‘Pacchi’ di Regime


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“Qui c’è un lungo sfogo di un ex giornalista RAI.
Se quest’articolo venisse pubblicato da un giornale, si scatenerebbe il finimondo, ad opera di tutto quel ‘spoil system’ che, apparentemente indisturbato, sta ‘giocando’ col mondo.
Da leggere.
Grimaldi cerca di unire i puntini con affermazioni documentate e – forse – con qualche ‘delirio’ privato.
Ma, credetemi, c’è tanto di vero… purtroppo!”

Ora con il copia/incolla io mi limito a mettervelo a disposizione …
è lungo (quindi niente immagini) ma assolutamente interessante e sta a voi trarne le conclusioni che più vi convincono …
io ho tratto le mie …

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PACCHI DI REGIME
il giornalista martire, il bandito “russo”, il sacro vaccino

Cari amici, avete tutto il tempo per spalmare la lettura su vari giorni. I miei interventi qui per un paio di mesi si diraderanno parecchio, visto che torno in strada con la telecamera. Teniamoci in contatto.

“Alle prefiche che si stracciano le vesti su certi vittime, di questi loro clienti non gliene importa una beata cippa. Gli importa di estrarne quanta più merda possibile da lanciare sui nemici, propri e della cricca”. (Il sottoscritto)

Io NON sto con Gabriele
Momento magico per le fake news (notizie finte, false, contraffatte, truffaldine…). Cominciamo dal giornalista Gabriele Del Grande. Fake news possono essere anche rappresentazioni false di una persona o di una cosa. Nel senso del cetriolo dipinto di giallo per passare da banana, o del pubblicitario di hamburger presentato come dietologo. O di Mr. Hyde che si presenta come Dr. Jekill. E’ il caso del nostro concittadino detenuto nei CIE del Minniti turco. Evitiamo ora di fare il sillogismo “Erdogan non sta con Del Grande, Fulvio proclama di non stare con Del Grande, ergo Fulvio sta con Erdogan”. Sbagliato e anche becero. Lo auguro libero istantaneamente, ma non sto con Gabriele, come non stavo con Regeni e come “je ne suis pas Charlie”. Non sto con Gabriele perché in tutto quello che ha prodotto e ahinoi diffuso, tra libri, articoli e filmati, la scarsa qualità contenutistica e formale è ampiamente compensata da una perfetta sintonia con quanto vanno dicendo e facendo in termini di guerre e stermini, inganni e calunnie, i peggiori arnesi dell’imperialismo e sub-imperialismo mondiale. Tutto qui.

Sono giornalista anch’io, ma non è che per questo devo stare con tutti i giornalisti cui capiti una seccatura, o un guaio. Sarebbe essere corporativi. Come lo sono, da autentici professionisti della corporazione, Beppe Giulietti, segretario FNSI e tutto il cucuzzaro della stampa di regime. Sto a ragion veduta, per dire. Con grande fervore sto con il direttore e il reporter di Cumhurijet che da messi languono nelle carceri per aver documentato, in verbo e immagine, la fornitura di armi ai terroristi di Al Nusra e Isis da parte di Erdogan. E sto con le centinaia di loro colleghi fatti fuori, o dentro, per aver contato al sultano i sozzi peli nel naso.

Del Grande, un Regeni.2
Sto per la stessa ottima ragione con quei comunicatori fuori dal giro, dalle prebende e dai ricatti, che la nuova legge di Frau Merkel destina a colonna infame e carcere, o che la magistratura austriaca sbatte al gabbio perché hanno tolto due unità alla conta dei sei milioni dell’Olocausto. Sto con rispetto e devozione con Udo Ulfkotte della Frankfurter Allgemeine Zeitung che ci ha documentato come l’80% dei notabili della categoria in Europa fossero a libro paga della Cia (e, dunque, morì a 56 anni, nel gennaio scorso, senza aver avuto il minimo sintomo di malattia). Sto con tanti colleghi in rete, con o senza la consacrazione dell’Ordine dei Giornalisti, che duellano con i bonzi e mistificatori dei grandi media come Davide con Golia, come Hans e Sophie Scholl (martiri antinazisti) con Goebbels.

Non sto con nessun giornalista del “manifesto”, prima pagina e gigantografia ”Sto con Gabriele”, tanto meno con quelli che gli forniscono foglie di fico e finiscono anch’essi con l’essere solo chiacchiere e distintivo. E come non stavo con Giulio Regeni, santo e martire, perché uomo legato a centrali spionistiche angloamericane dirette da delinquenti patentati e inventori di squadroni della morte, così non sto con Gabriele Del Grande, uomo con dietro un gangster finanziario, sociocida e genocida, George Soros. Spero che esca libero subito subito, quanto i suoi famigliari e quelli che, perfettamente a loro agio nelle fake news del tipo “occultamento di chi c’è dietro”, starnazzano come ossessi contro la morte della libertà d’espressione in Turchia e ora ci rinnovano i fasti del Regeni con chiassate di piazza e gigantografie sui municipi (figuratevi cosa ci scaraventeranno addosso al suo ritorno!).

