OGNI LIMITAZIONE PORTA FELICITA’


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3092

Ecco alcune righe da AFORISMI SULLA SAGGEZZA DEL VIVERE di Arthur Schopenhauer che ricordo, fu fatto passare per un misantropo e pessimista, anziché per un uomo saggio e disincantato.
Lascio a voi le eventuali riflessioni e meditazioni, ed anche le possibili similitudini con personaggi contemporanei.

Capitolo: OGNI LIMITAZIONE PORTA FELICITA’

“[…]
La società, per sostituire l’autentica superiorità spirituale (che essa non tollera, e che del resto si trova difficilmente) ha adottato una superiorità falsa, convenzionale, basata su codici arbitrari, trasmessa per tradizione dai ceti più elevati, e come la sua parola d’ordine mutevole: è ciò che viene chiamato etichetta, bon ton, fashionableness.
Quando tuttavia viene in collisione con quella autentica, questa superiorità mostra la sua debolezza.
E poi: ‘Quand le bon ton arrive, le bon sens se retire’.
In generale ognuno può essere in ‘perfetta armonia’ soltanto con se stesso; non con il suo amico, non con la sua amante, perché le differenze di personalità e di temperamento comportano sempre una sia pur leggera dissonanza.
Per questo la vera, profonda pace del cuore e la perfetta tranquillità dell’animo, questo supremo bene terreno, accanto alla salute, si trovano soltanto nella solitudine, e come condizione psicologica durevole solo nella vita più appartata.
Se allora il proprio Io è ricco di grandi qualità, è possibile godere la condizione più felice concessa su questa misera terra.
Anzi, diciamolo chiaro: per quanto l’amicizia, l’amore e il matrimonio possano legare strettamente gli uomini. ognuno in fondo è completamente schietto solo con se stesso, e tutt’al più con il proprio figlio.
Quanto meno uno è costretto, da circostanze oggettive o soggettive, a venire in contato con gli altri tanto migliore è la sua condizione.
[…]

3093

Chi peraltro ama la compagnia può trarre, dal nostro scritto, la regola per cui ciò che scarseggia in qualità nelle persone della sua cerchia, dev’essere in qualche modo rimpiazzato dalla quantità.
Egli può accontentarsi di frequentare un’unica persona intelligente; ma se non si trova altro che qualità ordinaria, sarà bene averne molti campioni, affinché dall’assortimento e dalla cooperazione sortisca qualcosa, e che il cielo gli conceda la pazienza necessaria.
Al vuoto interiore e alla meschinità della gente si deve anche attribuire il fatto che se talora, in vista di un nobile ideale, gli uomini migliori si raccolgono in una associazione, l’esito è quasi sempre il seguente: anche là si insinuano e si intrufolano alcuni rappresentanti di quella sottospecie umana la quale, come una sterminata orda di parassiti che tutto riempie e ricopre, è sempre pronta a dare addosso a chiunque, senza distinzione, per dare sollievo alla propria noia come, in altre circostanze, alle proprie carenze; allora quelli o mandano in malora l’intero progetto, o lo modificano in modo che ne risulti qualcosa di diametralmente opposto alle primitive intenzioni.
Del resto si può anche considerare la socievolezza come un modo adottato dagli uomini per scaldarsi l’un l’altro spiritualmente, come avviene quando c’è un freddo tale che gli uni si addossino agli altri per riscaldare il corpo.
Ma chi possiede in proprio un grande calore spirituale non ha bisogno di un tale raggruppamento.
[…]
Considerato tutto ciò, si può affermare che la socievolezza di ognuno è più o meno in rapporto inversamente proporzionale al suo valore intellettuale: e che quando si dice *quello è assai poco socievole* si dice pressapoco *quello è un uomo di grandi qualità*.
All’uomo di spiccate doti intellettuali la solitudine offre un duplice vantaggio: primo, stare con se stesso, e secondo, non stare con gli altri.
A quest’ultimo si attribuisce un alto valore quando si consideri quanta costrizione, quanti inconvenienti e persino quanti rischi comporta ogni relazione umana.

