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Michel Houllebecq, è un intellettuale francese (scrittore/filosofo) abbastanza noto; un suo romanzo: LE PARTICELLE ELEMENTARI è stato tradotto in 25 lingue, divenendo un successo mondiale (ma resta evidentemente di nicchia).
Una delle sue frasi più celebri è:
“Per criticare il mondo è sufficiente descriverlo il più obbiettivamente possibile.”
Per quanto mi riguarda io interpreto il termine ‘mondo’ come ‘pianeta Uomo’ in quanto nutro un profondo rispetto per il ‘pianeta Terra’;
allora la frase assume un significato condivisibile e chiaro : l’evoluzione della razza umana (è bene ricordarlo sempre, un battito di ciglia paragonato al ‘tempo’ universale) ha prodotto delle modificazioni enormi ma tali che non sono esenti da profonde critiche e la realtà ne è lo specchio fedele.
Ecco un breve testo dell’autore citato, una goccia nel mare delle cose che andrebbero dette… il più obiettivamente possibile, se ne fossimo ancora capaci.
LA SENSAZIONE DI VACUITA’ UNIVERSALE
“La norma è complessa e multiforme.
Fuori dall’orario di lavoro c’è la spesa che devi pur fare, i bancomat da cui devi pur mungere i soldi (e davanti ai quali, fin troppo spesso, ti tocca fare la fila).
Soprattutto ci sono i diversi pagamenti che devi far pervenire agli organismi che gestiscono i differenti aspetti della tua vita.
Come se non bastasse, può capitare di ammalarti, cosa che implica spese e nuove formalità.
Comunque un po’ di tempo libero ti resta sempre.
Che fare ?
Come impiegarlo ?
Consacrarsi al sevizio del prossimo ?
Già, solo che in fondo, il prossimo non ti interessa affatto.
Ascoltare musica ?
Un tempo, magari: ma nel coso degli anni ti sei reso conto che la musica ti soddisfa sempre meno.
Il bricolage, preso nel suo senso più lato, può offrire una via di scampo.
Ma in verità non c’è nulla che riesca a impedire il sempre più ravvicinato ritorno di quei momenti in cui la tua solitudine assoluta, la percezione della vacuità universale, il presentimento che la tua esistenza stia approssimandosi a un disastro doloroso e definitivo, si combinano per sprofondarti in uno stato di vera e propria sofferenza.
E tuttavia continui a non aver voglia di morire.”
A grandi linee, in queste righe è descritta la situazione psico-fisica della gran parte delle popolazioni occidentali, soprattutto quelle opulente.
Quanti possono lealmente affermare di non essersi riconosciuti in questo scritto ?
Prendendo coscienza della propria sofferenza esistenziale, si deve però cercare una ‘soluzione’ definitiva, quindi fare delle scelte che allontanino, o comunque minimizzino, queste ‘pressioni o tensioni’.
E qui c’è il grande dilemma: perché la ‘massa’ crede di ‘risolvere’ i problemi personali, non rimuovendone le cause, ma semplicemente mascherandone gli effetti con psicofarmaci, droghe, alcol e/o facendosi ‘dirigere’ da ‘professionisti’ più o meno affidabili (mental coach, terapisti, simil-educatori, guru, cartomanti e fattucchiere).
Problema non da poco se pensiamo che ‘gli schiavi di loro stessi’ (essendo la grande maggioranza) condizionano la vita di chi, il coraggio di cambiare la propria vita (in meglio, anche se non materialmente), l’ha avuto, facendo scelte in controtendenza, correndo il rischio di essere considerato ‘pazzo’ o quantomeno ‘strano’.
E partendo da questi presupposti il cosiddetto ‘mercato’ costruisce le fortune dei ‘pochi’ che, cinicamente, approfittano dei ‘sofferenti’ ponendogli in mano il ‘farmaco’ o la ‘soluzione’ che è la panacea di tutti i mali.
Ippocrate, considerato uno dei padri della medicina, usava il termine ‘Pharmakon’ che, tradotto, significa ‘veleno’.
Il veleno diventa farmaco, nella accezione moderna.