Due Simone, Vanessa e Greta, il gioco è sempre quello
Ci risiamo. La messinscena è sempre quella. E pure il fine. Ricordate la farsa delle “Due Simone” in Iraq nel 2004, sottratte alla resistenza anti-Usa, accolte incappucciate in mezzo al deserto da due guitti istituzionali con telecamere allineate. Ci costarono milioni per il riscatto. Ricordate le due crocerossine di Al Nusra, Vanessa e Greta, spedite in Siria da un emissario dei terroristi, recuperate dopo che erano state “sequestrate” dai jihadisti a cui avevano portato kit di pronto soccorso. Ci sono costate 11 milioni. Del Grande ci costerà di più: forse niente riscatto, ma una vaccinazione di massa contro il virus della verità.

Fortress Europe, blog da vedere, ma con protezioni ABC
Dei 136 giornalisti incarcerati in Turchia (la metà di tutto il mondo), 135 sono dentro perché di fastidio al sultano, al suo despotismo, alla sua guerra e ai suoi traffici con i terroristi. Uno, l’italiano, no. Il suo lavoro era perfettamente in linea con opera e strategia di Erdogan. Salvo che forse Erdogan non gode delle sovvenzioni del gangster kazaro ungherese. Non ne ha bisogno: le spreme dall’UE, dal suo stesso popolo e dai suoi mercenari Isis-Al Nusra. Invece Del Sette ne gode. Il suo blog, “Fortress Europe”, nei contenuti e nella forma del tutto assimilabile alle vulgate diffuse a giustificazione dei propri crimini da Cia, Mossad, Soros e l‘intero establishment Impero-vassalli, ottiene finanziamenti della Open Society Foundation di Soros. La stessa che da Kiev a Caracas, da Beirut a Bengasi, da Tblisi a Budapest e a Damasco, fomenta insurrezioni più o meno violente, più o meno armate, contro i governi legittimamente costituiti e ne sprofonda nel caos e nello spopolamento i paesi.

Si vedano le due linee guida dei lavoro di Del Grande come emergono chiare e coerenti dal blog “Fortress Europe”: l’entusiastico sostegno ai partigiani e democratici rivoluzionari che hanno ridotto in frantumi un paese prospero e pacifico come la Libia e stanno provando, di nuovo per conto Nato, Usa, Israele e tirannie del Golfo, a fare la stessa cosa in Iraq e Siria, insieme alla demonizzazione di chi vi resiste e del quale non ascolta o riferisce la minima voce; la ossessiva denuncia dei migranti vittime del razzismo e della chiusura europee, occultando meticolosamente di individuare correttamente le cause, i mandanti e gli obiettivi del fenomeno. Tutto questo è in perfetta sintonia con pensiero ed azione dell’equipe del Dr. Frankenstein, operante nei laboratori sparsi tra Pentagono, Langley, Wall Street, Londra, Parigi, Tel Aviv, Ankara, Riad, come dei suoi apprendisti stregoni impiegati sul territorio.

Erdogan-Del Sette, trova le differenze
Con i massacratori misuratini di migranti e di libici neri, i cui orrori su prigionieri e donne mi sono stati riferiti nel dettaglio da un jihadista di Misurata pentito (vedi il docufilm “Maledetta Primavera”) e che fecero addirittura fuggire dalla città i pur solidali Medici Senza Frontiere, promossi a rivoluzionari democratici (alla stregua di Rossana Rossanda); con i tagliagole, scuoiatori, crocifiggitori, stupratori di Isis, Al Nusra, FSA, elevati a “partigiani”, Soros e consorteria imperialista varia non potrebbe sognare portavoce migliore. Come è possibile allora che, con un padrino naturale come Erdogan, sostenitore, fornitore e armatore dei jihadisti, Del Grande sia stato rinchiuso dalla polizia dello stessoErdogan? Perchè ha contattato “terroristi”? Ma se sono l’armata di complemento di Erdogan! Perché gironzolava senza permesso stampa? Perché passava il confine non autorizzato? Ma se lo fanno 24 ore su 24 (per non dire la scemenza “h24”) tutti gli agenti, sicari, spioni, trafficanti, mercenari che Nato e il sultano vogliano!

