Fenomenologia del tuttologo globale


§

6065

Non serve accendere candele ai funerali.
Non al morto, poveretto, né ai suoi cari e a nessun altro.
Quella luce fioca è un fastidio, non illumina e soprattutto non cambia la tristezza della circostanza.
Pensavamo a questo, al gaio funerale della civiltà e della verità cui partecipiamo ogni giorno con crescente impotenza; tentava incautamente, l’estensore di queste note, di spiegare l’imbroglio colossale del debito a un conoscente molto cool, un ingegnere fedele elettore del PD, già entusiasta ammiratore di Matteo Renzi.
Reddito elevato, sposato con un’affermata donna medico con studio privato, ottimo reddito, figli già in carriera e, ci dicono, accanito partecipante a dibattiti sulle reti sociali in cui deplora con accenti di degnazione mista a disprezzo la stupidità e l’incompetenza dei connazionali affetti da populismo, sovranismo, conservatorismo.

Per il nostro interlocutore, riflessivo, informato, colto, attento lettore dei quotidiani di sistema, il debito pubblico è la prova del fatto che viviamo al di sopra delle nostre possibilità, che siamo un popolo di cicale, nutrito di ignoranza.
Mai un dubbio che se esiste un debito, deve esserci un credito e che dunque il presunto creditore è un pessimo affarista se continua a finanziarci, poiché è evidente che nessun debito pubblico (il nostro e quello degli altri) è aritmeticamente pagabile.
Ci deve essere qualcosa sotto, un inganno in cui siamo caduti, penserebbe una persona sensata. Il bravo cittadino globale no, accetta la narrazione del potere, disprezzando come fake news o crassa ignoranza le spiegazioni divergenti.

E’ respinto con perdite anche un accenno all’assurdità del MES, il Meccanismo Europeo di Solidarietà, che conferisce a un gruppo di finanzieri senza nome, sciolti da ogni legge, sottratti a qualsiasi controllo, il potere di determinare le politiche di uno Stato che, in preda più a follia che a disperazione, chieda in prestito il denaro che il suo stesso popolo ha offerto al fondo detto grottescamente salvastati.
Paghiamo interessi e ci obblighiamo a scelte politiche eterodirette dopo aver graziosamente elargito 125 miliardi di euro, la quota italiana all’infernale meccanismo.
Gioiosamente, contribuiamo al salvataggio delle banche tedesche piene di spazzatura, i prodotti derivati che valgono al massimo la carta su cui sono stati sottoscritti.
Niente da fare: nessuna candela contrasta la luce accecante della verità ufficiale.

Il popolo vuole essere imbrogliato, lo sapevano già i Romani duemila anni fa.
Di più: non c’è nulla che attiri maggiormente il rancore e l’odio che dire la verità a chi non la vuol ascoltare. L’allergia alla verità si diffonde e si fa contagiosa. Disprezzo, poi sarcasmo, subito dopo autentico odio. Nulla di strano, in fondo. Gli autonominati buoni sono anch’essi solo uomini, piaccia o non piaccia alla loro vanità.
Gli homines sapientes hanno in apparenza messo a tacere l’istinto di predatori; hanno bisogno, per odiare, di convincersi che l’oggetto del loro fiammeggiante rancore di Giusti è un malvagio.
Lo spiega perfettamente uno dei loro maestri, Theodor Adorno nella Dialettica Negativa: l’animale razionale che vuole aggredire l’avversario ha bisogno di un motivo “etico”.
Il nemico da divorare deve essere cattivo.

Uno dei pochi vantaggi di essere reazionario, dunque destinato al disprezzo universale, è quello di decidere di fare a meno della discussione con gran parte dei propri simili per manifesta inutilità.
Una conseguenza collaterale di tale conclusione è assumere un atteggiamento di sano allontanamento dalla controversia insensata.
Ci si rende conto che, fatta eccezione per la sfera domestica e quella degli amici stretti, non ha senso esprimere la propria opinione su qualsiasi argomento, dal momento che ci sono così tanti punti di vista su qualsiasi evento, così tante variabili individuali e, soprattutto, una così grande ignoranza (a partire dalla nostra!) delle innumerevoli sfumature e sfaccettature, che è molto meglio tenere la bocca chiusa.
Benedetto Socrate che sapeva di non sapere e finì come sappiamo.

