabile e sulla certezza confusa di un buon diritto, o più esattamente sull’impressione, nell’insorto, di avere ‘il diritto di…’.
Non esiste rivolta senza avere la sensazione d’avere in qualche modo, e da qualche parte, ragione.
Appunto in questo lo schiavo in rivolta dice ad un tempo di sì e di no.
Egli afferma, insieme alla frontiera, tutto ciò che avverte e vuol preservare al di qua della frontiera.
Dimostra, con caparbietà, che c’è in lui qualche cosa per cui ‘vale la pena di…’, qualche cosa che richiede attenzione.
In certo modo, oppone all’ordine che lo opprime una specie di diritto a non essere oppresso al di là di quanto egli possa ammettere.
Insieme alla ripulsa rispetto all’intruso, esiste in ogni rivolta un’adesione intera e istantanea dell’uomo a una certa parte di sè.
Egli fa dunque implicitamente intervenire un giudizio di valore, e così poco gratuito, che lo mantiene in mezzo ai pericoli.
Fino a quel punto taceva almeno, abbandonato a quella disperazione nella quale una condizione, anche ove la si giudichi ingiusta, viene accettata.
Tacere è lasciar credere che non si giudichi né desìderi niente e, in certi casi, è effettivamente non desiderare niente.
La disperazione, come l’assurdo, giudica e desidera tutto, in generale, e nulla, in particolare.
Ben la traduce il silenzio.
Ma dal momento in cui parla, anche dicendo no, desidera e giudica.

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La rivolta, in senso etimologico, è un voltafaccia.
In essa, l’uomo che camminava sotto la sferza del padrone, ora fa fronte.
Oppone ciò che è preferibile a ciò che non lo è.
Non tutti i valori trascinano con sé la rivolta, ma ogni moto di rivolta fa tacitamente appello a un valore.
Si tratta almeno di un valore?
Per quanto confusamente, dal moto di rivolta nasce una presa di coscienza: la percezione, ad un tratto sfolgorante, che c’è nell’uomo qualche cosa con cui l’uomo può identificarsi, sia pure temporaneamente.
Questa identificazione, fin qui, non era realmente sentita.
Tutte le concussioni anteriori al moto d’insurrezione, lo schiavo le sopportava.
Sovente, anzi, aveva ricevuto senza reagire ordini più rivoltanti di quello che fa prorompere il suo rifiuto.

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Portava pazienza, respingendoli forse in se stesso, ma poiché taceva, si mostrava più sollecito, per il momento, del proprio interesse immediato che cosciente del proprio diritto.
Con la perdita della pazienza, con l’impazienza, comincia al contrario un movimento che può estendersi a tutto ciò che veniva precedentemente accettato.
Questo slancio è quasi sempre retroattivo.
Lo schiavo, nell’attimo in cui respinge l’ordine umiliante del suo superiore, respinge insieme la sua stessa condizione di schiavo.
Il moto di rivolta lo porta più in là del semplice rifiuto.
Egli oltrepassa il limite che fissava al suo avversario, chiedendo ora di essere trattato da pari a pari.
Quanto era dapprima resistenza irriducibile dell’uomo, diviene l’uomo intero che con essa s’identifica e vi si riassume.

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Quella parte di se che voleva far rispettare, la mette allora al di sopra del resto, e la proclama preferibile a tutto, anche alla vita.
Essa diviene per lui il sommo bene.
Prima adagiato in un compromesso, lo schiavo si getta di colpo (‘se è così…’) nel Tutto o Niente.
La coscienza viene alla luce con la rivolta.”

– Albert Camus –

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Come commentare un testo come questo, datato ma attualissimo ?
Semplicemente dicendo che la libertà di un Uomo non è solo fuori di esso ma dentro di se, principalmente dentro di se …
gli afflati di libertà, giustizia, equità, empatia, solidarietà li trova dentro di se ma se li lascia sopire ecco che immancabilmente egli diventa uno schiavo …
si lascia “manipolare” da altri tipi di cattivi sentimenti e di conseguenza attua della pessime scelte comportamentali ed etiche;
occorre risvegliare i sentimenti sopiti, occorre ribellarsi a questa prigionia indotta (e voluta), occorre una rivoluzione …
e da tutto quanto appena detto vien da se che la “unica” e “indispensabile” rivoluzione che non possiamo più rimandare perché, oltre che una linea di confine, esiste anche una “linea di NON ritorno”, è una “rivoluzione culturale e delle coscienze” !!!