Utile quando la ‘dose’ di veleno è correttamente stabilita.
Ma oggi è lasciata alla decisione di chi non è, in scienza e coscienza, capace di determinarla (neppure molti medici lo sono, per non parlare delle case farmaceutiche, interessate solo a un consumo sfrenato e acritico, il più grande possibile, tant’è che cercano di promuoverlo in tutte le maniere, compresa la pubblicità televisiva).
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Sempre Ippocrate, associava al termine pharmakon, il ‘logos’ cioè il pensiero e l’intelligenza…
Ed è qui che la ‘catena’ virtuosa si interrompe…
perché il pensiero intelligente, sta diventando ormai una componente sempre più rara …
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Dal libro INTERVISTA SULL’IDENTITA’ di Zygmunt Bauman, ecco dei passi che ci aiutano nel tentativo di comprendere la capacità di attivare pensieri ‘trascendenti’, e perciò non legati al ‘terreno;
quelli che servono nei momenti ‘difficili’ in cui si verificano degli eventi negativi ‘inaspettati’ ed ‘angoscianti’ ;
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“…Quando considero la breve durata della mia vita, assorbita dall’eternità che la precede e da quella che la segue […] il piccolo spazio che occupo e che vedo inabissato nell’infinita immensità di spazi che ignoro e che mi ignorano, mi spavento e mi stupisco di vedermi qui piuttosto che là […] ora piuttosto che un tempo.”
Blaise Pascal
“E’ un universo che sfugge a ogni comprensione.
Le sue intenzioni sono sconosciute, i suoi ‘prossimi passi’ sono imprevedibili.
Se c’è un piano o una logica premeditata nella sua azione, essa sfugge di certo alla capacità di comprensione umana (per il potere della mente umana di riuscire a immaginare una condizione ‘prima dell’universo’, il big bang non sembra molto più comprensibile della creazione in sei giorni).
E la ‘paura cosmica’ è dunque anche l’orrore dell’ignoto, il terrore dell’incertezza.
E’ anche un terrore più profondo, il terrore dell’impotenza, di cui l’incertezza non è altro che uno dei fattori costitutivi.
L’impossibilità di difendersi diventa evidente quando la ridicolmente breve vita mortale è comparata all’eternità, e il minuscolo appezzamento di terreno che il genere umano occupa è comparato all’infinito dell’universo.
*Possiamo dire che il sacro è un riflesso di questa esperienza di impotenza*
Michail Batchin (filosofo russo ndr)
Il sacro è ciò che trascende i nostri poteri di comprensione, comunicazione, azione.
Batchin sostiene che la paura cosmica viene utilizzata (riprocessata, riciclata) da tutti i sistemi religiosi.
L’immagine di Dio, il supremo reggitore dell’Universo e dei suoi abitanti, è plasmata sul modello della familiare emozione di paura, di vulnerabilità e tremore che si prova di fronte a un’incertezza impenetrabile e irreparabile.
Leszek Kolakowski spiega la religione come la convinzione dell’insufficienza delle risorse del genere umano.
La mentalità moderna non è stata necessariamente atea.
La guerra contro Dio, la frenetica ricerca di prove che ‘Dio non esiste’ o che ‘Dio è morto’ è stata lasciata alle frange radicali.
Ciò che la mentalità moderna ha fatto, però, è stato rendere Dio irrilevante per gli affari umani sulla terra.
La scienza moderna è emersa quando è stato costruito un linguaggio che consentiva di narrare tutto ciò che si era appreso sul mondo, in termini non teologici, ossia senza riferimenti a uno ‘scopo’ o un’intenzione divina.
Se la mente di Dio è imperscrutabile, smettiamola di perdere tempo a cercare di leggere l’illeggibile e concentriamoci su quello che noi, esseri umani, possiamo comprendere e fare.
Questa strategia ha condotto a trionfi spettacolari della scienza e del suo braccio tecnologico.
Ma ha anche avuto conseguenze di grande portata, e non necessariamente benigne e benefiche, sul modo di stare al mondo degli esseri umani.