Non scherziamo. Lasciamo minchiate di questo genere agli utili idioti e amici del giaguaro che ne alluvionato i giornali e ne fanno colare i liquami dagli schermi (tutti i TG, tutti i talkshow, “Gazebo” del satirico di regime Zoro, “Nemo Nessuno Escluso” della coppia vanesia-svampito Petrini-Lucci, che riattaccano i cocci della bufala armi chimiche di Assad e, dato che escludono nessuno, escludono categoricamente le prove della bufala). Provino a chiedere al loro Gabriele di esprimersi sui 70 bambinelli fatti a pezzi dai suoi “partigiani” che, mentre rientravano nella patria liberata, li avevano attirati con le patatine Questa foto è di una bimbetta lì sopravvissuta.

Gli chiedano perché, oltre che delle vittime del satanico Assad, non si occupa dei 1.546 bimbi sterminati in Yemen dal 2016, degli 8,1 milioni messi alla fame, dei 150 presidi pediatrici distrutti dai protettori sauditi dei suoi “rivoluzionari democratici” .

E’ gente che sancisce il proprio discredito, la propria ignoranza o sudditanza, spappagallando falsità e raggiri commissionati dalle note centrali e negando pervicacemente il diritto alla parola dell’altro. Il per niente infondato sospetto è quello di una messa in scena sapientemente orchestrata da Erdogan d’intesa con i regimi e servizi Nato e Sion. Abbiamo per le mani un eroe della battaglia mediatica contro i turpi dittatori Gheddafi e Assad, un vindice dei disperati che il mare divora e l’Europa respinge. Come nel caso del Saviano anti-camorra di “Gomorra” il piedistallo c’è. Per ergervi la statua occorreva il martirio: la prolungata detenzione, le vessazioni, il diniego all’incontro con i propri diplomatici e legali, lo sciopero della fame, la paura del peggio. Sai quanto, a felice soluzione combinata, gli allori di cui Del Sette cinge i sicari dei genocidi e le falsità e gli anatemi che lancia sui loro nemici diverranno testi sacri con cui, come tutti i testi sacri fanno, coglionarci tutti!

Fate caso al sincronismo tra un New York Times che, finalmente mostra le carte proclamando che è tempo di collaborare con l’Isis, naturale alleato, e di farlo vincere (era l’intenzione dall’inizio, ma poi s’erano inventati la “guerra al terrorismo”); la False Flag delle armi chimiche e lo scatenamento missilistico di Trump sulla Siria, con annuncio di imminente invasione; e la vicenda Del Grande, propedeutica al suo nuovo libro sui “partigiani jihadisti” e sulla naturale alleanza che si è stabilita tra loro e le popolazioni che felicemente se ne fanno governare (come, del resto, ampiamente dimostrato dai fuggiaschi controvoglia dall’Isis a Mosul e da Al Nusra ad Aleppo).

La gloria del martire, le fatiche di Sisifo
E lo tsunami è subito partito, con i soliti primi attori, attori non protagonisti, figuranti, comparse, veline. Una magnifica troupe di presstitute. La stessa del caso Regeni. Altrettanto graniticamente impegnati a occultare la vera identità del soggetto, per quanto documentata dai suoi trascorsi e presenti. Se non lo rilasciano presto, avremo le gigantografie sui municipi e i presidi di Amnesty e pacifinti in piazza. Sarà peggio dello sbarco in Normandia. Se lo lasciano presto, ce lo vedremo rifilato, insieme al nuovo libro, a schermi ed edicole unificate, fino a quando non apparirà, come Zelig, accanto al papa nella finestra dell’Angelus. Il libro andrà a ruba e il macigno che noi, altrettanti Sisifo, dobbiamo tornare continuamente a spingere su per la montagna sarà ancora più pesante.

Ho parlato di utili idioti e amici del giaguaro. Eccovene un campione tra quelli che hanno firmato l’appello per Del Grande. Trovate un po’ voi chi appartiene all’una o all’altra categoria. Tutti amici di “Fortress Europe”, molti senza averne mai neanche annusato gli afrori kosher.
Tra le associazioni e gli enti firmatari catanesi figurano: Borderline Sicilia; Borderline-Europe; Asgi sezione Sicilia; Rete Antirazzista Catanese; Cooperativa Quetzal – La Bottega Solidale – Modica; Filieque Iblee – Modica; Chiesa Cristiana Evangelica Battista – Catania; Chiesa Evangelica Valdese – Catania; Associazione culturale Gammazita; Catania Prc; Catania Coordinamento regionale dei comitati No MUOS; Circolo Città futura – Catania.