Claudio

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la Cultura … questa sconosciuta ? (parte seconda)


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Come vi avevo preannunciato (ed ogni promessa è un debito) nella prima parte di questo commento (che potete trovare qui) vado a trascrivervi il secondo capitoletto del libro IL COMPUTER DI DIO di Piergiorgio Odifreddi relativo alla Cultura.
Questo capitolo tende a chiudere il ragionamento sulla cultura immettendo nella discussione il concetto di divisione netta in 2 “culture” che tendenzialmente in tanti hanno l’abitudine di contrapporre una all’altra;
ebbene Odifreddi cerca di farci presente che non è detto che sia proprio così scontato che 2 cose che sembrano estremamente diverse, nella realtà lo siano per davvero;

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Capitolo:    LA COMMEDIA DEGLI EQUIVOCI

“[…] Coloro che ritengono un paradosso il fatto che la gente non abbia interesse per la conoscenza scientifica sulla quale si basa la civiltà tecnologica, scambiano gli effetti per la causa: il pubblico si interessa a tutto ciò che gli viene propinato, ma non ovviamente, a ciò che non sa esistere.
E negli spazi culturali dei media l’umanesimo banchetta (l’umanesimo de noantri ndr), la scienza fa la fame, il pubblico si pasce delle briciole che cadono dalla mensa.
Il vero problema risiede, dunque, nella struttura e negli obiettivi della gestione di questi spazi: per motivi storici essi sono in mano agli umanisti, che se li terranno fino a a quando potranno, per preservare il potere di influenza e di affluenza che loro ne deriva.
La povera cultura in tutto ciò non c’entra proprio, e continuare a chiamarla in causa non fa che distrarre l’attenzione dalla sostanza delle cose.
Volendo comunque parlarne, perché è solo questo che possiamo fare alla breve, bisogna affrontare il secondo equivoco: che il sostantivo ‘cultura’ ammetta cioè un plurale.
L’assunzione è necessaria, almeno implicitamente, per poter commettere l’errore di cui le cosiddette due culture si sono spesso entrambe macchiate: affermare cioè, in forme diverse, la propria superiorità rispetto all’altra.

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Le supposte argomentazioni su cui si basano le reciproche rimozioni sono inconcludenti, perché si riducono a constatazioni di mutua diversità: al sapere scientifico viene imputata l’incompletezza, ossia una scarsa rilevanza umanistica dei suoi temi, e il sapere umanistico viene invece accusato di incorrettezza, ossia di poca scientificità dei suoi metodi.
Questo atteggiamento è tipico fra gli scienziati, come testimonia un articolo del premio Nobel per la fisica Steven Weinberg, pubblicato in italiano in La Rivista dei Libri (1996), che commenta il putiferio creato poco poco tempo prima da Alan Sokal: un fisico che è riuscito senza alcun sforzo a far pubblicare da una famosa rivista di ermeneutica (metodo di interpretazione ndr) un suo articolo condito di sciocchezze, opportunamente riformulate nel linguaggio in voga nel campo. L’impresa è divertente, e l’ironia può essere salutare: soprattutto se rivolta contro chi si prende troppo seriamente.
Ma farne lo spunto per accusare di insensatezza tutto ciò che non si comprende, come fa Weinberg con Deridda, e faceva prima di lui Carnap con Heidegger, rivela una colpevole inerzia intellettuale, uguale e contraria a quella mostrata da coloro che dichiarano di non capire le formule, e si rifiutano di fare il benché minimo sforzo per imparare a comprenderle.

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Umanisti e scienziati hanno il reciproco diritto di richiedere, così come il reciproco dovere di dare, alle altrui discipline, lo stesso sforzo di comprensione che essi dedicano alle proprie, la stessa padronanza di linguaggio e di metodo, la stessa considerazione per i risultati, lo stesso rispetto per i massimi esponenti.
La cattiva notizia è che l’impresa è difficile, soprattutto in un secolo che ha visto un’esplosione della produzione del sapere: ma la cultura non è mai stata agevole, con buona pace dei media.
La buona notizia è che l’impresa è possibile, come dimostrano i numerosi casi di intellettuali che hanno saputo combinare umanesimo e scienza in una sintesi globale.
Per citare nomi a caso del Novecento: Bertrand Russell, matematico e premio Nobel per la letteratura; Wolgang Pauli, premio Nobel per la fisica, e autore di un libro con Carl Jung sulla sincronicità; David Bohm, fisico e autore con Jddu Krishnamurti di un libro sul tempo; Francisco Varela, biologo e autore di libri col Dalai Lama sulla coscienza…

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In realtà le due culture non sono altro che le espressioni dei due emisferi cerebrali: del sinistro la scienza, del destro l’umanesimo.
Volerle tenere separate, o asserire la predominanza di una di esse sull’altra, significa essere a favore della lobotomizzazione culturale.
L’atteggiamento corretto è invece considerarle ‘entrambe necessarie, ma nessuna sufficiente’ per la descrizione della realtà e lo sviluppo della conoscenza: asserirne cioè una ‘complementarietà’ che non è solo un vuoto slogan, poiché ne implica, in particolare, la necessità di integrazione reciproca.

