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Dal libro ampiamente già ‘depredato’ LA CAPRA CANTA di Ludovica Scarpa vediamo cosa ci racconta il capitolo SCEGLIERE LA LIBERTA’ DI SCEGLIERE I PROPRI STATI MENTALI
Tratta di un argomento complesso (ma lo fa con parole semplici) che crea problemi a tanti e che non tutti sono in grado di affrontare e superare; oggi forse molto più di ieri.
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“Nessun sceglie consapevolmente di essere di cattivo umore, quindi, se a volte lo siamo, ci sarà un motivo indipendente dalle nostre preferenze: come possiamo occuparcene?
I nostri stati mentali sono fenomeni naturali, proprio come noi stessi.
Tuttavia sono fenomeni naturali ben diversi dagli altri, in quanto ‘non’ sono determinati in modo ‘necessario’: lo snodo della libertà di scelta ci rende liberi dal determinismo.

Ad esempio, se lascio andare la tazza che ho in mano questa sicuramente cadrà, mentre di fronte a un qualsiasi avvenimento persone diverse reagiscono dando significati diversi, e si sentiranno e si comporteranno in modo completamente diverso e tendenzialmente imprevedibile.
Ci sentiamo vittime del nostro umore, o ci accorgiamo del nostro potere nei suoi riguardi, di come questo abbia a che fare col nostro focalizzarci su alcuni aspetti e significati che assegniamo all’esistenza, o su altri?
Ci accorgiamo della nostra libertà di scelta?
Ne facciamo uso?
E’ davvero possibile cambiare consapevolmente i nostri stati mentali?
[…]

Elena Piacentini – Stati Mentali
Se abbiamo mai fatto l’esperienza di preoccuparci improvvisamente, sappiamo quanto sia facile cambiare in peggio il nostro stato mentale: basta focalizzare l’attenzione su quel che non ci piace o ci manca o ci infastidisce.
Se è possibile peggiorare uno stato mentale è possibile variarlo anche nell’altra direzione.
Se scelgo di lavorare sui miei stati mentali, come posso rimanere autentico?
L’essere umano autentico si occupa della propria crescita personale, riflette sui propri automatismi, migliora e impara nuovi modi di porsi, poiché non si dà, per definizione, un essere umano guidato dagli istinti.
Eccentrici a noi stessi, con le nostre preferenze intorno alle nostre stesse preferenze, possiamo prenderci cura dei nostri stati mentali in modo autentico, da tipico essere umano inquieto.

Nello stesso osservarli cambio il mio modo di pormi e di sentirli: mi distacco quanto basta per riuscire a vederli, e nel distaccarmi posso sentire che, se anche sono parte della mia attuale esperienza, non è necessario che mi identifichi con loro, con nessuno dei livelli che individuerò.
Posso ad esempio sentirmi incerto sul da farsi: posso osservare l’esperienza dell’incertezza e osservare che mi innervosisco, dato che preferirei non essere incerto, per cui a un livello superiore mi dico *dovresti essere meno incerto!*.
Posso osservare questi livelli come se non fossero miei, in modo imparziale.
[…]
Il livello più difficile da osservare è quello dei valori che costruiscono la nostra identità.
Nel scegliere di far uso della libertà di scegliere i nostri stati mentali assegneremo altri significati, una volta identificati con l’osservazione distaccata quelli che diamo di solito, e una volta descritto in modo non giudicante quanto avviene, come fosse un fenomeno delle scienze naturali, da studiare in laboratorio.

Che la nostra mente sappia osservare i propri stati mentali e, nel farlo, occuparsene con accettazione e sollecitudine è un fenomeno naturale: lo è la mente che coltiva la sua intrinseca risorsa di potersi occupare di se stessa.
E lo fa a volte criticandosi come quando ci diciamo *non dovrei sentirmi così*.
Esprimere un dovere rispetto a un modo di sentirci è inutile: l’emozione è un segnale, si tratta di capire ‘come’ viene prodotta dalla nostra mente, sulla base di quali bisogni e giudizi.
Se ci critichiamo per come ci sentiamo, alla sensazione in sé si aggiunge un senso di impotenza, dato che non è possibile riuscire a ‘sentirci in un modo x’ appellandoci al senso del dovere.
Tuttavia, se la mente è in grado di stabilire un dialogo interiore critico e distruttivo ne può stabilire anche uno costruttivo e amorevole, e quindi accettante, di quello che al momento è-come-è.
Il primo strumento dell’antropologo dell’esperienza è abituarsi a ‘descrivere’ ogni cosa: quel che vede e quel che sente, dentro di sé, in quanto ‘fenomeni dell’esistenza in generale’, sospendendo qualsiasi pregiudizio, identificazione o valutazione, e, se ne notiamo qualcuno nella mente, descrivendolo anch’esso in quanto tale, senza parteggiare e ‘creder loro’.

Così, per certi versi, siamo liberi dagli influssi del mondo: le cose che ci accadono non sono la causa di come ci sentiamo, lo sono i ‘significati’ che noi diamo ad esse.
La mente è libera, in questo senso, e vive in un mondo suo, ricco di alternative e significati, immaginazioni e altri ‘film’ “
[…]
La libertà di scegliere è sempre potenzialmente a disposizione, è nostra solo se ce ne rendiamo conto: non ci è ‘concessa’, né ‘data’, né quindi è richiedibile, come del resto non è eliminabile.
Chi sceglie la libertà di scegliere è tendenzialmente libero da condizionamenti.”
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Intorno ai concetti ottimamente espressi da questo testo, ruotano gran parte dei problemi che creano ‘disagi’ in un numero sempre più numeroso di persone che, incapaci di elaborare come suggerito, preferiscono alienarsi ed abdicare, mettendosi nelle mani di ‘terzi’ sperando che surroghino le loro ‘debolezze’.
Questo vale anche per la politica e la società.
Ed ecco spiegato come siano comparsi sulla scena tanti burattinai che muovono i fili delle menti incerte e indecise, portandoli dove vogliono, con massicce dosi di retorica e demagogia.
E da questo circolo chiuso, se non si ha il coraggio di essere se stessi sempre, quindi conoscendosi dopo un più o meno lungo lavoro di introspezione, non se ne esce.
(cit)
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