Pensierino cattivo. Chissà se spunta qualcuno che faccia un po’ di casino per il giornalista del Senegal, arrivato clandestino in gommone e detenuto da sei mesi nel CIE di Ponte Galera? Gli hanno mandato l’avvocato e il console? Hanno tappezzato di sue foto i municipi? Si sono mossi Alfano, Manconi, il manifesto, la lobby, Saviano e Formigli? Ha monitato Mattarella? Si sono stracciati le vesti tv e giornali? Hanno iniziato a costruirgli un monumento?

E ora, brevemente, alle altre due grosse fake news del momento.

A morte il negazionista. Anche del vaccino.
Forse se l’aspettavano, come quelli che, dopo Regeni contro Al Sisi, in questi giorni si giocano Del Grande contro Assad. Entrambe battaglie mirate a far prosperare la quinta colonna già colonialista, ora imperialista, dei Fratelli Musulmani. Un’ineccepibile, per completezza, correttezza, equilibrio, deontologia, trasmissione di Report, realizzata dal mio bravissimo ex-collega e amico al TG3, Sigfrido Ranucci, sulla questione vaccini ha commesso il crimine massimo, l’imperdonabile. Dopo aver ribadito la sua fede nell’utilità dei vaccini in generale (che io non ho e lo pagherò sul rogo), ha dato voce anche all’altro versante. A quella nutrita e del tutto responsabile schiera di scienziati, medici, cittadini, onorati anche dall’ospitalità offertagli dalle più rispettate riviste mediche, e a quei portatori di tragici casi con molta evidenza derivati dal vaccino contro il Papilloma virus che attacca la cervice dell’utero, i quali, sulla base di ricerche e dati statistici, ritengono ci sia il sospetto di effetti negativi, anche gravissimi, di quel vaccino e di altri, e che di conseguenza andrebbe, intanto, applicato il principio di precauzione e, poi, approfondita la ricerca.

Anche qui sbarco di Normandia. Il negazionista Ranucci va raso al suolo con tutti i ciarlatani complottisti che propagano irresponsabili negazionismi suscettibili di provocare danni irreparabili a milioni di bambini, fino a, quasi quasi, l’estinzione dell’umanità. Scatenamenti virulenti di supercompetenze mediche, scientifiche, istituzionali, come quelle della ministra Lorenzin, di tutt’altra estrazione e per la quale la formazione medica vale la mia in astrofisica dei buchi neri. Indignazione parossistica, bimbetti a rischio di venire sterminati dai criminali negazionisti, l’urlo “scienza! scienza! “a sfondare i timpani e il diritto ad avere un pacato confronto in tv, sui giornali, nelle aule scolastiche e universitarie. L’aspettavano, il botto di Ranucci. Sapevano bene che la contestazione ai dogmi miliardari di Big Pharma montava. Occorreva il pretesto. Difatti subito, come le emergenze antidemocratiche permanenti dopo un attentato terroristico, regioni che impongono il vaccino obbligatorio (visto che la morte, obbligatoriamente sotto controllo di Stato o di Chiesa, gli è sfuggita), ordini dei medici che radiano membri dal curriculum eccellente, ma macchiato dal dovere costituzionale che lascia ai cittadini il sacrosanto diritto di scelta. Manco fosse stata presa a schiaffi Eva Curie. E non una consorteria di speculatori truffaldini dal curriculum nero come Mengele. Hanno resuscitato Urbano VIII e hanno riprocessato Galileo Galilei. Un regresso di mezzo millennio.

Tutto la mia ammirata solidarietà al dr. Roberto Gava di Treviso, radiato dai pretoriani di Lorenzin e Big Pharma tutto il mio eticissimo odio a Big Pharma e ai suoi innumerevoli delitti. Come anche al Tribunale d’Ivrea che, nel quadro di un vero e proprio contrappasso rispetto a quelli che ululano contro chi non concorda sui vaccini, ha riconosciuto che un telefonino aveva provocato il cancro al cervello a un operatore di Telecom, sancendo così il legame tra cellulari e tumori, mai ammesso e tantomeno comunicato dalla “scienza”. Per la verità, bastava aver visto un bicchiere d’acqua bollire se posto accanto a uno di questi aggeggi.

Big Pharma, verso la sesta grande estinzione?
Non mi addentro nella diatriba, non ne ho la qualifica. Ma qualcosa so molto bene. Che tutto quello che fa Big Pharma e fa fare ai medici trattati a vacanze nei mari del Sud, prebende, convegni, riconoscimenti, è ombreggiato da un retro pensiero: avere (produrre) tante malattie per vendere tanti farmaci, fare tanti soldi e lobbizzare alla sudditanza la politica. Finchè c’è gente. Poi si vedrà. Il mio primo reportage sul tema lo feci per Paese Sera ad Aquisgrana, dove l’illustrissima Chemie Gruenenthal fu processata per aver mantenuto in commercio per anni il Talidomide, farmaco antinausea per puerpere, di cui i dirigenti sapevano che stava producendo migliaia di malformazioni nei nascituri. Anni ’60.