L’autorità del sacro, e più in generale l’interesse per l’eternità e i valori eterni, sono stati le sue prime e più eminenti vittime.
La strategia moderna consiste nello sminuzzare le grandi questioni che trascendono il potere umano in compiti più piccoli alla portata dell’uomo (per esempio, la sostituzione della battaglia senza speranza contro ‘l’inevitabile’ morte con l’efficace cura di molte malattie evitabili e curabili).
Le ‘grandi questioni’ non vengono risolte, ma lasciate in sospeso, messe da parte, tolte dall’agenda: non tanto dimenticate, quanto raramente evocate.
La preoccupazione per il momento presente non lascia spazio né tempo per riflettere sull’eterno.
In un ambiente fluido e in costante cambiamento, l’idea di eternità, durata perpetua o valore duraturi immune dallo scorrere del tempo, non trova fondamento nell’esperienza umana.
La velocità del cambiamento assesta un colpo mortale al valore della durevolezza: ‘vecchio’ o ‘durevole’ diventano sinonimi di ‘superato’, ‘fuori moda’, qualcosa che ‘resiste pur avendo perso la sua utilità’ e perciò destinato entro breve a finire nel bidone della spazzatura.
[…]
La regola del ‘rinvio della gratificazione’ non sembra più un consiglio assennato come ancora appariva ai tempi di Max Weber.
Le inquietudini registrate da Pascal hanno preso una piega diversa e inaspettata: chiunque abbia interesse per cose di lunga durata, farà meglio a investire nel prolungamento della propria vita corporale che in ‘cause eterne’.
Noi, soldati delle unità più avanzate dell’esercito della modernità liquida, non riusciamo più a comprendere gli attentatori suicidi che sacrificano la propria vita, con tutti i piaceri che essa potrebbe avere in serbo, in nome di una causa immortale o della beatitudine eterna.
Palesemente fragili e transitorie, tutte le cose diverse dalla sopravvivenza individuale appaiono investimenti di scarso valore.
L’unico loro uso sensato è al servizio della sopravvivenza individuale.
E’ meglio assaporare e consumare subito, qui sul posto, il loro potenziale di gratificazione e piacere, prima che esso cominci a svanire come di sicuro farà ben presto.
[…]
Il cristianesimo ha caricato di un tremendo significato il nostro ridicolmente breve soggiorno sulla terra come unica ‘chance’ per decidere la qualità dell’esistenza spirituale eterna.
Baudelaire vedeva la missione dell’artista nell’estrarre il nocciolo immortale dal guscio dell’attimo fuggente.
Da Seneca a Emile Durkheim, i saggi non hanno fatto altro che ricordare, a tutti coloro avveduti abbastanza da ascoltare, che la vera felicità (a differenza dagli inafferrabili e momentanei piaceri) si può ottenere soltanto legandosi a cose che durano più a lungo della vita corporale di un essere umano.
Per il lettore medio contemporaneo, queste affermazioni sono incomprensibili e suonano ridondanti.
I ponti che collegano la vita mortale all’eternità, laboriosamente costruiti nel corso dei millenni, sono stati banditi dall’uso.
Gli uomini non sono ancora mai stati in un mondo privo di questi ponti.
E’ troppo presto per dire cosa potrebbero scoprire, o in quale condizione potrebbero trovarsi vivendo in una terra siffatta.”
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Bello tosto eh… (almeno Bauman lo è per me …)!!!
Circa l’ultima considerazione del ‘maestro’, sul ‘troppo presto’ (il libro è del 2003), in poco più di due lustri, molta ‘gente’ si è portata avanti con il lavoro…
I risultati sono sotto gli occhi di tutti noi, quotidianamente, e non è un bel vedere … eh proprio no …
In un’opera teatrale del ‘grande’ Dario Fo: L’APOCALISSE RIMANDATA, BENVENUTA CATASTROFE, si recitava:
“Quando sentiremo l’ultimo avviso del ‘si chiude’, solo allora il terrore, come molla, ci butterà in piedi al grido di ‘vogliamo campare’…
Eh no è troppo tardi, coglioni !”
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