3094
Dice La Bruyere (scrittore francese del XVII secolo ndr):
*Tout notre mal vient de ne pouvoir etre seul*.
[…]
Per conseguire la felicità che vine da un animo tranquillo, i cinici (qui intesi come aderenti a una filosofia ndr) rinunciavano a ogni possesso materiale: chi per il medesimo scopo, rinuncia alla società, ha scelto la via più saggia.
Giuste e belle sono a riguarda le parole di Bernardin de Saint Pierre:
*La diète des aliments nous rends la santé du corps, et celle des hommes la tranquillité des l’ame*
(la dieta degli alimenti ci da la salute dei corpi, quella degli uomini la tranquillità dell’anima).
[…]
In ogni caso, negli individui, l’intensificarsi della propensione all’isolamento e alla solitudine è una conseguenza del loro valore intellettuale.
Infatti, come abbiamo detto, quella non è una tendenza naturale, sorta direttamente dai bisogni, ma solo un effetto di esperienze vissute e di riflessioni sulle stesse, in particolare un effetto della raggiunta consapevolezza della scadente qualità morale e intellettuale della maggior parte degli uomini; il peggio di tale umanità è che, nell’individuo, le imperfezioni morali e intellettuali cospirano per potenziarsi a vicenda, dal che risulta tutta una serie di fenomeni assai antipatici che rendono incresciosi, anzi intollerabili i rapporti con la maggior parte degli uomini.
Così accade che, con tutto quello che c’è al mondo di cattivo, la cosa peggiore è la società: tanto che lo stesso Voltaire, un francese e uomo socievole quant’altri mai, è stato costretto a dire:
*La terre est couvert de gens qui ne méritent pas qu’on leur parle*
(La terra è piena di persone che non meritano che si parli loro).
Il medesimo motivo è addotto dal dolce Petrarca per spiegare il suo intenso e costante amore della solitudine:
*Cercat’ho sempre solitaria via
(le rive il sanno, e le campagne, e i boschi)
per fuggir quest’ingegni storti e loschi
che la strada del ciel hanno smarrita* “

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Ora, la domanda viene da sé: queste pagine non vi ricordano qualcuno o qualcosa?

3095E, nell’insieme, un mondo che si rappresenta sventolando la parte peggiore dell’essere umano che, ipocritamente, si nasconde dietro una maschera di apparente ‘perbenismo’ che, i più attenti, cioè gli ‘Anti’, hanno capito, e da tempo, essere come la mela della strega di Biancaneve: avvelenata, di un veleno che sta ‘uccidendo’ l’umanità, nei suoi aspetti più nobili: generosità, solidarietà, gratuità, coraggio, ideali.
(citazione)

Guerra & Memoria


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3091

GUERRA TRA BANDE

Questa notte l’Imperatore (sotto ricatto) ha sparato 59 missili contro la Nazioni Unite, contro la comunità internazionale.
L’Impero, tramite un ricattato, ha deciso, da solo, di definire la legge che dovrebbe essere di tutti.
Chi ha usato le armi chimiche in Siria deve ancora essere stabilito da una commissione internazionale.
Ora la questione — che può decidere la nostra vita, di tutti — è se questo Impero traballante vuole andare fino in fondo, uccidendo Bashar el Assad, come ha fatto con Gheddafi, e distruggendo uno stato sovrano, oppure si fermerà sull’orlo dell’abisso.