Anni ’90: viene ritirato dal commercio e sparisce l’AZT che, per gli indiscutibili propugnatori dell’esistenza del virus HIV e, dunque, dell’AIDS, ricettori di fantastilioni per le loro ricerche e i loro istituti e associazioni, doveva curare quella sindrome. Ma non la curava. Anzi, ammazzava quelli che alla sindrome scampavano. L’avevano creato negli anni ’60. Non serviva a niente. Bisognava trovare una malattia su cui fargli produrre profitti. La trovarono con l’AIDS, un virus che per sei Premi Nobel è una truffa. Come con l’amianto, come con l’uranio, lo sapevano. Ma lo tacevano. E uccidevano. Come le divinità dell’elettronica, Steve Jobs, Bill Gates, Tim Cook, sapevano che le onde elettromagnetiche dei loro apparati ci avrebbero distrutto il cervello. Ma ci puntavano proprio, via tumori, o via rimbecillimento e perdita del rapporto con la realtà. E’ il mandato affidatogli.

Pochi sono in grado di sancire chi, in fatti di scienza abbia ragione. Ma mille indizi, vale a dire mille malefatte, fanno una prova granitica di cosa siano e come operano i farmaceutici e i chimici in generale. Basterebbe solo la successione di epidemie farlocche che di Big Pharma fanno uno dei tre poteri dittatoriali del mondo, insieme ai petrolieri e agli armieri. Oppure quel trucco “scientifico” per cui ogni tanto le case farmaceutiche abbassano la soglia oltre la quale colesterolo, pressione e altri fenomeni diventano pericolosi e richiedono terapie. Scendere da 150 di pressione a 135 vuol, dire solo una cosa: milioni di ipertesi in più, milioni di dosi di statine (nocivissime) in più, milioni di talleri in più. Facile, no?

Una certezza però c’è sui negazionismi, fondati o meno che siano, di vaccini, olocausti, verginità di Maria, scie chimiche, santità di Padre Pio, sbarco sulla Luna, l’11 settembre. Chi li sfotte, perseguita, proibisce, punisce, manifesta debolezza della convinzione, insicurezze sull’argomento. Ne ha paura. Il che produce un perché grande come le Torri Gemelle. Complimenti ai 5 Stelle, gli unici che hanno espresso una posizione corretta, democratica.

Da Gladio a Igor il russo
La qualifica, del tutto infondata di russo e, addirittura di ex-membro dei terribili reparti siberiani di Putin, per poi finire riconosciuto serbo, comunque slavo, è solo l’effetto collaterale dell’operazione Igor Vaclavic, alias Ezechiele Norberto Feher. Per capire l’obiettivo principale basta ravvivare un tantino la nostra maltrattata memoria e andare a ritroso attraverso una serie di serial killer, la Banda delle Coop, i poliziotti e agenti killer della Uno Bianca, il terrorismo Stato-mafia, tutti attorno allo spartiacque tra prima e seconda repubblica, dopo il crollo del Muro, grande ricambio di gruppi d’interesse e relativi rappresentanti politici. E, risalendo, la strategia della tensione, le stragi e il golpe Borghese quando l’assetto capitalista-atlantista vacillava sotto i colpi di un movimento di massa, De Lorenzo tentato golpista e Stay Behind formalmente per sabotare un’occupazione sovietica, effettivamente per spostare a destra l’asse del paese. E dietro, sempre, la Cia.

Il fenomeno Igor è un episodio minore, ma forse il segnale di qualcosa che va avviato e di cui si sperimenta l’effetto. L’effetto collaterale è l’inserimento del ferocissimo ectoplasma (finora è solo presunto killer di due persone) nel filone geopolitico della russofobia e, per estensione, della serbo- e dunque slavofobia che, oltre tutto, ci assolve dal peccato di aver ucciso la Jugoslavia. Eccelso il razzismo hitleriano, o l’eugenetica Usa, con cui tale Veronica Tomassini sul “Fatto Quotidiano” ha tratto dall’operazione Igor lo spunto per parlare di una ”crudeltà slava e balcanica che è intraducibile e che risale alla radice di uno spirito nazionalista nel quale i giovani militari serbi venivano addestrati alla dissoluzione cieca e all’esaltazione del delitto… a uccidere una colomba a morsi… fino a sentirne la carne palpitare, il liquido rovinare tra i denti, in bocc… Igor, eccola la crudeltà slava chiusa con una smorfia… riassume il gene… che distrugge per distruggere”. Vi risparmio il resto di questo delirio, anche perché fa abbastanza schifo. Qualche boia come Clinton, Woytila, Schroeder e D’Alema, ne trarrà conforto.