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Alcuni aspetti di questa integrazione, quali la definizione delle problematiche etiche sollevate dagli sviluppi tecnologici (per esempio, l’ingegneria genetica), o la ridefinizione delle problematiche teologiche (per esempio, la creazione dell’universo e dell’uomo) provocate da progressi scientifici, sono ormai imprescindibili: se ne sono accorti i media per la bioetica, il Vaticano per il Big Bang e l’evoluzionismo.
Altri aspetti, quali il riconoscimento dei fondamenti metafisici di ogni pensiero scientifico, dall’assunzione di una realtà esterna all’universalità spaziale e temporale delle leggi matematiche che descrivono un angolo dell’universo in un particolare momento, soffrono invece di una rimozione quasi totale: e ancora una volta Weinberg funge da portavoce allo scienziato medio che si crogiola nell’illusione che il suo sapere non abbia né condizionamenti né implicazioni culturali, ignaro o dimentico del pensiero dei grandi fisici, da Einstein a Heisenberg, da Schrodinger a Dirac.
Tornando in chiusura alla metafora cerebrale usata in precedenza, il ruolo culturale del corpo calloso che collega i due emisferi è svolto dalla matematica. Che è umanistica nei contenuti, perché descrive e inventa mondi possibili, ma scientifica nel metodo, perché usa la logica: di qui la sensibilità del matematico nei riguardi della lobotomia culturale, che va a incidere sulla carne viva, mentre l’esistenza stessa della matematica mostra che l’integrazione delle due culture è possibile, la sterilità del suo formalismo senza interpretazione, cioè della scienza senza la metafisica, mostra che l’integrazione è necessaria.
E’ dunque dall’esperienza con la matematica che deriva il mio credo: in sintesi, che fino a quando ci saranno ‘due’ culture, non ci sarà nessuna Cultura, ma soltanto ‘mezze’ culture.”

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Il Titanic non affondò per l’iceberg, la verità è un’altra ed è agghiacciante! Guardate…


Nel 1912 affondò il Titanic, di cui non esiste neanche una lista completa delle vittime. Nel 1913 vi fu la privatizzazione della Federal Reserve. I principali oppositori alla Federal Reserve scomparvero in una volta sola.

Sorgente:    Il Titanic non affondò per l’iceberg, la verità è un’altra ed è agghiacciante! Guardate…

ALLORA … ve lo linko con beneficio d’inventario … lascio a voi il giudizio se si tratta o meno di una bufala ma …

tutto quello che è raccontato (a parte l’incidente in se) è assolutamente provato e certo … a partire dal “costruttore che NON si imbarca” … e guardate un po’ chi è …

visti poi tutti gli avvenimenti degli anni successivi tale notizia assume contorni a dir poco “sconcertanti” per quanto si avvicini al 100% di possibile “credibilità” …

media ed informazione : ciò che si dice e ciò che viene percepito … quale abisso li separa …


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Roberto Perotti (vi rimando a questo link per ulteriori informazioni su di lui e sul suo recente ruolo istituzionale) sentito stamane su La7 nella trasmissione “l’aria che tira” (io direi molto brutta !!!) durante un mio rapido passaggio in cucina per pochi secondi;
la “conduttrice” (velo pietoso politicamente parlando su Myrta Merlino, moglie dell’amministratore delegato di Invitalia) gli fa una domanda sulle Province, ne esce in risposta una cifra di 150.000.000 di € di risparmi annui;
la conduttrice gli chiede cosa si può fare con 150 milioni e lui risponde che la spesa pubblica di un anno in Italia è di oltre 800 miliardi (e 150 milioni sono la “bellezza” di meno dello 0,01875% !!! aggiungo io per completezza di informazione) e che quella somma si può metterla ovunque ad esempio nel Welfare …

il commento finisce così …

che impressione può lasciare nel telespettatore ???

una persona “corretta” avrebbe (a mio parere) dovuto rispondere ad una domanda “cretina” con una semplice risposta “intelligente” del tipo :

“cosa ci vuole fare con MENO di 3 € a cittadino in un anno ?????”

ma questi sono i media in Italia … la cosa vi meraviglia ancora ???

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AMATRICE, LO SFREGIO ALL’AGRICOLTORE TERREMOTATO: GLI DONANO UNA CASA IN LEGNO? ARRIVANO I VIGILI E LO OBBLIGANO A DEMOLIRLA: ECCO A VOI L’INFAMIA DELLO STATO 


 Sorgente:    AMATRICE, LO SFREGIO ALL’AGRICOLTORE TERREMOTATO: GLI DONANO UNA CASA IN LEGNO? ARRIVANO I VIGILI E LO OBBLIGANO A DEMOLIRLA: ECCO A VOI L’INFAMIA DELLO STATO – notixweb

NO !!! Non ci posso credere … ma è uno Stato serio questo ???