Jim Carrey e il Sistema


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Il sistema – politico, religioso, educativo e scientifico lavorano di concerto – plasma i nostri apparati psicofisici e quindi il nostro modo di pensare il mondo che ci circonda.
Per esempio, le comuni concezioni di salute, coppia, educazione o politica, non sono nostre, in quanto vengono acquisite “strada facendo” fin da quando cominciamo a guardare la televisione e ad andare a scuola.
Non solo è difficile uscire da questo sistema, ma quando riesci ad uscirne il sistema ti reclama ancora per un lungo periodo… prima di scartarti definitivamente.
Quando Jim Carrey – dopo aver intrapreso un cammino spirituale come allievo di Eckhart Tolle – è entrato in maniera permanente in un nuovo stato di coscienza, non è più riuscito a svolgere con le stesse modalità di prima il suo lavoro. Il business dello spettacolo, con le sue quotidiane lotte per ottenere ruoli di rilievo e sempre più pagati all’interno dei film… ha perso la sua attrattiva.
A un certo punto ha visto con chiarezza che non ne valeva più la pena.
Da qui sono derivati alcuni anni di allontanamento dalle scene e una drastica riduzione delle partecipazioni agli appuntamenti mondani (e quando si presentava era solo per scioccare con le sue dichiarazioni sull’illusorietà della realtà).
Tutto ciò è stato percepito dal mondo dello spettacolo (dal sistema) come un periodo “buio e difficile” della sua vita, come una “caduta” e non come un risveglio.
Il sistema interpreta tutto secondo i suoi parametri capovolti e fa apparire al pubblico chi si sveglia e “si chiama fuori” come qualcuno che non ha retto le pressioni dello show-business, alla stregua degli attori e dei cantanti che cominciano a bere e a drogarsi.
Agli occhi di molti Jim Carrey, a causa delle sue stravaganze spirituali, si è “bruciato” la carriera.
Ma in realtà… è sufficiente guardare i suoi occhi per capire che è accaduto esattamente il contrario.

Salvatore 🔥Brizzi

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Immagine (clicca qui per visualizzarla) e testo tratti da  YouFlame

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[Te credi d’esse eterno]


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[Te credi d’esse eterno]

Te credi d’esse eterno.
Poveretto.

Tutto quello che hai fatto da quer giorno
che hai mosso i primi passi da omo eretto
sarà spazzato via.
Qui tutt’attorno,
indove vedi strade e monumenti
e quelle scatolette puzzolenti
dove ve rinchiudete scioccamente,
ritornerà com’era, e finalmente
s’udrà soltanto er canto degli uccelli,
er vento, e l’acqua chiara dei ruscelli.

Voi sparirete e della vostra storia
se perderà pian piano la memoria.
L’opere d’arte se sgretoleranno,
coperte dalle piante rampicanti.
E tutto quanto, anno dopo anno,
sarà ridotto a ruderi crollanti,
a mucchi de monnezza e plasticaccia
coi quali deturpate la mia faccia.

Ce vorà tempo, ma io so’ paziente.
‘Na mijonata d’anni: pe’ me è niente.
De voi ‘n resterà manco un granellino,
tutto trasformerò in un bel giardino.

V’ho concepiti con letizia e amore,
ma siete stati il mio più grande errore.

Marazico – ©

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L’inquinamento, il riscaldamento globale, gli oceani pieni di plastica non mettono in pericolo il futuro della Terra, ma solo quello di molte specie viventi di questo pianeta.
Tra le quali la nostra.

La Terra ha tutto il tempo di guarire e di far sparire le tracce lasciate dalla nostra stupidità.
Per lei un milione di anni è il tempo di uno starnuto.

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Immagine molto eloquente (clicca qui per visualizzarla)
e testo tratti da  Marazico

Il senso di “mancanza”


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C’è un altro modo di vivere

La stolta Società dei Consumi, interessata a farci consumare il più possibile, ci ha inculcato un costante senso di “mancanza”.
Un atteggiamento deleterio in senso spirituale…
C’è un altro modo di vivere, non da SCHIAVI CONSUMATORI ma da esseri LIBERI E SOVRANI.
Possiamo abituarci a cercare il bene e la gioia in ciò che già abbiamo, imparando ad apprezzarlo e a ringraziare di cuore la vita.
Questo atteggiamento di gratitudine e di serenità è proprio il modo giusto per ottenere più benessere nella nostra vita e per elevaci verso le sfere luminose, lontano dai mercanti.
Poiché il senso di mancanza attrae più mancanza e il senso di benessere attrae più benessere.