Inutile è ricordare alla maggioranza (democratica, progressista, in diritto di avere un’opinione su tutto e di modificarla velocemente in base all’umore, alla digestione e soprattutto ai dettami dell’informazione mainstream) che quando si padroneggia davvero un argomento se ne scoprono infinite variabili e si assume la prudenza, tratto distintivo della conoscenza.
Il bipede iperconnesso, tra le altre patologie, è affetto da una preoccupante tuttologia: opina su qualsiasi argomento, è in grado di fornire soluzioni a richiesta e, soprattutto, desidera ardentemente farle conoscere al resto dell’umanità.
Le reti sociali sono il suo terreno preferito; una volta bastava il bar o il mercato rionale, ma l’omino virtuale ama la globalizzazione, specialmente quella delle sciocchezze. Sui social, i forum spazzatura, ogni bravo cittadino globale ostenta opinioni omnibus senza che nessuno gliele abbia richieste, insieme a desideri, rancori e soluzioni ai massimi problemi del pianeta espressi con la stessa disinvoltura con cui enumera gli ingredienti del risotto e dà il voto all’albergo dove ha trascorso il fine settimana.

In questo modo, uno sciocco di cui ignoriamo le circostanze personali (meteorismo cronico, infanzia infelice, storia familiare, delusione o soddisfazione sentimentale) può strologare sull’universo mondo, emettere folli giudizi di valore, odiare o apprezzare qualunque persona o causa remota di cui ignora tutto.
Si propaga la volgarità, l’uso di insulti, una bulimia di pareri tanto più grande quanto più acuta è l’ignoranza sui temi su cui si rilasciano deiezioni verbali, ingiurie infondate, il tutto in un linguaggio elementare, SMS più messaggio whatsapp meno saggezza ed umiltà.

Non vale la pena entrare nel dibattito, meno ancora pensare di avviarlo su binari razionali.
Cadremmo nella loro trappola se ci sentissimo scandalizzati o oltraggiati per le boutade, la stupidità, la povertà degli argomenti e gli insulti ricevuti. Essere nel mirino della plebe digitale è una medaglia al valore, non partecipare alle più disparate e ridicole community, a forum e gruppi un punto d’onore.
A Renzo Tramaglino che si lamentava per l’appellativo di “baggiani” dato dai bergamaschi ai milanesi, il cugino, da tempo residente oltre l’Adda, replicò: detto da loro, è come dare dell’eccellentissimo a un monsignore.

L’opinione corrente non va in genere oltre luoghi comuni o battute.
Quale interesse può avere il giudizio di un personaggio popolare per qualche squallida comparsata televisiva sui cambiamenti climatici, sull’ aborto o sulla situazione curda?
E che dire delle interviste di strada nelle trasmissioni televisive, in cui si chiede dell’ultima sentenza controversa della Cassazione a un anziano che viene dall’acquisto di un Gratta e Vinci, o a una ragazzina strappata all’amato telefonino?
E delle lettere al direttore nei giornali locali, un genere a sé, affascinante festival del luogo comune del buon cittadino cosciente dei suoi diritti, assennato scuotitore di testa di fronte all’incomprensibile.

Il processo di allontanamento dalla “gente” non è un segno di crescita della pulsione reazionaria, ma fastidio non più nascosto dalla maschera dell’ipocrisia e della convenienza sociale.
Quello che ci capita è uno svuotamento verbale per accumulo di dati ed esperienze, per cui non intendiamo più pronunciarci sulle questioni di cui sappiamo poco o nulla. Non perché ci dispiaccia ricevere risposte sgradite, ma perché nella maggior parte dei casi non abbiamo un’opinione fondata. Non conosciamo i fatti, ci sentiamo autorizzati a parlare esclusivamente di ciò di cui abbiamo contezza. E’ un esercizio faticoso perché impone autocritica e prolungati silenzi.
Aveva ragione Oscar Wilde: è meglio tacere e apparire stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio.

