Diritti personali e Diritti Sociali – Seconda parte


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( qui la prima parte)

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Tratto dal libro  INTERVISTA SULL’IDENTITA’
di Zygmunt Bauman,
uno dei più lucidi osservatori e critici delle società ‘umane’.

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qui, la seconda parte della risposta di Bauman a precisa domanda:

“Alla fine di questa ritirata dello Stato sociale, rimane la corazza essiccata, infranta e raggrinzita delle ‘repubblica’, spogliata dagli attributi più attraenti.
Gli individui, impegnati a misurarsi con le sfide della vita e a cui è stato detto che devono cercare rimedi privati a problemi prodotti dalla società, non possono attendersi grandi aiuti dallo Stato.
Gli emaciati poteri statali promettono poco e garantiscono ancora meno.
Una persona razionale non ripone più fiducia nelle capacità dello Stato di fornire tutto ciò che è necessario in caso di disoccupazione, malattia o invecchiamento, di assicurare cure mediche decenti o un’adeguata istruzione.
Soprattutto una persona razionale non si aspetta che lo Stato protegga i suoi sudditi dai colpi sferrati apparentemente a casaccio dall’azione incontrollata delle forze globali.
E vi è perciò una nuova, ma già profondamente radicata, sensazione che, quand’anche si sapesse come debba essere una buona società, non si saprebbe dove trovare una istituzione che abbia la volontà e la capacità di realizzare i desideri popolari.
In definitiva, il significato di cittadinanza è stato dunque svuotato di buona parte dei suoi passati contenuti (veri o presunti che fossero), di pari passo col progressivo smantellamento delle istituzioni gestite o autorizzate dallo Stato su cui esso fondava la sua credibilità.
Lo Stato-nazione come abbiamo già notato, non è più il depositario naturale della fiducia del popolo (da noi, di sicuro! ndr).
La fiducia è stata bandita dal luogo dove ha dimorato per la maggior parte della storia moderna.
Ora vaga qua e là alla ricerca di nuovi approdi, ma nessuna delle alternative a disposizione è riuscita fino a questo momento a eguagliare la solidità e l’apparente ‘naturalezza’ dello Stato-nazione.
C’è stato un tempo in cui l’identità umana veniva determinata in primo luogo da ruolo produttivo svolto nella divisione sociale del lavoro, quando lo Stato faceva da garante (nelle intenzioni e nelle promesse, anche se non nella pratica) della solidità e durata nel tempo di quel ruolo, e quando i sudditi potevano chiamare le autorità a rendere conto se lo Stato veniva meno alle sue promesse, e si sottraeva alle responsabilità che si era assunto per la soddisfazione dei cittadini.
Questa ininterrotta catena di dipendenza e sostegno poteva plausibilmente fornire la base per qualcosa di simile al ‘patriottismo costituzionale’ di Habermas.
Sembra però che un appello al ‘patriottismo costituzionale’ come rimedio per i problemi attuali segua le abitudini della nottola di Minerva, nota fin dai tempi di Hegel, per spiegare le sue ali al tramonto, quando il giorno è finito…
Si indaga appieno sul valore di una cosa quando questa viene a mancare o va in rovina.
Nello stato di cose presente non c’è molto che lasci nutrire speranze sulle ‘chances’ del patriottismo costituzionale.
Perché il moto centripeto dello Stato riesca a prevalere sulla spinta centrifuga degli interessi locali e di settore e altri interessi particolaristici, di gruppo o autoreferenziali, lo Stato deve essere in grado di offrire qualcosa che non può essere conseguito con efficacia a un livello più basso, e stringere insieme le maglie della rete di sicurezza che altrimenti si sfilaccerebbero.