Giulietto Chiesa

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Il neo presidente Usa ha affermato che questa azione è scaturita dalle immagini di ‘quei’ bambini morti … che i bambini non devono morire per le guerre …

vorrei sommessamente rammentargli che i bambini neppure si strumentalizzano usandoli come pretesto, vorrei rammentargli che non si contano i civili ed i bambini morti a causa delle migliaia di bombe sganciate dai suoi aeroplani, a causa dei missili lanciati dalle sue navi, a causa delle armi che procura in quantità industriale alla feccia di tutto il mondo …
e già che ci siamo ricordiamogli anche i civili suoi concittadini ‘auto sacrificati’ sull’altare del potere e del denaro l’11/9/2001 …

ma probabilmente i bambini del mondo non sono tutti uguali …
ci sono quelli che sono ‘più’ bambini di altri …

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La Vergogna di essere Uomo


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2878

Ci sono alcune pagine del libro SENZA VERGOGNA di Marco Belpoliti che si inseriscono perfettamente nel discorso che riguarda, come si evince dal titolo, la vergogna che pare essere un sentimento che non si prova più, unito al pudore, altro sentimento (da non confondere con i tabù o le inibizioni di cattolica memoria) ma, piuttosto, come la capacità di porsi dei limiti morali (e non moralistici) nel nostro comportamento verso gli altri, fermo restando la libertà della nostra fantasia di spaziare come più le aggrada, a patto che sappia, a priori, che ‘certe’ fantasie devono rimanere tali.
E’ anche una questione che riguarda la nostra salute psichica che non deve avere né lacci né laccioli, ma deve essere capace di darsi una misura, pena diventare una scheggia impazzita.
Il testo seguente, esplora con metodo filosofico e psicologico, i percorsi (più o meno accidentati) delle nostre menti, che alcuni riescono a condurre mentre molti altri vengono condotti, con risultati, il più delle volte, disastrosi.
Per conferma guardarsi in giro !
(citazione su cui concordo)

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3084

“Gunther Anders (filosofo tedesco) si lascia andare a una conversazione con un americano (qui indicato come R.).
Parlano della vergogna, quella che anche R. ha provato, con Anders, a sera prima a Hiroshima.
Ma sul tema i due hanno pareri opposti.
R. si vergogna ‘in quanto peccatore’, come chi, essendo uomo ‘avrebbe potuto farlo’. Aggiunge: in un certo senso ‘l’ho fatto’.
Questo modo di accusarsi al condizionale, questo tentativo di sembrare peggiori, sembra al filosofo tedesco inammissibile: un modo illecito di commuoversi, una finzione.
Un’ipocrisia.
Anders si indigna: non l’ha fatto! A R.. dice, manca il coraggio di riconoscere la propria mancanza di cattiveria.
Si nega l’innocenza, vuole essere cattivo come gli altri.
La vergogna come schermo?
Probabilmente sì.
Una vergogna posticcia, sembra suggerire Anders.

3085

Le lacrime di coccodrillo, come si dice, con una metafora animale.
Il filosofo replica:
*Ma io non l’ho fatto, e non avrei mai potuto farlo, e anche lei non avrebbe potuto farlo*.
R. si indigna a sua volta moltissimo: gli sembra che ‘il mio rifiuto di colpevolezza sia addirittura sfacciato’, ma soprattutto a farlo infuriare è l’impressione che il suo voglia sottrargli la superiorità che crede di aver acquisito mediante la sua confessione, ‘ il che, dice, non è vero’.
Non si può fare a meno di percepire qualcosa di cattolico nell’atteggiamento di R., per via del perdono implicito in quella confessione: siamo tutti colpevoli.
Anders sembra replicare: *no, solo chi decide di commettere l’errore, di essere corresponsabile, di fare ciò che non va fatto, sganciare la bomba, e prima ancora di averla fabbricata*.
Anders è ebreo, e questo si percepisce nel sottofondo delle sue argomentazioni riguardo alla vergogna: non concepisce il pentimento (soprattutto se è ‘a comando’ ndr), la confessione dei propri peccati (a chi? ndr), presta una particolare attenzione alla questione della responsabilità personale.