L’homo sapiens et consumens postmoderno, al contrario, parla e straparla perché ha la lingua in bocca e gli hanno fatto credere che la sua opinione conta, è autorevole, pegno di democrazia, libertà e progresso.
Da tuttologo globale, spazia dalla geopolitica alla gastronomia, dalla finanza alle mezze stagioni, dalla religione alla moda intima.
Soprattutto, vuole assolutamente farlo sapere e desidera un pubblico plaudente, la community, gli amici di Facebook, quelli che faranno clic sull’immagine del pollice alzato. Mi piace, gli piace, se lo aspetta.
Non bisogna contraddirlo, altrimenti il leone da tastiera, da bar e da fermata del bus ruggirà, anzi sputerà oltre ad inappellabili sentenze, insulti e odio, il vomito digitale di una sub umanità che il potere manovra a piacimento.
Tira i fili e i burattini urlano sul clima. Muove dall’altro lato e corrono al centro commerciale, un cenno e diventano sardine dopo essere stati gli indignati, il popolo viola ed altre amenità di stagione.

Il lato buffo della tuttologia di massa è la sua felice convivenza con legioni di esperti pronti a risolvere ogni problema dall’alto di una sapienza settoriale sempre più limitata a un pezzettino di un’unica materia: specialisti di un atomo di conoscenza.
Ho deciso: scorrazzerò sui social e metterò “mi piace “, “non mi piace” a caso. Farò contento qualcuno, irriterò qualcun altro. Non esprimerò opinioni, non argomenterò; sì, no, pensiero binario.
Magari ripeterò a me stesso l’opinione scorretta di un eminente progressista del secolo XX, Bertrand Russell: il fatto che un’opinione sia ampiamente condivisa non è affatto la prova che non è completamente assurda. Infatti, a causa della stupidità della maggioranza degli uomini, è molto più probabile che un giudizio diffuso sia sciocco piuttosto che ragionevole.

Parola di filosofo, baronetto e progressista.

Roberto Pecchioli

§

Immagine e testo sono tratti da  Ragione Critica

§

il vero “potere” non è il il “potere coercitivo”


§

6064

Il potere coercitivo al quale siamo abituati non è il modello del vero potere, ma solo un suo caso particolare. Non vi è dunque ragione scientifica per farne il punto di riferimento.
La polisemia del termine potere e l’ampiezza del suo spettro semantico costituiscono le condizioni per grandi incomprensioni teoriche e pratiche.
Chiariamo subito questa parola: il potere si definisce in termini relazionali, non esistono esseri umani senza relazioni quindi è impossibile eliminare il potere.
Ma ci sono differenti tipi di potere: il potere coercitivo che chiameremo “dominio”, cioè la relazione di comando-obbedienza, e il potere non coercitivo che non riconosce questa relazione di obbedienza e che è distribuito a tutta la comunità.
Per questo esistono e sono esistite società senza Stato, senza dominio, a potere diffuso, ma non sono mai esistite, e mai potranno esistere, società prive di potere.

Senza mitizzare le società “primitive” in generale o le società indigene amerindiane, è però importante sottolineare come possa essere interessante per un antropologo cercare nelle ricerche etnografiche, per capire come culture “altre” vivono o hanno vissuto il rifiuto dello Stato e del dominio.
La documentazione archeologica, storica ed etnografica disponibile indica che le società di cacciatori e raccoglitrici, sole forme organizzative umane fino alla diffusione dell’agricoltura, distribuivano il potere in forma tendenzialmente egualitaria. Vivevano prevalentemente in piccoli gruppi, differenziati al loro interno per personalità, inclinazioni, gusti, competenze senza avere alcun potere politico costituito.
Quando era identificabile un capo – ma il termine tradisce una concezione gerarchica della società -, questo era spesso una figura dedita alla mediazione, all’oratoria, al coordinamento.
Ci sono numerosi esempi di società pastorali fortemente egualitarie, alcune dotate di sistemi e tecniche assembleari complesse ed efficaci: la politica in queste società può essere intesa come momento e spazio, più o meno formalizzato, lasciato alla parola pubblica, finalizzato a informarsi e a prendere decisioni.
Finché non si istituisce un ambito politico scisso dal sistema sociale, come nel caso delle società fin qui descritte, possiamo parlare di democrazia diretta, ovvero di una democrazia priva di deleghe o con deleghe contenute, verificabili, momentanee.