L’epoca in cui lo Stato era capace di una simile impresa e si nutriva fiducia nella sua capacità di fare tutto il necessario per portare a termine il suo compito, è abbondantemente tramontata.
Gli abitanti di una società sempre più privatizzata e deregolamentata non vedono più lo Stato come un destinatario affidabile per le loro lamentele e richieste.
E’ stato loro detto, ripetutamente, di far conto sulle proprie abilità, le proprie capacità e il proprio impegno; di non attendersi la salvezza dall’alto; di dare la colpa a se stessi, alla propria indolenza e accidia se inciampano o si rompono una gamba nel loro percorso individuale verso la felicità.
Non si può dar loro torto se pensano che le alte sfere si siano lavate le mani di ogni responsabilità per il loro destino (con la possibile eccezione di azioni come mettere dentro i pedofili, ripulire le strade da malintenzionati, fannulloni, mendicanti e altri indesiderabili e far retate di potenziali terroristi prima che diventino terroristi veri).
Si sentono abbandonati alle proprie (dolorosamente inadeguate) risorse e alla propria (assai confusa) iniziativa.
Cosa sognano, e cosa farebbero se non avessero la possibilità, questi individui solitari, abbandonati, desocializzati, atomizzati?
Una volta che i grandi porti sono stati chiusi, che quelle attrezzature che li rendevano invitanti sono andate perdute e i frangiflutti che li rendevano sicuri sono stati smantellati, gli sventurati marinai sarebbero inclini a costruirsi e delimitarsi un piccolo approdo personale dove gettare l’ancora e depositare le loro orfane e fragili identità.
Non fidando più nella rete di navigazione pubblica, manterrebbero gelosamente la guardia all’ingresso del loro approdo privato, per difenderlo da qualsiasi intruso.
Per una mente lucida, l’odierna, spettacolare ascesa dei fondamentalismi non ha niente di misterioso.
E’ tutto fuorché disorientante e inaspettata (sic).
Feriti dall’esperienza di abbandono, uomini e donne dei nostri tempi sospettano di essere pedine nel gioco di qualcun altro, senza la protezione contro le mosse fatte dai grandi giocatori, e ripudiati e spediti tra i rifiuti non appena i grandi giocatori non li considerano più redditizi.
Consciamente o inconsciamente, gli uomini e le donne dei nostri tempi sono ossessionati dallo: *spettro dell’esclusione.
Sono consapevoli che già milioni di persone sono state escluse, e che per coloro che cadono al di fuori del sistema funzionale, che sia in India, in Brasile o in Africa, o adesso addirittura in molti quartieri di New York o di Parigi, tutti gli altri diventano presto inaccessibili.
Nessuno ode più la loro voce, spesso vengono letteralmente ridotti al silenzio*, (cfr. The Transformation of Modernity – Hauke Brunkhorst)
E hanno dunque paura di rimanere soli, senza la prospettiva di qualcuno che li ami o li aiuti, patendo crudelmente la mancanza di calore, del comfort e della sicurezza della socialità.
Non c’è perciò da meravigliarsi che per molte persone la promessa di ‘rinascere’ in una nuova casa calda e sicura come una famiglia rappresenti una tentazione cui riesce difficile resistere.
Avrebbero forse preferito qualcosa di diverso dalla terapia fondamentalista, una sicurezza che non comprende la cancellazione della propria identità e la rinuncia della propria libertà di scelta, ma questo genere di sicurezza non è disponibile.
Il ‘patriottismo costituzionale’ non è un’opzione realistica per questi individui, mentre una comunità fondamentalista appare fascinosamente semplice.
E allora non ci pensano due volte a immergersi nel suo calore, anche prevedendo di dover pagare successivamente un prezzo per questo piacere.
D’altronde non sono stati allevati in una società di carte di credito, che insegnano a non posticipare il desiderio?”

