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Da: C’ERA UNA VOLTA IL PARADOSSO
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Capitolo: DIO E DIAVOLO S.p.A.
“Il primo apparire del paradosso nella storia è la nascita del Diavolo da Dio, cioè del male dal bene.
Agli inizi Dio è solo, un’unità indivisa, e tale rimane nelle religioni orientali.
Ma nel momento in cui decide di guardare se stesso egli si sdoppia, diventando automaticamente osservatore e osservato, e creando così una scissione.
In greco ‘scissione’ si dice appunto ‘diabolé’, un termine il cui contrario è ‘symbolé’: per questo Dio parla per simboli, e il suo ‘alter ego’ per contrapposizioni.
Il Diavolo (diabolos) è dunque il ‘divisore’, anche se altri suoi nomi ricorrenti nell’Antico Testamento sono Demonio (daimonia, ‘privo di valore’ o ‘nullità’) e Satana (satan, ‘avversario’).
L’analogo termine greco ‘diaballein, ‘gettare attraverso’, collega il Diavolo all’insinuazione.
[…]
Lo scopo esplicitamente dichiarato della tentazione del serpente è dunque il pensiero dualistico, basato sulla dicotomia vero/falso e contrapposto al pensiero olistico.
Il Diavolo si rivela come lo spirito della logica, e non a caso come tale viene descritto da Dante (cfr, Inferno XXVII – *tu non pensavi ch’io loico fossi’) e Goethe (cfr. Faust – *ti consiglio anzitutto di iscriverti ad un corso di logica).
Agli inizi la dicotomia Dio/Diavolo e vero/falso non è ancora completamente definita.
La Bibbia, infatti, non trascura il sorprendente tema della menzogna divina.
Ad esempio, il Salmo 89 accusa esplicitamente Iahvé di aver rotto il patto stipulato con Davide, e di non aver mantenuto gli impegni presi con il popolo eletto.
Ma è nel libro di Giobbe che le contraddizioni esplodono: tormentando ingiustamente un uomo giusto che, nonostante tutto, mantiene salda la fede, Iahvé si rivela moralmente inferiore a lui.
Nella risposta a Giobbe, Carl Jung isola in questo episodio il germe dell’incarnazione: poiché il Creatore si è rivelato inferiore alla creatura, e in possesso soltanto di una coscienza indifferenziata, egli decide di farsi uomo per migliorarsi e acquistare maggiore coscienza, e di morire in espiazione dei peccati che ‘lui stesso’ ha commesso nei confronti dell’umanità,
Nella psicanalisi Junghiana l’incarnazione diventa dunque una immagine mitologica della presa di coscienza psicologica da parte dell’inconscio.
E Cristo e Lucifero rappresentano le due polarità complementari della coscienza, finalmente ricomposta dopo la rimozione agostiniana del manicheismo (religione dualista ndr).
[…]
Nelle parole di Cristo il Diavolo diventa così padre della menzogna, e genera la sua progenie attraverso l’opera dei bugiardi.
Non stupisce allora che le Scritture abbiano fatto il possibile per rendere loro la vita difficile, ordinando di *non dire falsa testimonianza* (Esodo,XX, 16), ammonendo che *la menzogna uccide l’anima* (Sapienza, I, II), e minacciando che *la sorte dei bugiardi (e non solo ndr) è uno stagno ardente di fuoco e zolfo* (Apocalisse, XXI, 8).
Se Cristo, affermando *io dico la verità*, intende contrapporsi al Diavolo, quest’ultimo non potrà che affermare *io dico il falso*.
Questa è veramente un’affermazione diabolica, e genera un paradosso così subdolo che merita un intero capitolo.
Volendo contrapporsi a Iahvé, il Diavolo avrebbe invece dovuto affermare: *io non sono colui che sono*.
Non sappiamo se l’abbia mai fatto, ma è certo stato lui a suggerire l’affermazione al suo degno discepolo Iago, nell’Otello (I,I,65).
[…]
Dio che si fa uomo, un’immortale che diventa mortale, un onnipotente che finisce crocifisso, una sapienza rivolta agli ignoranti, una ricchezza riservata ai poveri, una potenza destinata ai deboli.
La fede cristiana viene esplicitamente descritta da Paolo come uno scandaloso manifestarsi della divinità, che sconfigge la ragione umana.
A Tertulliano, vissuto verso il 200 d.C., viene attribuita la memorabile frase:
*credo quia absurdum* (credo, perché è assurdo).
In maniera forse meno memorabile, ma nello stesso tono, Tertulliano ribadiva poi:
*E’ credibile che il figlio di Dio sia morto, perché è inconcepibile.
E’ certo che sia risorto, perché è impossibile*.
[…]
Anselmo d’Aosta inaugurò nel secolo XI una fase nuova della teologia, quando asserì: *credo ut intelligam* (credo per capire).
Egli contrapponeva la sua posizione a quella del *capisco per credere*, che sembrava essere la naturale conseguenza ontologica dell’esistenza di Dio.
Questa prova generò comunque un tentativo di ricostruzione razionale della teologia, durato tutta la ‘scolastica’ e culminato nella Summa theologiae di Tommaso d’Aquino, che mirava a ridurre la fede alla ragione. In altre parole, a eliminare appunto l’aspetto paradossale.
In tutt’altra direzione vanno le affermazioni del mistico Meister Eckhart (1260-1327), secondo il quale fuori di Dio non c’è che il nulla, e Dio stesso è nulla di nulla.
Le due dichiarazioni si completano a vicenda, poiché propongono da un lato un radicale nichilismo, e dall’altro un globale panteismo: tutto è niente, ma niente è Dio, dunque tutto è Dio.
[…]
Con Blaise Pascal la contrapposizione fra ragione e fede acquista, nel secolo XVII, il suo aspetto moderno.
Egli giunge a considerare sia il teismo che l’ateismo, in quanto prodotto di una attività intellettuale, equidistanti dalla vera religione cristiana ‘delle acque benedette e delle messe’.
Il altre parole il Dio dei filosofi e dei dotti non è quello dei miserabili e dei peccatori.
A quest’ultimo si arriva, tanto per cambiare, attraverso le contraddizioni, ma non più astrattamente intellettuali, bensì concretamente esistenziali.
Più precisamente, attraverso il peccato e la redenzione.
Se proprio c’è bisogno di un argomento per credere, non sarà più la ferrea logica a fornirlo, ma l’empirica teoria della probabilità.
Ecco dunque la famosa ‘scommessa’, secondo cui si rischia di meno a credere se Dio non c’è, che a non credere se Dio c’è.”
Quell’altro satanasso di Voltaire d’altra parte diceva:
*Dio non è un articolo di fede, ma il risultato della ragione.*
Vai tu allora a capire dove sta la ragione in tutti questi frementi pensieri …
Beh … io la mia idea me la sono formata … 😉
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