Lungi dal voler dipingere queste società come perfette, utilizzo la ricerca antropologica come un archivio di esperienze consultabili per comprendere meglio il presente; la vocazione dell’antropologia interpretativa non è di rispondere alle nostre domande più profonde, ma di mettere a disposizione risposte che altri hanno dato e includerle così nell’archivio consultabile di ciò che l’uomo ha detto.
Con un’attenta lettura di queste ricerche etnografiche possiamo capire meglio anche la “nostra” cultura, una cultura tra le culture, perennemente in transito, che si meticcia continuamente con le altre e così apprendere qualcosa dai diversi approcci alla vita sociale.
Possiamo apprendere dalle “loro” esperienze e, rinegoziando con le istanze presenti, cominciare a costruire corpi politici in grado di gestire in modo migliore il potere, per riuscire ad affrontare le sfide che la contemporaneità ci mette davanti e garantirci così uno spazio entro cui manifestare la libertà nell’uguaglianza.

Andrea Staid

§

Immagine e testo sono tratti da    Persi nella traduzione

§

lo sviluppo dell’ego


§

6063

“L’intera educazione occidentale implica lo sviluppo dell’ego in nome dell’individualità.
Si tratta di un inganno assoluto, in quanto l’individualità è un fenomeno totalmente diverso e non ha nulla a che vedere con l’io. In realtà, più sei egocentrico, minore sarà la tua individualità.
Se sei totalmente cristallizzato in quanto “io”, non avrai in te alcuno spazio per un’individualità. A causa dell’io vivi chiuso nella prigione dell’ego, il solo piacere che hai è trovare qualche occasione per dimenticartene: ti ubriachi, e le tue catene scompaiono; oppure usi il sesso, o le droghe, o qualsiasi altra cosa per toglierti un po’ di dosso quella corazza tanto stretta, per non sentire più quel peso sulle spalle.
Questo è il solo piacere che conosci nella vita: attimi in cui riesci a scordarti di te stesso.
L’ego ha paura di piegarsi, l’individualità no perché ad ogni occasione si sente arricchita: non perde mai nulla, acquisisce sempre qualcosa.
L’Occidente è stato ingannato dalle sue religioni, dai suoi educatori, dai suoi politicanti che hanno spinto a credere che “l’ego è la tua individualità, pertanto devi rafforzare il tuo io”.
Certamente è utile nel mondo degli affari: aiuta a lottare, a competere senza pietà.
Si tratta di una conclusione ovvia: devi competere in un mondo in cui esistono migliaia di altre persone tutte in lotta per gli stessi oggetti, per conquistare gli stessi obiettivi.

In un simile ambiente non puoi essere sincero, non puoi essere gentile e, soprattutto, non puoi non essere violento.
Quando il gioco si fonda sulla competizione, devi essere astuto, furbo, intrigante, perché tutti gli altri lo sono: devi esserlo più di loro, altrimenti verrai sconfitto. Se vuoi essere più ricco, dovrai lottare con le unghie e con i denti, non hai un attimo per pensare ai mezzi e ai fini: non ha alcuna importanza quali mezzi userai per raggiungere queste mete. E realizzarle non è altro che consolidare il tuo ego: “Sono superiore a chiunque altro; sono il migliore di tutti. Sono il primo, tutti gli altri sono sotto di me”.
L’Oriente conosce un’altra dimensione; nella sua tradizione si conosce una via di conquista, o meglio di realizzazione, che nulla ha a che vedere con il mondo esterno, con la sfera degli oggetti, con gli altri: non si tratta, infatti, di conquistare gli altri, bensì se stessi; non si tratta di conquistare oggetti o mete esteriori, bensì il proprio essere.
La società, finora, è stata molto abile: ha trasformato, deviato, stornato i tuoi istinti naturali per riversarli in qualcosa che va a suo vantaggio.
Esci dalla tua testa ed entra nel tuo cuore. Pensa di meno, senti di più. Il miracolo non è camminare sull’acqua o sul fuoco; Il miracolo è risvegliarsi.
Il resto sono tutte sciocchezze.”