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Il libro, come abbiamo già detto, è del 2003, e da, esatta e chiara, l’importanza della ‘sociologia’ che studia i fenomeni sociali.
In questo senso, nel testo appena letto, c’è molta ‘premonizione’ perché l’osservazione realistica, viene poi ‘processata’ dalla logica, che non è, né inventabile al momento, né interpretabile.
Infatti, procede per assiomi… 
Poi, però, bisognerebbe riflettere su che cosa siano i ‘fenomeni sociali’.
Mentre, anni fa, si poteva pensare che nascevano ‘spontaneamente’ dalla gente ‘sociale’, oggi, e da tempo, non è più così.
I fenomeni sociali sono creati ‘ad arte’ con intenti e finalità speculative che niente hanno a che fare né con lo Stato né con la società… (Berlusconi docet).
Il problema è che la gente non se ne è ‘ancora’ accorta.

Oggi più che mai si possono comprendere i ‘pensieri’ del noto pessimista Schopenhauer, però arguto analista dei comportamenti umani (in certe occasioni, sarebbe più corretto dire ‘umanoidi’, quindi una parvenza di…)
Un vecchio detto boemo d’altra parte recita:
Chi è un pessimista? Un ottimista che si informa…
Eggià … ma come e dove si informa?
Ormai è conclamato, che l’informazione che viene diffusa non è in realtà ‘informazione, ormai si è presa l’abitudine di buttare lì una notizia o un’anticipazione non vera, per poi analizzare le ‘reazioni’ che daranno successivamente origine alla decisione manipolatoria.
(citazione)

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l’ Espertismo


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Eccovi una intervista di Jacques Chavagneux a Jacques Sopir,
riportata in   ALTERNATIVES ECONOMIQUES   (2003)
IL REGNO DEL LIBERAL-STALINISMO

“Per ‘espertismo’ intendo la combinazione di due cose.
Da un lato, il fatto di esprimere pareri senza dare la possibilità di verificarli; l’esperto deve (o dovrebbe ndr) sempre dire su quale base fonda il suo parere, dando così gli elementi necessari per criticarlo (con la medesima regola ndr), l’unica cosa che rende possibile il dibattito,
Altrimenti si cade in un discorso ideologico, dove si utilizza un lessico dotato di una parvenza scientifica per conferire autorevolezza all’argomentazione.
Dall’altro lato, il fatto di presentarsi come un semplice consulente, mentre si ha la responsabilità della decisione.

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L’ ‘espertismo’ comporta dunque una duplice irresponsabilità: una di natura politica, dovuta alla confusione fra le due figure, l’esperto e il responsabile della decisione (il che si traduce nella confusione fra legittimità politica e legittimità scientifica) e di una scientifica (o para-scientifica ndr), consistente nell’emettere pareri normativi e prescrittivi senza dare la possibilità di verificarli, oppure pretendendo che tali pareri si sottraggano al dibattito e alla verifica.
L’ ‘espertismo’ è dunque il contrario del parere dell’esperto, che deve darsi per quello che è:
un parere verificabile e contestabile, senza la pretesa di fondare in se stesso la sua legittimità.
Aggiungo che l’ ‘espertismo’ non è un vizio dei soli economisti (anche se con loro tocca spesso il culmine) ma può manifestarsi anche in tutte le altre discipline, dalla medicina alla geologia.”

Ora (dopo quasi 3 lustri), provate a sovrapporre queste parole alla situazione politica, economica, sociale che stiamo vivendo.
Ci sono ‘espertisti’ da tutte le parti (e sono peggio dei funghi in una giornata uggiosa) ma siamo nella ‘mxxxa’ fino al collo.
Di chi è la colpa?
Boh !!! Ed ecco che inizia lo ‘scaricabarile’, e, alla fine, non c’è MAI un responsabile.

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Consip, Lavia vs Travaglio: “Sei un manettaro, pubblichi patacche”. “E tu un asino, ripeti a pappagallo quello che dice Renzi”


 

Sorgente:     Consip, Lavia vs Travaglio: “Sei un manettaro, pubblichi patacche”. “E tu un asino, ripeti a pappagallo quello che dice Renzi” – Il Fatto Quotidiano

ahahahahahah … un giornalista contro un servo …

Diritti personali e Diritti Sociali


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Tratto dal libro  INTERVISTA SULL’IDENTITA’
di Zygmunt Bauman,
uno dei più lucidi osservatori e critici delle società ‘umane’.

DOMANDA : Dobbiamo a Thomas Marshall (sociologo e storico inglese, foto sotto ndr) il primo discorso in cui i diritti sociali di cittadinanza vengono visti come una cornice al cui interno ci si sveste degli abiti delle identità collettive indossando quelli del cittadino.
Da allora le identità sono uscite dalla nebbia della grande trasformazione per popolare l’epoca moderna.
Come ha luogo questo cambiamento secondo lei?