(© Marisa Haltiner)

Immagine dal web

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Immagine (clicca qui per visualizzarla) e testo tratti da
Il Portale Interiore

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Il travestimento del consumatore


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« Mentre nella fase primitiva dell’accumulazione capitalistica “l’economia politica non vede nel proletario che l’operaio”, ovvero colui che deve ricevere il minimo indispensabile per la conservazione della propria forza-lavoro, senza mai considerarlo “nei suoi svaghi e nella sua umanità”, questa posizione della classe dominante si inverte nel momento in cui il grado di abbondanza raggiunto nella produzione di merci esige un surplus di collaborazione da parte dell’operaio.
Questo operaio lavato dal disprezzo totale, che gli è chiaramente manifestato attraverso tutte le modalità di organizzazione e di sorveglianza della produzione, si ritrova ogni giorno al di fuori di essa apparentemente trattato come una grande persona, con una premurosa cortesia, sotto il travestimento del consumatore.
Allora l'”umanesimo della merce” prende in carico “gli svaghi e l’umanità” del lavoratore, semplicemente perché l’economia politica può e deve ora dominare queste sfere in quanto economia politica.
Così il rinnegamento compiuto dell’uomo ha snaturato la totalità dell’esistenza umana. »

Guy Debord, “La società dello spettacolo”

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Immagine (clicca qui per visualizzarla) e testo tratti da

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pessimismo o solo realismo?


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Io penso proprio che si tratti semplicemente di realismo e di una previsione destinata a realizzarsi … purtroppo … vale a dire cioè che non eviteremo il collasso. 

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“Allora il progetto di uscire dalla società di crescita, uscire dalla società dei consumi, uscire dall’economia, il ritrovare il sociale o meglio ancora il societale.
Questa rivoluzione è prima di tutto una rivoluzione culturale, ma che non si può decidere dall’oggi al domani, è un lungo processo storico.
Quando ho iniziato a fare delle conferenze sulla decrescita ho pensato che si doveva cambiare strada prima del collasso, ma ora sono sempre più pessimista, penso che non eviteremo il collasso, dobbiamo prepararci al dopo collasso e speriamo che il collasso non sia un collasso totale e che ci sia la possibilità per l’umanità di avere un futuro, di inventare un nuovo futuro.”

Serge Latouche

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Immagine (clicca qui per visualizzarla) e testo tratti da
Ragione Critica

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Liberalismo devastante


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“Il liberalismo, come la maggior parte delle ideologie, ha un lato positivo.
Il suo rispetto per l’individuo e le sue libertà, il suo interesse nel coltivare la creatività umana e la sua promozione dei valori universali e dei diritti umani, rispetto all’attaccamento tribale, hanno avuto alcune conseguenze positive.
Ma l’ideologia liberale è stata molto efficace nel nascondere il suo lato oscuro – o più precisamente, nel persuaderci che questo lato oscuro è la conseguenza dell’abbandono del liberalismo piuttosto che inerente al progetto politico liberale stesso. La perdita dei tradizionali legami sociali – tribali, settari, geografici – ha lasciato le persone oggi più sole, più isolate di quanto fosse vero per qualsiasi precedente società umana. Possiamo fare bei discorsi sui valori universali, ma nelle nostre comunità atomizzate, ci sentiamo alla deriva, abbandonati e arrabbiati.

La preoccupazione professata dal liberale per il benessere degli altri e i loro diritti ha, in realtà, fornito una copertura cinica per una serie di furti di risorse sempre più trasparenti. La sfilata delle credenziali umanitarie del liberalismo ha permesso alle nostre élite di lasciare una scia di massacri e macerie nel loro passaggio in Afghanistan, Iraq, Libia, Siria e presto, a quanto pare, in Venezuela. Abbiamo ucciso con la nostra gentilezza e poi rubato l’eredità delle nostre vittime. La creatività individuale potrebbe aver favorito l’arte, seppur feticizzata e anche i rapidi sviluppi meccanici e tecnologici. Ma ha anche incoraggiato la concorrenza sfrenata in ogni ambito della vita, sia essa utile all’umanità o meno, e indipendentemente dal consumo di risorse. […]