Un finto russo per abituarci al gendarme a capo del letto.
E’ in corso l’impiego, delirante come i rigurgiti della Tomassini, di uno schieramento da invasione della Polonia, poliziesco e militar,e come non s’era mai vista sul territorio nazionale: forze speciali, truppe da sbarco, arditi incursori, carabinieri del Tuscania, reparti d’assalto di tutte le armi e polizie. Mancano solo le armate dell’Impero Galattico. Insomma Kabul. La più gigantesca e tecnologica caccia all’uomo mai scatenata, sul modesto spazio di 50 km quadrati, tra Bologna e Ferrara, dove tutto è piatto come un bigliardo, senza un anfratto, una grotta, un cunicolo, uno sprofondo. Quattro spegassi per alberi. Hanno mezzi per registrare ogni nostro passo e pensiero anche solo bisbigliato, ogni nostra intenzione, beccano il dna dal colpo di tosse per strada, hanno droni e satelliti che individuano scarafaggi tra le zolle. Ma da inizio aprile Igor è imprendibile. Bastano quattro canne, un canale, una zattera, a sottrarcelo.

Basta scherzi. Ricordate i Ros del colonello Mori che non perquisisce il covo di Riina e non cattura un Provenzano bell’e inchiodato? Qui si deve far grancassa mediatico-militare, sperimentare il controllo militare del territorio come in Val Susa, disorientare e spaventare la popolazione, tutta quanta a rischio di essere sgozzata da Igor, lo sa bene laTomassini. E più è spaventata la popolazione e più si ritrae nel suo guscio e si frantuma la società e meno si pensa alla catastrofe sociale, culturale, economica e politica italiana, che è peggio della pioggia di rane sull’Egitto, e più diventiamo come gli americani: ognuno titolato dalla legge sulla legittima difesa ad armarsi e a sparare al prossimo se solo fa bau. Così si dissolve la società e l’élite si rafforza.

Lo prenderanno, Igor, o lo faranno sparire per sempre. Una volta che anche l’effetto principale risulterà bene avviato.

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Quando il Vivente non creerà altro che Vita …


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Da    NOUS QUI DESIRONS SANS FIN
(Noi che desideriamo senza fine)

– 1996 – di Raoul Veneigem

QUANDO IL VIVENTE NON CREERA’ ALTRO CHE VITA …

“Generata dall’accoppiamento di un consumo esagerato di prodotti insussistenti con l’esigenza ufficiosa di acquistarli, la fecondazione del settore terziario ha partorito una burocrazia che vive da parassita sulla società attiva, tartassandola con i suoi prelievi finanziari.
Una reazione a questa tendenza prescrive di ritornare al settore primario, tradizionalmente destinato a gestire la sopravvivenza e ora in via di smantellamento a causa degli interessi di un capitalismo usuraio.

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L’essenziale, tuttavia, non basta più all’esistenza.
Non solo il comfort e gli agi, grazie ai quali si contava di ingannare la noia della sopravvivenza, hanno deluso le speranze, ma dalla ricchezza fittizia con cui si paludava la quotidianità è nato un sentimento di povertà vissuta che nulla potrà cancellare, se non la vita riscoperta e ricreata.
Ormai il minimo vitale non si limita più ai mezzi necessari per abitare, nutrirsi, vestirsi, spostarsi, istruirsi, incontrarsi.
Rientra fra le incombenze del neocapitalismo soddisfare bisogni secondari, accessori.

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Il neocapitalismo sostituirà le colture chimiche con la freschezza di legumi e frutti genuini, il sapore del manzo brado prenderà il posto di bovini martirizzati negli allevamenti concentrazionari che servono da modello per le strutture delle banlieus (periferie) e delle scuole; estirperà dai paesaggi i cancri di cemento prodotti dagli interessi immobiliari e reinventerà l’arte di abitare; depurerà l’aria dagli inquinanti chimici e nucleari; raccoglierà intorno a sé quelli che non intendono morire con un mondo che muore.

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Ma di tutti questi benefici resterà soltanto un’immensa delusione, se non impariamo sin d’ora ad affinare incessantemente, ispirandoci a ciò che l’economia ci tramanda di più piacevole e di più rischioso, i nostri desideri di una vita più umana.
Fino a raggiungere quello stato di grazia in cui il vivente non crea altro che vita.”

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Se questo era un auspicio (20 anni fa) e, oggettivamente, anche la possibilità che ‘avevamo’ (forse un po’ prima), beh … troppi hanno TRADITO …
Tradito l’uomo come specie vivente !!!