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BAUMAN : Questa storia è stata raccontata molte volte: e ogni generazione moderna ha sognato un repubblica che riconosca nei suoi membri l’umanità e offra loro tutti i diritti dovuti agli esseri umani solo in quanto esseri umani, in cui l’umanità sia l’unico criterio di inclusione, e che nel tempo stesso sia pienamente tollerante, magari perfino cieca e dimentica, nei confronti dei capricci personali e delle eccentricità dei suoi membri (a patto, naturalmente, che non si facciano del male tra di loro);

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il ‘patriottismo costituzionale’ di Jurgen Habermas è la versione più recente di questo sogno.
E non c’è da meravigliarsi.
Una repubblica del genere sembra essere la migliore soluzione immaginabile al più straziante dilemma di ogni forma di socialità umana: come fare a vivere insieme con un livello minimo di conflitto e lotta e allo stesso tempo conservare intatta la libertà di scelta e di autoaffermazione?
In breve: ‘come ottenere l’unità nella (o nonostante la ?) differenza e come preservare la differenza (nonostante la ?) unità’?
Il grande contributo di Thomas Marshall è stato quello di generalizzare la sequenza degli sviluppi politici in Gran Bretagna in una ‘legge storica’ che conduce inestricabilmente, dovunque, presto o tardi, dall’habeas corpus a leggi politiche e poi sociali.
Alla soglia dei ‘trent’anni gloriosi’ di ricostruzione post-bellica e ‘patto sociale’, la soluzione britannica al dilemma summenzionato appariva davvero inevitabile e alla lunga irresistibile.
Era, dopo tutto, la logica conseguenza dell’essenza del credo liberale, e cioè che per diventare cittadino a tutti gli effetti si debbano possedere le risorse che consentono di non dedicare tutto il tempo e l’energia alla mera lotta per la sopravvivenza.
Lo strato più basso della società, i proletari, non possedeva queste risorse ed era improbabile che potesse ottenerle lavorando e risparmiando: era perciò la stessa Repubblica che doveva garantire la soddisfazione dei loro bisogni di base in maniera da agevolare la loro integrazione nell’assemblea dei cittadini…
In altre parole: c’era la speranza (la convinzione) che una volta raggiunta la sicurezza personale rispetto all’oppressione, la gente si sarebbe unita per regolare i propri affari comuni attraverso l’azione politica, e che il risultato della sempre più vasta (alla fine universale) partecipazione politica sarebbe stato una sopravvivenza collettivamente garantita: protezione dalla povertà, dalla disgrazia della disoccupazione, dall’incapacità di sbarcare il lunario.
In poche parole: una volta libere, le persone sarebbero diventate politicamente impegnate e attive, e queste persone, a loro volta, avrebbero promosso equità, giustizia, aiuto reciproco e fratellanza.
Si dovrebbe fare attenzione prima di proclamare che una sequenza storica è espressione delle ‘ferree leggi della storia’ e della inevitabilità storica.
Si dovrebbe stare ancora più attenti a trarre conclusioni affrettate sulla ‘logica dello sviluppo’ prima che questo sviluppo abbia avuto il suo corso.
Nessuno può dire se, o in che punto, una sequenza di eventi si concluderà: la storia umana rimane ostinatamente incompiuta, e la condizione umana sotto-determinata.
All’epoca in cui scriveva Marshall, la variante britannica del ‘welfare state’ (che a mio parere sarebbe meglio chiamare ‘Stato sociale’) appariva il punto di arrivo della logica moderna, il giusto coronamento di una tortuosa ma inesorabile e inarrestabile tendenza storica, magari concepita localmente ma destinata a venire emulata, con modifiche ma conservando gli elementi essenziali, da tutte le ‘società sviluppate’.

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Guardando in retrospettiva, quella conclusione appare quantomeno prematura.
Appena trent’anni dopo che Lord Beveridge (ispiratore dell’Internazionale Liberale ndr) aveva apportato gli ultimi ritocchi al progetto di assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, e che la rosea, ottimistica visione di Marshall era stata data alle stampe, Kenneth Galbraight (grande economista ndr) registrava la nascita delle ‘maggioranza soddisfatta‘ che usava i diritti personali e politici recentemente acquisiti per far votare le leggi che toglievano ai loro concittadini meno intelligenti o astuti una parte crescente dei loro diritti personali. Contrariamente alle previsioni di Marshall e di Beveridge, la capacità dello Stato sociale di rendere la maggioranza delle persone sicure di sé e soddisfatte ha finito col minare alla base le sue premesse e le sue ambizioni invece che rafforzarle.