Nel frattempo, la priorità assoluta dell’individuo ha sancito un auto-assorbimento (Nt. self-absorption, egoismo/narcisismo) patologico, un egoismo che ha fornito terreno fertile non solo per il capitalismo, il materialismo e il consumismo, ma per fondere tutti loro in un neoliberalismo turbolento. Ciò ha permesso a una piccola élite di accumulare e accumulare (Nt. Squirrel away, letteralmente: accumulare come uno scoiattolo) la maggior parte della ricchezza del pianeta fuori dalla portata del resto dell’umanità.
Peggio ancora, la nostra creatività sfrenata, il nostro amore per noi stessi e la nostra competitività ci hanno reso ciechi a tutte le cose più grandi e più piccole di noi stessi. Ci manca una connessione emotiva e spirituale con il nostro pianeta, con gli altri animali, con le generazioni future, con l’armonia caotica del nostro universo. Quello che non possiamo capire o controllare, lo ignoriamo o deridiamo.
E così l’impulso liberale ci ha portato sull’orlo di estinguere la nostra specie e forse tutta la vita sul nostro pianeta. La nostra spinta a spogliare le risorse, accumulare risorse per guadagno personale, saccheggiare le ricchezze della natura senza rispettare le conseguenze è così travolgente, così compulsiva che il pianeta dovrà trovare un modo per riequilibrarsi.
E se continuiamo, quel nuovo equilibrio – quello che noi chiamiamo “cambiamenti climatici” – richiederà la nostra rimozione dal pianeta.

Nadir di una pericolosa arroganza (Nt. Nadir: il punto oscuro dell’intersezione della perpendicolare dell’orizzonte con la volta celeste, l’emisfero celeste invisibile).
Si può plausibilmente sostenere che gli umani sono stati su questa strada suicida per qualche tempo. La concorrenza, la creatività, l’egoismo precedono il liberalismo, dopotutto. Ma il liberalismo ha rimosso le ultime restrizioni, ha schiacciato qualsiasi sentimento contrario come irrazionale, incivile, primitivo. Il liberalismo non è la causa della nostra situazione. È il nadir di una pericolosa arroganza in cui noi, come specie, abbiamo indugiato per troppo tempo, dove il bene dell’individuo supera qualsiasi bene collettivo, definito nel senso più ampio possibile. Il liberale riverisce il suo piccolo campo parziale di conoscenza e competenza, eclissando le saggezze antiche e future, quelle radicate nei cicli naturali, le stagioni e una meraviglia per l’ineffabile e inconoscibile. L’attenzione incessante ed esclusiva del liberale è sul “progresso”, la crescita, l’accumulazione.
Ciò che è necessario per salvarci è un cambiamento radicale. Non armeggiare, non riformare, ma una visione completamente nuova che rimuova l’individuo e la sua gratificazione personale dal centro della nostra organizzazione sociale. Questo è impossibile da contemplare per le élite che pensano che più liberalismo, non meno, sia la soluzione. Chiunque si allontani dalle loro prescrizioni, chiunque aspiri a essere più di un tecnocrate che corregga difetti minori dello status quo, viene presentato come una minaccia. Nonostante la modestia delle loro proposte, Jeremy Corbyn nel Regno Unito e Bernie Sanders negli Stati Uniti sono stati insultati da una élite mediatica, politica e intellettuale pesantemente concentrata nel perseguire ciecamente il sentiero dell’autodistruzione. […]

I social media forniscono una piattaforma potenzialmente vitale per iniziare a criticare il vecchio sistema fallito, per sensibilizzare su ciò che è andato storto, per contemplare e condividere idee radicali e mobilitarsi. Ma i liberali e gli autoritari lo capiscono come una minaccia ai loro stessi privilegi. Sotto un’isteria confidenziale su “notizie false” (Nt. Fake news), stanno rapidamente lavorando per spegnere anche questo piccolo spazio.
Abbiamo così poco tempo, ma la vecchia guardia vuole bloccare qualsiasi possibile via per la salvezza – anche se i mari pieni di plastica iniziano a salire, mentre le popolazioni di insetti scompaiono in tutto il mondo e mentre il pianeta si prepara a tossirci via come un grumo di muco infetto. […] Non abbiamo alcun riguardo per i guardiani del vecchio, quelli che hanno tenuto le nostre mani, che hanno illuminato un sentiero che ci ha portato sull’orlo della nostra stessa estinzione. Dobbiamo gettarli via, chiudere le orecchie al loro canto delle sirene. Ci sono piccole voci che lottano per essere ascoltate al di sopra del ruggito delle élite liberali morenti e del barrito dei nuovi autoritari. Hanno bisogno di essere ascoltati, di essere aiutati a condividere e collaborare, di offrirci le loro visioni di un mondo diverso. Uno in cui l’individuo non è più re. Dove impariamo modestia e umiltà – e come amare nel nostro angolo infinitamente piccolo dell’universo.”