(Osho)

§

Immagine e testo sono tratti da Realtà, inganno e manipolazione 

§

La fine è il mio inizio


§

FOLCO: Dov’è che sbagliamo? È difficile dirlo.
TIZIANO: Facciamo una cosa molto semplice, viviamo vite troppo di corsa, troppo piene di stimoli, continuamente distratti dal lavoro, dal telefono, la televisione, i giornali, da quelli che ci vengono a trovare. Siamo sempre di corsa, sempre di corsa, non ci fermiamo.
Chi si prende più degli spazi vuoti, del tempo per il silenzio? La sera al bambino gli danno da mangiare, lo mettono un po’ davanti alla televisione e poi a letto, perché questi vogliono vedere un film, quelli vogliono andare dagli amici. Sarebbe così semplice dire « Fermi tutti. Stasera si va a vedere le lucciole! »
Non è così complicato, non è una congiura, siamo noi a metterci nei guai. Capisco la congiura del consumismo, che è una macchina che ti fagocita, ma qui non c’è nessuna congiura. Sei tu, tu che puoi scegliere se andare in pizzeria o se portare il bambino a vedere le lucciole.”

§

via La fine è il mio inizio di Tiziano Terzani – Eticamente.net

§

la vita in un taaaac …


§

6059

Arrivi a 75 anni e pensi che … che “la vita l’è bela”.

Ho mandato a cagare più io in tutta la storia del cinema italiano che nessun altro. Ma si sa … “il vai a cagare pirla”… oggi non lo si usa quasi più… Chi riesce a fregarsene dei problemi poi alla fine vince sempre.
Sono un appassionato di auto, ho figli e ho una bella casa fuori dalle balle. Mi mancano quelle belle vie di Milano vuote dove si girava in bicicletta. E la scena del trattore in piazza San Babila … fantascienza se pensiamo a cosa c’è oggi …
Ma va bene così … Oggi le persone vivono freneticamente con il taaaac … Se pensate alla velocità di tutto e tutti … Accompagni i figli a scuola … taaaac … Torni a casa e prepari da mangiare … taaaac … Guardi tua moglie e pensi che ti sei sposato per amore e non per altro … taaaac … E la tua felicità è un taaaac …
Che posizioni in fondo alle frasi perché in quel momento sei felice ed infelice … Felice perché hai tante cose … infelice perché le cose che non avevi prima ti mettono a disagio in quel momento … E vorresti tornare indietro alla tua semplicità.
E così la società d’oggi va forte … E i ragazzi sono pieni di troppe cose che non possono far nascere un qualcosa che si possa definire Trash … Anzi oggi c’è troppa poca leggerezza …
E le generazioni mie Teocoli, Boldi, Abatantuono, Villaggio … Non le eguaglierà nessuno. Perché noi abbiamo fatto epoca …
Con le nostre vite, le nostre abitudini, le nostre tristezze e le nostre tragedie.
Perché un comico che può far veramente ridere deve “sorbirsi” esperienze di ogni genere … E la bellezza di una faccia che si riconosce è proprio questo … Se mi riesci a guardare negli occhi ti sentirai a casa … Una casa che si chiama “Italiano” … Come le belle cose che si facevano tra il 1960 e il 1990 … Poi tutto diventa difficile … Ed è un peccato non per me che ho anche l’umbrela … Ma più per voi che ridete poco e vi divertite male.
Provate dunque ad usare un Taaac per ogni cosa che fate … Anche se siete tristi ripetetevi … “ Sono triste taaaac … ”“Sono felice taaaac … ”Vedrete che prima o poi un sorriso arriva.
Ecco quello sono io.

[Renato Pozzetto]

§

Immagine e testo sono tratti da     Ilcontesenzaterra

§