Ed i traditori, ancora oggi, vanno avanti a discutere delle rava e della fava, senza idee e senza (cito) “lo ‘sturm und drang’ che tradotto indica la tempesta o l’impeto interiore, che da origine all’Aufklarung, al rischiaramento e all’illuminazione, e che ha e dovrebbe contraddistinguere l’essere umano, dalla pallida fotocopia che è diventato, sempre più simile a un robottino…”

E la immane massa di ‘robottini’ belanti ed ubbidienti dorme il sonno dei (non) giusti …

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immacolate concezioni … parte seconda


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Nel contributo precedente (che trovate qui), a firma Odifreddi, si accennava al confronto, assolutamente necessario, di sottoporre i nostri punti di vista (o meglio chiamarli ‘fondamentali’ o ‘universali’ che sovraintendono i nostri ragionamenti e di conseguenza la nostra logica) a quelli di popoli altri, che formano la loro logica in base alla loro cultura di riferimento.
Possiamo porre la profonda domanda intorno alla ‘verità’:
chi è (tra noi e loro) più vicino alla verità?
E questa è pura filosofia !

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Però c’è un aspetto che ci riguarda come vicini di casa (abitando lo stesso pianeta);
abbiamo il ‘diritto’ (noi e loro) di vivere le nostre vite in una forma di rispetto reciproco, che può esserci, oppure nascere, solo dalla conoscenza delle rispettive culture?
E questa non è filosofia pura, ma, concretamente, la nostra capacità di capire, o cercare di capire, di acculturarsi, di esplorare, in ultima analisi, di migliorarci come esseri umani.
Gli anglosassoni hanno coniato il motto: Open mind.
Non si può non concordare.

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Ne consegue che … da:    C’ERA UNA VOLTA IL PARADOSSO

Capitolo IV:   IMMACOLATE CONCEZIONI

FACCIAMO GLI INDIANI

“La separazione fra apparenza e realtà rende problematica non solo l’epistemologia, ma anche l’ontologia (studio dell’essere, ma anche ‘enti’, variamente interpretabili in base alle diverse posizioni filosofiche ndr): si tratta infatti di capire di che cosa consista la realtà.
Come al solito le risposte possibili sono molteplici.

Ad esempio, secondo Platone esistono gli universali (i concetti) e secondo Aristotele i particolari (gli oggetti).
Queste risposte, benché antitetiche, concordano in almeno un punto: l’apparenza sensibile è in qualche modo causata da una realtà che esiste in modo indipendente da essa.
Il pensiero greco non arrivò mai a concepire la sola posizione che permette di formulare il dubbio ontologico sull’esistenza della realtà: il porre cioè la coscienza come soggetto che è, almeno come possibilità, indipendente dal mondo.

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In Occidente questa posizione dovette attendere Cartesio, e segnò la nascita della filosofia moderna.
In Oriente essa fu invece congeniale al pensiero indiano, nella cui storia una paradossale negazione del mondo è addirittura la tendenza dominante (benché non certo esclusiva).
Una volta introdotto un potenziale dualismo fra coscienza interna e mondo esterno, si presentano quattro soluzioni possibili al problema ontologico: entrambi esistono, solo uno esiste, nessuno esiste.
La posizione che prende più sul serio la coscienza è il ‘monismo idealista’, che afferma che solo la coscienza esiste.

Esso fu introdotto delle ‘Upanishad’, che risalgono al primo millennio a.C., e fu sistematizzato nel ‘Vedanta’, in particolare da Shankara.
Secondo questa tradizione la coscienza individuale (atman) coincide con quella cosmica (brahman).
Il mondo delle apparenze è invece una pura illusione (maya), un gioco che la coscienza gioca con se stessa e dal quale bisogna cercare di uscire.

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L’unione dell’atman con il brahman, cioè delle coscienze individuale e cosmica, si può raggiungere con un graduale distacco ascetico dal mondo, ottenuto mediante pratiche di concentrazione sulla coscienza.
L’illusorietà del mondo non sembra però implicare necessariamente un distacco da esso.

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Lo prova la ‘Bhagavad Gita’, il classico dell’Induismo del II secolo d.C.
Pur partendo da premesse analoghe al brahamanesimo, il cui brahman è personificato nel dio Vishnu, essa non solo permette, ma addirittura suggerisce di abbandonarsi dall’incomprensibile gioco, purché si mantenga uno spirito di distacco da esso.
Per dirla col Nietzsche della ‘Gaia Scienza’, *si deve continuare a sognare sapendo di sognare*.
La sostanziale ambiguità della Bhagavad Gita, che nega il mondo della teoria per poi affermarlo nella prassi, è eliminata dal ‘dualismo’, che ammette l’esistenza sia della coscienza che del mondo esterno.

