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Politici ed intellettuali contemporanei … “tutti chiacchiere e distintivo” ?
In primo luogo mi scuso per la lunghezza di questo post (ma non mi sembrava logico suddividerlo in 2).
Gran parte dell’umanità si è ormai concentrata nel produrre individui, a qualsiasi livello ormai, che di quella frase ne hanno fatto un ‘cult’.
Il ‘cicaleccio’ impera, i ‘distintivi’ si sprecano, tutti si autopromuovono si autoincensano, si autoilludono, ma purtroppo illudendo anche la massa decerebrata che, anziché prenderli a calci nel q.lo e toglierli dalle rappresentazioni della vita civile e civica, li ammirano se non li invidiano.
Semplicemente un panorama sconsolante !
Eppure non ci vorrebbe molto per accorgersi della inconsistenza di certi personaggi (umana, culturale, storica, antropologica) gente che non sa NULLA, o quel poco che sa, lo sa per sentito dire.
Chissà quali saranno i ‘meccanismi’ che portano sempre più individui a sgomitare per apparire, o a valutarsi ampiamente al di sopra delle loro qualità, con l’autostima spazzata via dai super-ego, anche un po’ schizoidi.
Beh, certo, viviamo in un Mondo al contrario… quindi tutto nella norma.
Da SENZA VERGOGNA (2010) di Marco Belpoliti
Capitolo L’IMMAGINE
“Nel suo celebre saggio sul narcisismo, Christopher Lasch (storico e sociologo, uno da leggere sempre ndr), alla fine degli anni Settanta, ha messo a fuoco la società americana; in quel periodo gli individui, scriveva Lasch, apparivano in progressiva e accelerata fuga dal sociale, ripiegati in una visione fortemente individualistica del mondo, di cui una nuova forma di narcisismo forniva una plausibile spiegazione.
Lo storico aveva già intravisto un aspetto divenuto oggi decisivo: il superamento della competenza del lavoro manuale e di quello impiegatizio a favore di una nuova forza-lavoro che trova la propria espressione, scrive, *nella personalità piuttosto che nella forza e nell’intelligenza*.
Gli uomini e le donne della fine del XX secolo si trovano a proiettare una immagine attraente di se stessi e contemporaneamente devono *interpretare un ruolo dimostrando una conoscenza approfondita della propria interpretazione*.
Da allora le cose sono andate molto avanti anche nei paesi europei, coniugandosi con la ‘corsa al successo dirigenziale’.
Per il manager aziendale, nuovo prototipo dell’homo faber (‘essere i manager di se stessi’ è tra gli slogan più ripetuti), il potere non è più rappresentato dal denaro o dall’autorità, bensì dalla ‘immagine vincente’: il potere risiede negli occhi di chi guarda.
Il tema delle vergogna amorale (la vergogna di superficie, che non intacca l’immagine profonda di sé) presuppone una considerevole importanza dello sguardo, aspetto che è decisivo nel narcisismo.
A un certo punto del suo saggio, Lasch fa un’osservazione molto interessante, in cui connette la nuova forma assunta dal sistema manageriale all’influenza esercitata dalle immagini.
Scrive che l’emergere con sempre più evidenza di un’organizzazione di tipo narcisistico della personalità dipende dalle forme burocratiche della società, che hanno nella figura del manager il proprio culmine, e insieme dipende dalla proliferazione delle immagini visive e sonore nella ‘società dello spettacolo’.
Viviamo, afferma Lasch,* in una sorta di vortice d’immagini e risonanze che arrestano l’esperienza e la riproducono al rallentatore*.
Era quello (inizio anni Settanta) il momento dell’esplosione delle macchine fotografiche personali, delle piccole fotocamere, e in particolare della Polaroid di cui Andy Warhol è stato il profeta artistico, oltre che l’utilizzatore più scaltro e cinico; ma anche dei registratori portatili e dei riproduttori.
Lasch osserva che questi strumenti visivi e sonori non solo trascrivono l’esperienza, ma ne alterano la qualità stessa, *dando a gran parte della vita moderna l’apparenza di una immensa camera dell’eco, di una sala degli specchi*.
L’osservazione è calzante ed estende il tema della società dello spettacolo alla pieghe stesse della vita dei singoli, dove la fotocamera, la cinepresa, il registratore, divengono gli strumenti implacabili che trasformano la vita in una serie di riproduzioni visive e sonore.
Con la successiva diffusione della televisione, dei cellulari, che contengono fotocamere, e di quella visione infinitamente malleabile che è lo schermo del computer, il fenomeno è diventato ancora più pervasivo, così che oggi appare quasi banale dire, come faceva trent’anni fa lo storico americano, che la vita quotidiana è a tal punto mediata dalle immagine elettroniche *che non possiamo che rispondere agli altri come se le loro azioni (e le nostre) venissero riprese e simultaneamente trasmesse davanti a un pubblico invisibile o raccolte per essere sottoposte, in un secondo momento, a un accurato esame*.
Ora sappiamo che questo secondo tempo non arriva mai nell’istantaneo, vero tempo del contemporaneo, e che tutto si limita nel momento della registrazione, coincidente, per effetto della simultaneità, con l’atto stesso della ripresa.
Noi siamo sempre davanti a una ‘camera’, per cui il nostro atteggiamento è quello dello Smile!
La telecamera, comprese quelle nelle strade e nei luoghi pubblici delle città, ci sta sempre inquadrando.