3086

La responsabilità è un tema proprio anche a Hannah Arendt, come Anders allieva di Heidegger.
Sullo sfondo di questo discorso si staglia il tema dl ‘male minore’.
La questione del ‘male minore’ l’ha sollevata in modo critico per la prima volta questa filosofa in una conferenza del 1964, ‘La responsabilità personale sotto la dittatura’.
Riguarda gli eventi della Seconda guerra mondiale, su cui anche Anders si è soffermato, ma adombra il tema della responsabilità delle democrazie occidentali, il tema delle armi nucleari (o chimiche, per attualizzare ndr), della collaborazione degli scienziati ai progetti militari.
[…]
Questo è anche il tema del dialogo tra Anders e R. nell’albergo di Nagasaki.
Il filosofo ricorda a se stesso una lettura di quarant’anni prima : Sant’Agostino nelle CONFESSIONI, fonti della teoria del male minore.
Quella dottrina del ‘pentimento al condizionale’, letta nelle pagine del teologo e santo, aveva suscitato la sua profonda antipatia.

3087

In un colloquio notturno con J. (probabilmente Jaspers , di cui era allievo ndr), Anders lo accusa di essersi assunto a tutti i costi una parte di colpa.
Allude ovviamente al nazismo e alla sua ascesa.
Il giovane studente di filosofia, allievo di Karl Jaspers, assistente di Max Scheler, studioso della vergogna e del pudore, accusa quella notte il suo professore di essere invidioso della cattiveria che non ha.
La mia vergogna, precisa Anders, è diversa, ha un oggetto diverso:
*E’ una vergogna per ciò che gli uomini possono fare agli uomini; mi vergogno, cioè, come uomo, di essere uno di loro, di essere anch’io un uomo.*

3088

Anche Hannah Arendt in uno scritto del 1945 dedicato alla ‘colpa tedesca’, uscito su una rivista ebraica, di fronte ai tedeschi che dichiaravano di essere tedeschi, risponde di aver avuto la tentazione di vergognarsi di essere umana.
*Questa vergogna elementare, condivisa ai nostri giorni da molti individui delle più diverse nazionalità, è ciò che da ultimo rimane del nostro sentimento di solidarietà internazionale e non ha trovato ancora un’espressione politica adeguata*.
Dall’idea di umanità spogliata da ogni sentimentalismo, deriva la seguenza di assumersi la responsabilità per tutti i crimini commessi dagli uomini.
La filosofia tedesca, tesa a una lettura politica delle vicende della Seconda guerra mondiale, conclude tuttavia che *il sentimento di vergogna non è altro che l’espressione puramente individuale e non ancora politica di questa intuizione.* “

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3089

I molti che si accontentano di apparire, anziché essere sono le stesse persone che si spacciano per ‘anime belle’ e si stracciano le vesti per ogni ‘sciagurata azione umana’, sentendosi corresponsabili.
In effetti lo sono, ma non per i ‘motivi’ più o meno nobili su esposti, ma solo e soltanto per la loro ignavia e ipocrisia.
Anche per questo motivo, va così di moda inviare un ‘sms solidale’ con due, tre euro e più,: non conoscendo la vergogna, scaricano le loro coscienze (o quello che ne rimane) con un click, pensando di ripulirle e poi ritornando a fare, subito dopo, quello che contribuisce a che il mondo, sia la rappresentazione agghiacciante che (ogni santo giorno) possiamo constatare, in un crescendo schizofrenico di cui, pare, in pochissimi si rendono conto.
(altra citazione su cui concordo)

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3083

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CULTO DEL PROFITTO, CULTO DEL DENARO


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Non mi rimane che lasciare una ulteriore traccia del ‘pensiero’ umano, quello non ancora inquinato, che spiega (il più delle volte inascoltato) ancora una volta: L’OVVIO.

