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Ho già utilizzato in commenti precedenti alcuni passaggi tratti dal libro di Piergiorgio Odifreddi, oggi ne voglio aggiungere un altro (un sunto della prima parte di un capitolo) perché trovo che si tratti di una lettura piacevole, frutto di una mente particolarmente acuta e permeata di profonda cultura;
Il tema di fondo del libro è un ipotetico dialogo con il Papa (quindi argomento di carattere religioso) ma, lo avrete notato, trattato in maniera particolare;
le parole che potrete leggere sono prodomiche di una riflessione finale che trovo molto interessante e sul quale è possibile, volendolo, anche aprire una discussione;
vi ricordo la mia laicità, il mio approccio contrario alla parte “umana” della religione (le varie “chiese”), al mio non “credere” ai dogmi vigenti (scelti tra molti scritti di oltre 2.000 anni fa per una popolazione di pastori ma assolutamente anacronistici oggi) e di conseguenza posso affermare di aver particolarmente apprezzato questa lettura …
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dal libro: CARO PAPA TI SCRIVO
Capitolo: I DUBBI DI UN CLOWN
“La Sua ‘Introduzione al Cristianesimo’ si apre con un sorprendente apologo di Soren Kierkegaard, che Lei riprende da ‘La città secolare’ del teologo Harvey Cox.
La storiella narra di un circo itinerante danese, che viene colpito da un incendio.
Un clown, già truccato e vestito con gli abiti di scena, corre a chiedere aiuto in paese. Implora affannato gli abitanti affinché intervengano, e aiutino a spegnere le fiamme.
Ma essi ridono e non si muovono, credendo si tratti soltanto di un modo per farli accorrere allo spettacolo. Il clown si dispera, ma più urla e piange, più la gente ride e applaude la sua bravura.
Nel frattempo il fuoco, dopo aver distrutto il circo, si propaga attraverso i campi secchi e distrugge anche il villaggio.
La morale della storia è chiara e palese.
Il clown è portatore di un messaggio tragico e veritiero, ma non viene creduto a causa del suo aspetto. Il trucco e gli abiti da scena dominano e prevalgono sulle sue parole, confermando l’intuizione di Marshall Mc Luhan (sociologo e filosofo ndr) che *il medium è il messaggio*.
Conclusione: poiché un clown fa ridere anche quando dice cose serie, per essere presi seriamente non bisogna vestirsi e comportarsi da clown. […]
Lei parla al proposito di *sconvolgente metafora*, e si domanda apertamente se sia sufficiente *che il clown cambi il suo costume da pagliaccio e si ripulisca la faccia, perché tutto sia pergettamente in ordine*.
Confesso che come inizio del Suo libro di commento alle verità enunciate nel Credo, questo mi ha spiazzato per due motivi.
Il primo è la fonte del suo apologo.
Con tutti gli accomodanti cattolici che poteva invocare, Lei opta per uno scomodo protestante.
Con tutti i testi apologetici a cui poteva rivolgersi, Lei ne sceglie uno che esalta la Chiesa dei fedeli a scapito di quella delle istituzioni.
Con tutti i lavori accademici del professore di Harvard (Cox ndr) dai quali poteva attingere, Lei preferisce un suo best seller divulgativo da un milione di copie.
Il secondo motivo di spiazzamento è la scelta dell’apologo stesso.
E’ piuttosto da un anticlericale incallito che ci si attenderebbe di sentir apostrofare quali ‘clown e pagliacci’ i teologi e i preti, e presumibilmente ‘papagliaccio’ il papa. Non certo da un teologo prete che diventerà appunto papa, qui schermato solo velatamente dal doppio riferimento a Kierkegaard e Cox, e dal giudizio della ‘sconvolgente metafora’.
Si tratta di scelte significative, che rivelano un desiderio di rivolgersi non ai soli specialisti, ma a un vasto pubblico.
Non solo ai cattolici, ma ad altre denominazioni, cristiane e non. Non ai soli credenti, ma a coloro che guardano appunto alla Chiesa in particolare, e alla religione in generale, come fenomeni circensi di cui ridere e farsi beffe. Non ai soli lettori umanisti, adusi agli abusi metafisici, ma a quelli scientifici, che pretendono fatti invece che opinioni.
Queste scelte e questi desideri si configurano come espressioni di coraggio, oltre che come esibizioni di forza. Il coraggio e la forza di chi sa, o crede, di poter affrontare i problemi della fede attaccandoli fortemente di petto, invece che arroccandosi debolmente in difesa.
Si riconosce in questo atteggiamento un segno di vigore progressista che la caratterizzava nella sua prima fase teologica. Una fase che un ex collega di quegli anni, il suo ‘alter ego’ Hans Kung, l’ha poi accusata di aver abiurato dopo il fatidico 1968, anno sia della contestazione che del suo libro. […]
Per cominciare il nostro dialogo, partiamo dunque dall’apologo in questione. Dietro alle mentite spoglie della parabola, esso presenta un’immagine non solo verosimile, ma veritiera: il fatto che nel mondo d’oggi il teologo e il prete appaiano veramente, a coloro che non condividono la loro fede, come pagliacci sia letterali che metaforici. […]
Lei si domanda se sarebbe sufficiente, per i preti, ripulirsi la faccia dal trucco e dimettere i vestiti di scena.
Ovviamente no, ma certo aiuterebbe a veicolare la religione come un messaggio spirituale, più che come uno spettacolo viscerale.
Anche se, altrettanto ovviamente, la sobrietà scenica vi alienerebbe l’interesse del vostro pubblico.
Anzi, la vera domanda è se il cattolicesimo potrebbe sopravvivere senza lo spettacolo attraverso cui viene veicolato.
Il timore è infatti che, come per tante altre forme di comunicazione popolare, anche nella religione ‘il medium sia il messaggio’, come abbiamo già osservato a proposito del clown”.
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