Johnatan Cook

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Immagine (clicca qui per vederla), titolo e testo tratti da  Ragione Critica

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Viviamo tempi pericolosi, specialmente perché molti non se ne accorgono nemmeno


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” Viviamo tempi pericolosi, specialmente perché molti non se ne accorgono nemmeno.

Ho scritto su Facebook per dieci anni. Nessuno mi obbligava, nessuno mi ha mai pagato per farlo. Lo trovavo piacevole e divertente. Poi anche utile, talvolta persino importante.
Ci sono sempre state delle regole, dei limiti, talvolta piuttosto ipocriti, fastidiosi o stupidi, ma il loro scopo era mantenere civile il dialogo.
Ora si tenta di imporre una linea editoriale, si silenziano i contenuti scomodi, si pretende di valutare i pensieri di chi scrive e decidere quali siano “giusti” e quali “sbagliati”, quali pensieri lasciare esprimere e quali sanzionare. Si impone l’adesione al pensiero unico.
Facebook è stato un luogo in cui esprimere e discutere pensiero alternativo, ora sta diventando rapidamente un luogo in cui viene stabilito cosa pensare, non diversamente dalle tv o dai quotidiani.

Non serve più ad esprimervi, serve a programmarvi.

Eppure, questo imbastardimento di Facebook non vi condiziona come la TV: fa molto peggio.
La TV impone contenuti, interpretazioni della realtà dall’esterno. Tu li ricevi, e la sua capillarità li rende potentissimi nel condizionarti, ma puoi comunque rifiutarli come esterni a te. Facebook è fatto dei *tuoi* pensieri, dei pensieri dei tuoi “amici”.
Condizionare queste espressioni non è solo importi un punto di vista: è importi quale debba essere il TUO punto di vista. La censura su Facebook non riguarda i pensieri altrui, riguarda i TUOI pensieri. Il motivo per cui i social network erano una occasione di libertà è precisamente il motivo per cui oggi diventano la più sottile e perfida delle prigioni: li stanno usando per riprogrammare direttamente *quello che esprimete*.

Se con la teoria molti si perdono, eccovi un esempio semplice: su Facebook è ora vietato usare alcune parole specifiche. Alcune di esse sono parole “brutte e cattive”, usate spregiativamente per indicare persone omosessuali, oppure persone di colore. Voi direte: cosa c’è di sbagliato nel fatto che queste parole vengano bandite da un social network? Così smettiamo di diffonderle e di usarle! Verissimo, ma chi lo ha deciso?
La differenza tra smettere di usare alcune parole ed essere costretti a non usarle è ENORME. Nel primo caso si CAPISCE quel che si sta facendo e si DECIDE cosa fare e cosa non fare. C’è responsabilità. Nel secondo si viene ADDESTRATI a non usare certe parole. E ad usarne altre.
È quello che si fa con gli animali: li si addestra.

Ma oltre alle parole “razziste”, adesso è vietato anche esprimere concetti “antiscientifici” – fermo restando che chi decida *cosa* sia scientifico o invece antiscientifico lo decide… qualcun altro.
Ancora non vi è chiaro?
Si è aperta la caccia al pensiero “socialmente pericoloso” direttamente nella vostra stessa mente. Roba da fare venire un orgasmo a Goebbels anche da morto. Roba che Orwell machetelodicoafare.

Per chi ancora faticasse ad arrivarci: le parole che usiamo decidono la percezione del mondo e di noi stessi che formiamo, dentro cui poi abitiamo.
Decidono in che mondo viviamo e decidono chi siamo.
Poter imporre quali parole usare e quali no, significa imporvi direttamente *chi siete*.
Ed è esattamente quello che stanno facendo, qui ed ora.

Viviamo tempi pericolosi, specialmente perché molti non se ne accorgono nemmeno. “

Stefano Re

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