Non solo non abbiamo più bisogno di qualcuno che ci dica ‘SORRIDI’, ma gli occhi di vetro non ci colgono ormai impreparati.
Il sorriso, scriveva nel 1979 Lasch *è sempre stampato sul nostro viso e tutti conoscono l’angolazione fotografica che mette in luce il lato migliore*.
[…]
Ebbene, tutto questo costituisce una premessa al narcisismo analizzato da Lasch. Di più: l’idea di sviluppo trapassa dall’educazione morale alla serie delle immagini, così che non è più una serie di valori a determinare il transito dall’età infantile a quella adulta (la maturità raggiunta attraverso l’elaborazione personale mediante le esperienze e la memoria di sé), bensì la serie delle fotografie, le immagini appunto, disposte in sequenza, assicurano che l’ordine prestabilito è stato eseguito.
[…]
Questo discorso, con ogni probabilità, ci porta lontano dal tema della vergogna, ma è senza dubbi collegato con le ragioni autoscopiche della vergogna, sia con la vergogna morale, ma soprattutto con quella amorale o, come la definisce Agnes Heller *vergogna sulla pelle*.
Il narcisismo, in definitiva, è il modo migliore che gli individui hanno a disposizione per tenere testa alle tensioni e alle ansie della vita moderna.
[…]
La lotta in corso è quella per il mantenimento dell’equilibrio psichico in una società, come scrive Lasch, *che pretende il rispetto delle regole di rapporto reciproco, ma al tempo stesso si rifiuta di fornire agli individui dei codici morali su cui fondare queste relazioni*.
L’effetto immediato è quello di favorire forme di egocentrismo che non hanno più niente in comune con il narcisismo classico, definito da Sigmund Freud primario aspetto indispensabile per la costruzione dell’Io e per sperimentare forme di amore verso l’altro, bensì con quello che Lasch chiama *narcisismo secondario*, o patologico, che presuppone l’incorporamento di grandiose immagini oggettuali come difesa contro l’angoscia e il senso di colpa.
Qui si inserisce la vergogna amorale.
L’insicurezza crescente circa la propria identità, tipica della società postmoderna, il peso delle continue temute umiliazioni, cui esponi una vita in immagine, le malattie dell’insufficienza, producono quella che Alain Ehrenberg (sociologo ndr) ha definito *la fatica di essere se stessi* (cfr. ‘Le culte de la performance’ ndr).
Siamo passati dalla società fondata sull’obbedienza e la disciplina, a una società che accentua gli aspetti di indipendenza delle convenzioni morali, che propone modelli di comportamento, sia alla base come i vertici della società. fondato sul ‘tutto è possibile’.
Il risultato è la sostituzione di Edipo, il simbolo della società patriarcale, del senso di colpa borghese, con la figura di Narciso: la società come specchio, il successo come conferma o negazione della propria riuscita.
Narciso reca con sé il dono della libertà, ma anche un crescente senso di vuoto e il fantasma dell’impotenza”.
Questo è un brano di ‘buona saggistica’ che, a sua volta, si rifà ad altra buona saggistica.
Lasch, per intenderci, è letto e studiato da molto sociologi attuali perché preconizzatore, come Fromm, di molte delle realtà che si sono negli anni presentate e consolidate.
Cinquecento anni fa la cultura era radicata nel vecchio continente ed il nord America era abitato da popolazioni definite di selvaggi; il flusso degli’input’ è stato per secoli in quella direzione.
Oggi si è radicalmente invertito.
La qualità degli ‘input’ però è profondamente diversa e ci ritroviamo ad ‘importare’ il peggio della cultura e delle abitudini (e non solo alimentari).
La domanda da porsi è : ma se l’intellighenzia ‘nostrana’ è al corrente dei ‘rischi’, perché non mette mano e lingua e ci preserva, contemporaneamente informandoci ?
Evitare questi rischi, vorrebbe dire, ad esempio, comprimere i consumi;
molto più facile (e redditizio ?) quindi importare la peggior ‘sotto-cultura’ dal Paese che, avendola inventata, ne ha tratto i maggiori benefici.
In questa epoca di sempre maggiore inglesizzazione ci troviamo sempre di fronte a nuovi termini ed allora eccoci incontrare i ‘think tank’ (letteralmente: serbatoi di pensiero) e gli ‘spoils system’ (letteralmente: sistema del bottino) : i primi consigliano ed indirizzano i ‘politici’, i secondi creano la casta di ottimati (si fa per dire) che ‘amministrano’ (idem) la vita sociale.
Quindi conoscere e/o sapere è importante, ma più importante è cosa si fa di queste conoscenze.
Se, come sembra, il narcisismo e la vergogna amorale diventano le regole che sovraintendono le nostre vite, che definiamo di successo, allora diventa necessario se non indispensabile abdicare a se stessi e immergersi in quel mare magnum di ‘merda’ che è diventato il mondo.
E, almeno nel nostro ameno paesello, i cosiddetti ‘intellettuali’ hanno preferito tuffarsi in quel mare (anziché mantenersi integri, nel segno di tutto quello che da Socrate in poi si è definita come ‘cultura’, quella vera, evidentemente).
(commenti scritti a 4 mani … 😉 )
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Non so commentare il tuo lungo post che si presta a molteplici considerazioni. L’ho letto con interesse. Ciao.
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