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Questa è la posizione della ‘samkhya’, una scuola del VI secolo a.C., secondo la quale la mente è generata dall’incontro fra la coscienza e la materia.
L’incontro proietta nella mente un mondo di apparenze da cui ha origine il dolore.
E il dolore si può superare liberando la coscienza dalle apparenze attraverso le pratiche psicofisiche delle yoga, che mirano al distacco dal mondo.
Per il nostro immaginario, è forse più consono pensare l’intero processo usando il cinema come metafora.
A volte un’eccessiva immedesimazione in un film tragico può produrci una sofferenza
perfettamente reale.
Ma possiamo facilmente eliminare questa sofferenza, ricordandoci che stiamo appunto guardando un film: ad esempio staccando lo sguardo dallo schermo e rivolgendolo altrove in sala, oppure chiudendo gli occhi.
Una posizione imparentata con la precedente è quella del ‘giainismo’, che risale anch’esso al VI secolo a.C. (Qualcosa doveva evidentemente essere arrivato a maturità nell’uomo, se in uno stesso periodo si è verificata un’esplosione intellettuale globale che ha prodotto Eraclito e Parmenide in Grecia, Jina e Buddha in India, e Confucio e Lao Tze in Cina nda).

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I giainisti credono che la coscienza (jiva) permei la materia (ajiva) e ne sia imprigionata.
Per liberarla è necessario non solo il distacco, ma anche il rispetto e l’amore verso tutto ciò che si manifesta.
E poiché i giainisti credono che la coscienza sia presente anche nella materia inanimata, oltre che in quella animata, attivano a un concetto di non violenza assoluta (ahimsa), che è stato ripreso in tempi moderni dal Mahatma Gandhi.
Il distacco dal mondo si può perseguire comunque anche senza credere nell’esistenza della coscienza, individuale o cosmica che sia.
Lo mostra l’esempio del buddhismo, che non nega l’esistenza di processi mentali, ma non postula neppure un io distinto da essi.

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Il buddhismo ‘hinayana’ o ‘theravada’, detto anche ‘piccolo veicolo’, risale ancora una volta al VI secolo a.C. e sostiene un ‘monismo materialista’, secondo il quale solo il mondo fisico esiste.
Poiché la realtà del mondo è il dolore e questo è generato dall’attaccamento alla vita, per liberarsi dal dolore diventa necessario distaccarsi interiormente dalla vita, mediante la meditazione.
Si arriva così in ogni caso a una negazione del mondo, ma soltanto da un punto di vista etico e non più ontologico.
L’ultima posizione che ci rimane da esaminare è quella che prende più sul serio la negazione del mondo.
Si tratta del ‘nichilismo totale’, che nega l’esistenza sia della coscienza che del mondo esterno.

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Questo è l’ardito paradosso sostenuto nel II secolo d.C. da Nagarjuna, esponente del buddhismo ‘mahayama’, detto anche ‘grande veicolo’ (Piccolo e Grande si riferiscono all’enfasi posta rispettivamente sulla salvezza individuale o collettiva, che si raggiunge nel primo caso diventando ‘illuminati’ (arhat), e nel secondo ‘salvatori’ (bodhisattva).
Non è certo un caso che i paesi asiatici in cui il grande veicolo ha storicamente avuto il sopravvento – Cina, Vietnam – si siano rivelati più sensibili all’ideologia marxista di altri che storicamente hanno preferito il piccolo veicolo – Birmania, Thailandia, Sri Lanka – nda).

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Egli la espresse nel contraddittorio motto: *Tutto è niente*.
La coscienza, infatti, si inganna non soltanto sul mondo delle apparenze, ma anche su se stessa e può arrivare a percepire la verità dell’assoluto nulla mediante la concentrazione spirituale.
Questo nichilismo totale sembra piuttosto insensato, se preso in senso letterale.
Ma diventa ragionevole quando venga interpretato semplicemente come un rifiuto di postulare oggetti e soggetti, al di là delle percezioni e dei processi mentali.

La posizione decostruzionista secondo cui ci sono pensieri ma non pensatori, sensazioni ma non senzienti, azioni ma non agenti, effetti ma non cause, sarà introdotta in Occidente da David Hume (1711-1776) e portata alle estreme conseguenze da Jacques Deridda (filosofo, uno dei padri del decostruzionismo, morto nel 2004).”

Spero vi sia chiaro e utile comprendere che le influenze e le differenze dei pensieri e anche delle metafisiche da millenni girano per il mondo, anche influenzandosi, ma mai amalgamandosi.
Da ciò deriva la diversità che può essere positiva oppure negativa.
Il discrimine lo fa la conoscenza e la cultura… come sempre !

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