3077

Da:    LA GRANDE IMPLOSIONE
(1995) di Pierre Thuillier:

Capitolo:
CULTO DEL PROFITTO, CULTO DEL DENARO

“Certo si può esitare sa considerare strettamente ‘religioso’ questo atto fondatore: facendo trionfare il denaro l’Occidente non ha sicuramente avuto coscienza di realizzare un progetto religioso, ma il culto del profitto stava per soppiantare la fede cristiana: annunciava la morte di un Dio o si inseriva quindi nella storia religiosa nel senso inteso da Edgar Quinet (storico ndr).

3078

Ai profeti, scriveva:
*la morte degli dèi indicava in anticipo la morte dei popoli*.
Non dobbiamo quindi limitarci a questa banale constatazione: la cultura dei mercanti ha funzionato come una religione.
E’ essenziale capire come l’Occidente si sia allora costruito una nuova concezione globale della vita umana (non osiamo dire una nuova spiritualità).

3079

Per dirla con Marcel Mauss (antropologo e sociologo ndr), la conversione al culto dell’Economia ha costituito un fatto sociale totale.
Non era investita solo l’organizzazione della produzione e degli scambi, ma (quantomeno a lungo termine) tutta la cultura, comprese l’arte, la morale, la politica e la metafisica.
Non c’è dubbio che il dramma dell’Occidente si spieghi anche in buona parte con il fatto che la nuova classe dominante, a causa del suo meschino utilitarismo, non ha neanche preso coscienza dell’influenza che avrebbe esercitato in tutti i campi della vita sociale.
Eppure è ciò che è accaduto: sottoponendo progressivamente tutte le attività e tutti i pensieri umani a considerazioni e calcoli economici, i nuovi padroni
(in genere senza volerlo) hanno colonizzato territori un tempo chiamati ‘religiosi’ o ‘filosofici’.
In questo senso sono stati ‘educatori’ loro malgrado, e, naturalmente, educatori molto scadenti.
Si pensi solo al modo in cui concepivano la vita, l’amore e la morte negli ultimi anni del XX secolo o a quello che intendevano per ‘successo sociale’.
E’ chiaro che l’Occidente moderno, alla vigilia della Grande Implosione, aveva praticamente raggiunto quello che il professor Dupin (Giurista: ‘Regole del diritto e della morale estratte dalle sacre scritture’ndr) chiamava il grado zero della vita spirituale.”

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STORIA APOCRIFA DI UN MENTITORE


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3062

In questi giorni tutti a discutere sull’uso del gas in Siria, con una approssimazione che non si può giustificare, in nessun modo;
prendiamo spunto da questa ennesima ‘pantomima’ per utilizzare quale contributo uno scritto tratto da

C’ERA UNA VOLTA IL PARADOSSO

del nostro ‘amico’ Piergiorgio Odifreddi, il quale, disserta partendo dal ‘paradosso del mentitore’ di antica memoria greca :
Epimenide di Creta, e la sua frase
*I Cretesi sono bugiardi*
oppure Eubulide di Mileto, con la sua
*Io sto mentendo*.
Essendo Odifreddi uomo di cultura vastissima (motivo per cui lo propongo spesso) leggete come elabora e approfondisce il ‘concetto’ procedendo storicamente, fino ai giorno nostri…

Buona lettura !

Capitolo:    STORIA APOCRIFA DI UN MENTITORE

– BATESON –

3063

“Lo psicologo comportamentista Burrhus Skinner (1904-1990) sosteneva che il paradosso del mentitore non interessa la vita, perché nessuna persona sensata direbbe mai cose del tipo:
*Questa frase è falsa*.
Gli sviluppi della logica sarebbero quindi irrilevanti per le scienze umane.
In realtà, esempi di tali affermazioni si trovano più spesso di quanto sembrasse a Skinner.