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Paradossalmente, quel senso di sicurezza di sé che ha indotta la ‘maggioranza soddisfatta’ a ritirare il proprio sostegno al principio fondamentale dello Stato sociale, quello di un’assicurazione collettiva contro le disgrazie individuali, è stato il frutto del clamoroso successo dello Stato sociale …
Arrampicatasi fino al livello di un’autentica disponibilità di risorse, fino a una posizione da cui un vasto assortimento di opportunità appariva alla portata di chiunque avesse la disposizione di mezzi sufficienti, questa maggioranza ha dato un calcio alla scala senza la quale salire fino a quel punto sarebbe stato avventuroso se non proprio impossibile.
Il processo è stato auto-propellente e auto-accelerante.
Il cambiamento nei sentimenti popolari ha avuto come risultato il lento ma consistente ridursi della protezione che l’ormai non più onnicomprensivo Stato sociale era disposto a offrire ed era in grado di offrire.
Per prima cosa, il principio di assicurazione collettiva come diritto universale del cittadino è stato sostituito, tramite il metodo del ‘means testing’ (l’accertamento delle fonti di reddito), dalla promessa di assistenza diretta solamente a quelle persone che non superavano l’esame della disponibilità di risorse ed autosufficienza, e quindi, implicitamente, l’esame di cittadinanza e di ‘piena umanità’.

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La dipendenza dalle sovvenzioni statali ha così smesso di essere un diritto del cittadino, diventando un marchio che le persone con rispetto di sé fuggono come la peste.
In secondo luogo poi, in omaggio alla regola che le prestazioni per i poveri sono prestazioni ‘povere’, i servizi di assistenza sociale hanno anche perso gran parte della loro attrattiva di un tempo.
Questi due fattori hanno dato maggior impulso, velocità e dimensioni alla fuga della ‘maggioranza soddisfatta’ dall’alleanza ‘traversale’ a sostegno dello Stato sociale.
Ciò ha condotto a sua volta a una limitazione e una graduale interruzione delle successive prestazioni sello Stato sociale e a una generale incapacità di agire delle istituzioni del ‘welfare’, a corto di fondi.”
Fine PRIMA PARTE

Detto che il libro è del 2003 e che la visione è assolutamente indiscutibile ed incontrovertibile, quindi da facile profeta, la domanda che viene spontanea è:
Chi ha ‘tradito’.
La destra?
La sinistra?
Tutte e due?
E/oppure quelli che, dichiarandosi (più o meno urlando) di dx o di sx, alla fin fine (cioè appena divenuti ‘soddisfatti’ si sono (soddis)FATTI solo e soltanto i caxxi loro?

E parlando di loro un amico un giorno me li ha ‘descritti’ definendoli “liberi e benpensanti che dovrebbero, comunque, finirla di stracciare i ‘marroni’ e ad eleggere ‘sta banda di cialtroni e inetti, tutti col naso dal lungo al lunghissimo, e tutti con un seguito di nani e ballerine con la lingua marrone testa di moro, ma … soddisfatti … molto soddisfatti …

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ricordi …


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Mostrami il significato dello stare soli

Così tante parole per il cuore spezzato
è difficile vederlo in un amore color rosso sangue
è così difficile respirare
cammina con me, e forse
notti di luce così presto diverranno
selvagge e libere, io potrei sentire il sole
mi dicevano che ogni mio desiderio sarebbe stato esaudito

Mostrami il significato dello stare soli
è questa la sensazione con la quale devo camminare?
dimmi perchè non posso essere lì dove sei tu
c’è qualcosa che manca nel mio cuore

La vita va avanti, non finisce mai
occhi di pietra osservano le direzioni
non dicono mai di fissare qualcosa per sempre
strade colpevoli verso un amore infinito
non c’è controllo, sei con me adesso?
mi dicevano che ogni mio desiderio sarebbe stato esaudito

Mostrami il significato dello stare soli
è questa la sensazione con la quale devo camminare?
dimmi perchè non posso essere lì dove sei tu
c’è qualcosa che manca nel mio cuore

Non c’è nessun luogo in cui io possa scappare
non ho nessun posto dove andare
mi arrendo al mio cuore, corpo e anima
com’è possibile, mi stai chiedendo di provare
cose che non mi hai mai mostrato

Manchi tu nel mio cuore
dimmi perché non posso essere lì dove sei tu

Mostrami il significato dello stare soli
è questa la sensazione con la quale devo camminare?
dimmi perché non posso essere lì dove sei tu
c’è qualcosa che manca nel mio cuore

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