3064

Tanto per citarne uno, John Cage (compositore, padre della musica contemporanea ndr) dichiarò una volta:
*Non ho niente da dire, e lo sto dicendo*.
E per essere più esplicito compose, se così si può dire, il famoso pezzo per piano 4’33”, consistente di quattro minuti e trentatre secondi di silenzio.
E’ vero che tali comportamenti non sono considerati particolarmente sensati.
Anzi, quando gli artisti moderni esprimono il paradosso del mentitore nella forma:
*Quest’opera è un falso*, in genere si reagisce dando loro degli squilibrati.

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Proprio nella direzione di una connessione fra il paradosso e la patologia mentale si è spinto il lavoro psichiatrico di Gregory Bateson (1903-1980).
Uno dei risultati più significativi di tale lavoro è stata l’introduzione del concetto del ‘doppio vincolo’ (o doppio legame: comunicazione tra due individui, emotivamente coinvolti, verbale e meta-comunicativa in contraddizione tra di loro ndr).

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Un esempio si ha nella seguente variazione della storia del barbiere (vedere Bertrand Russell ndr), data nel 1947 da Hans Reichenbach.
Questa volta il barbiere è un soldato di una caserma, al quale un ufficiale ha ordinato di radere tutti i soldati che non si radono da soli e nessun altro.
Oltre all’ordine paradossale, i cruciali elementi aggiuntivi sono ora il rapporto di rigida subordinazione del soldato all’ufficiale e l’impossibilità di uscire dalla contraddizione mettendo in discussione la consistenza dell’ordine stesso.
Secondo Bateson, è appunto l’esposizione duratura e i doppi vincoli di questo genere che provoca in chi li subisce, soprattutto da bambino in famiglia o in collegi, un’incapacità di distinguere fra linguaggio e metalinguaggio (cioè l’extra-verbale ndr), e la conseguente ‘schizofrenia’.

Le vie d’uscita patologiche sono tre:
a) L’ebefrenia, in cui si rifiuta il meta-linguaggio e ci si limita all’aspetto puramente letterale della comunicazione.

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Un esempio di questo atteggiamento è il protagonista de IL BUON SOLDATO SVEIK di Jaroslav Hasek, che interpreta tutti gli ordini, per quanto insensati, in maniera letterale.
b) La paranoia, in cui si rifiuta il linguaggio e ci si dedica alla continua ricerca di significati reconditi al di là di esse.

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Un esempio simmetrico al precedente è il protagonista di CATCH 22 di Joseph Heller, che interpreta tutti gli ordini, per quanto sensati, in maniera metaforica.
c) La catatonia, in cui si rifiutano entrambi i livelli e ci si chiude alla comunicazione nell’inattività, fino all’autismo, o nell’iperattività.
E’ infatti un apparente paradosso che chi è troppo occupato non ha, appunto, il tempo di fare niente.
In particolare di stare a sentire gli altri.
In quest’ottica, possiede la normalità soltanto chi conosce, almeno a livello intuitivo, la logica.
Ovvero, o si è ‘logici’ o si è ‘patologici’.
[…]
Una volta presa coscienza dei doppi vincoli, li scopriamo negli aspetti più svariati dell’attività umana.
L’educazione: per addestrare all’autonomia, alla spontaneità e all’individualità si pretendono la dipendenza, l’obbedienza e l’uniformità.
Il rapporto materno: si regalano due camicie al figlio, e quando egli ne indossa una gli si chiede lamentosamente se l’altra non gli piace.
L’alimentazione: si vuole poter mangiare rimanendo magri.
La sessualità: si desidera che la propria partner sia *santa di giorno e puttana di notte*, o che il proprio partner omosessuale sia un *vero uomo*.
Il diritto: si impedisce la rinuncia alla libertà, come nell’art. 27 del Codice civile svizzero, o si punisce l’autolesionismo, come nei Codici militari.
La politica: si concede l’indipendenza alla Finlandia, a condizione che non la usi, o si pretende che venga chiesto dal basso ciò che viene imposto dall’alto, fino alla sottomissione spontanea come descritta in 1984 di George Orwell.
Oltre che apparire come cause scatenanti della schizofrenia, i doppi vincoli possono però anche diventarne la soluzione.

3069

La terapia proposta da Bateson è infatti quella di prescrivere il sintomo come cura, usando comandi del tipo:
*Continua a fare ciò che stai facendo*, o *Non cooperare*.
Essi mutano automaticamente un’attività spontanea in una coatta, cambiando le regole del gioco e ponendo le basi per un superamento della patologia.
Andando oltre la schizofrenia, Bateson ha notato che praticamente tutta l’attività comunicativa superiore, umana e non, è una espressione del paradosso del mentitore.
Ad esempio, comunicare:
*Questo è un gioco* il che può avvenire anche a livello prelinguistico e tra animali, significa semplicemente:
*Ciò che sto facendo non è ciò che sto facendo*, nel senso che gli atti che vengono compiuti (ad esempio, la simulazione di una lotta) non sono da intendere come andrebbero intesi normalmente (ad esempio, una lotta vera).

Analogamente avviene per minaccia,inganno, simulazione, magia, umorismo, comicità, simbolismo, metafora, immagini poetiche, rituali, riti, cerimonie, passando attraverso tutta l’attività creativa e artistica.
Che l’arte sia solo un’espressione di meravigliose menzogne, lo sanno e lo dicono molti artisti, da Denis Diderot nel PARADOSSO DELL’ATTORE, del 1773, a Giorgio Manganelli in LETTERATURA COME MENZOGNA, del 1985.

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Anche se, aggiungeva Picasso:
*l’arte è una menzogna che ci fa comprendere la verità*
E, di solito, è una menzogna che viene esplicitamente dichiarata: spegnendo le luci, aprendo i sipari, iniziando i racconti (o i libri!) con ‘c’era una volta’, truccando gli attori, facendoli recitare in modo innaturale, inquadrando i dipinti nelle cornici, ponendo le statue sui piedistalli, terminando con inchini e applausi, e così via.
Arte a parte, il punto di arrivo di questa reinterpretazione paradossale della comunicazione è, ovviamente, il linguaggio stesso, sulla base del principio che il segno non è il messaggio.

3073

Una posizione condivisa da Umberto Eco, che nel TRATTATO DI SEMIOTICA GENERALE del 1975 definisce un segno come *tutto ciò che può essere usato per mentire* e la semiotica come *una teoria della menzogna*.
La storia che abbiamo raccontato termina dunque con una conferma dei nostri pregiudizi iniziali, ormai diventati giudizi finali, che sanciscono un incontrastato dominio della menzogna nella cultura, nella comunicazione e nel comportamento interi.
Il riassunto di questi sviluppi, secondo cui il paradosso del mentitore fa da sfondo a ogni affermazione umana significativa, potrebbe dunque essere un aforisma del tipo
*Tutto è menzogna*.

Come hanno però notato in molti, da Aristotele nella METAFISICA a Tommaso d’Aquino nella SUMMA THEOLOGIAE, l’affermazione che ‘tutto è menzogna’ non può essere vera, perché altrimenti sarebbe essa stessa una menzogna.
Allora deve essere falsa, cioè ci deve essere qualche verità, e la cosa finisce qui.
Non è detto infatti che questa verità debba proprio essere la frase in questione.
Alla fine di un lungo cammino, ci ritroviamo dunque con una riformulazione, falsa ma non paradossale, del rompicapo di Epimenide:

3076

*I Cretesi sono tutti bugiardi*
dal quale eravamo partiti.
Ci accorgiamo così di aver girato in tondo, seguendo un circolo forse vizioso, ma certo non inadeguato al trattamento di un paradosso.”

Spero di essere riuscito a spiegarmi, o perlomeno, se non io, il ‘buon’ Piergiorgio anche se devo ammettere che ha compiuto un bel ‘tour’ …

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