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Dal libro: ETICA E POLITICA (1989) di Salvatore Veca
Capitolo: UNA GRAMMATICA ENTRO UNA FORMA DI VITA
“Una teoria della giustizia distributiva, sia essa utilitaristica o kantiana, fa parte della filosofia politica, non della metafisica.
John Rawls ha recentemente invitato a una comprensione appropriata e pertinente dei termini in discussione nell’ambito della filosofia pubblica (cfr, PHILOSOPHY AND PUBLIC AFFAIRS -1985)
Nozioni come quella di persona o individuo, scelta o azione, bene, preferenza, interesse ecc. sono ovviamente nozioni che possiamo impiegare in contesti fra loro differenti e possono richiedere, da un punto di vista filosofico, impegni più o meno gravosi per un loro uso giustificato.
Non è facile un argomento filosofico che ci mostri che cosa fa di una persona una persona: né sembra che una spiegazione filosofica di come sia possibile che un qualcosa sia una persona sia più agevole, come ha mostrato Robert Nozick (filosofo ‘libertario-anarchico, fautore dello ‘Stato minimo’ ndr).
Lo stesso vale per per nozioni filosoficamente spinose come quelle di azione e di scelta o di preferenza.
Esse sollevano complicate questioni metafisiche, epistemologiche e metodologiche.
Riguardano il modo in cui facciamo il mondo; le versione che ne possiamo dare, con vari scopi e per vari motivi.
Basta pensare in proposito alle recenti proposte in merito a un buon argomento o a una buona spiegazione filosofica del problema dell’identità personale.
E’ difficile sottovalutare l’importanza filosofica di queste ricerche: esse toccano questioni ricorrenti e centrali.
Sono le domande inquietanti, destinate probabilmente a non esaurire mai la catena delle risposte (chi siamo? qual’è il significato della vita? che cosa possiamo sapere? ecc.).
Tuttavia, è opportuno precisare che l’impiego di una nozione come quella di individuo o di persona nell’ambito della filosofia pubblica non richiede che si dichiari il proprio accordo con le teorie (del continuatore più prossimo) di Nozick, o con la teoria (dei sé multipli) di Parfit.
Esso richiede molto meno: la nozione è semplicemente impiegata nel ‘senso’ che le deriva dalla tradizione della teoria della democrazia, come quella ‘versione’ morale del mondo che è la nostra.
Naturalmente, questo non esclude che nell’emergenza stessa della teoria della democrazia (che è una faccenda maledettamente complicata) non siano all’opera ingredienti metafisici e epistemologici di grande peso.
Ma ciò che è importante è che, in filosofia pubblica, la nozione di persona ci interessa perché ci interessano enunciati come ‘ciascuno conta come ciascun altro, non più e non meno di uno’ o ‘ciascuno ha diritti morali individuali’ o ‘ciascuno ha preferenze e gusti oltre che valori individuali’.
La nozione di persona o di individuo è un costrutto o un elemento, si potrebbe dire, di una grammatica che coincide con gli impieghi e dei termini pertinenti nella tradizione della teoria democratica.
Essa è, inoltre, l’esito costruttivo di una complessa vicenda e di una tradizione di forme di vita e di pratiche sociali determinate (le antropologie culturali… ndr).
Un’etica pubblica sembra richiedere una sottostante ‘interpretazione’ di una tradizione di credenza politica e morale.
[…]
I significati dei termini in questione sono in qualche modo fissati dal riferimento a un universo di discorso, o più semplicemente, a un lessico politico e morale che si è consolidato in una tradizione.
Naturalmente, questo non implica che le interpretazioni della tradizione della teoria democratica convergano necessariamente.
Esse possono divergere e il problema diventa quello di quale risulti l’interpretazione più ricca e interessante, capace di rendere conto in modo più profondo di che cosa fa di una tradizione, quella tradizione.
[…]
L’adozione di un punto di vista impersonale sulle nostre vite in società non è quindi, su questo sfondo, una costruzione accademica; né risulta un tentativo patetico e un po’ goffo di creare valori dal nulla.
Essa è piuttosto associata all’idea di valore democratico della simmetria e della permutazione dei posti per cui, come sosteneva Rousseau, dicendo ‘Io’ devo poter dire ‘chiunque’.
Un interesse è un interesse, di chiunque sia e qualunque sia, sostiene l’utilitarismo nella sua formulazione classica (cfr. Jeremy Bentham ndr).
L’essere il sé eguale agli altri è una proposizione che esprime l’impegno a trattarci come eguali che deriva, ancora una volta, da un’interpretazione della tradizione democratica.
Il problema non è quello se possiamo parlare o meno di ‘individui’ o di ‘persone’ è piuttosto quello di quale ne sia la descrizione appropriata nell’ambito di una teoria della giustizia.
[…]
Costruire mondi coerenti a partire da descrizioni singolari e locali è uno dei modi di fare filosofia.
L’interpretazione soggiacente della teoria della democrazia che è (o dovrebbe essere ndr) implicita nelle etiche pubbliche costituisce il mondo di fatti e di valori che rende plausibile l’adozione di un punto di vista impersonale e la ricerca dell’oggettività nelle risposte alle domande su come dobbiamo vivere.
[…]
Dobbiamo guardare alla società dal punto di vista dell’eguale cittadinanza.
Questo è il punto archimedeo alla luce del quale valutare politiche, istituzioni, scelte e pratiche sociali.
E’ in questo senso preciso che le teorie della giustizia si presentano nel loro modo corrente e familiare come teorie dedicate alla identificazione di criteri pubblici per la valutazione, dal punto di vista impersonale, degli esiti delle allocazioni politiche, in democrazia; per quanto tali esiti toccano le nostre questioni di vita (di cittadini).”
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Devo ammettere che non è un testo semplicissimo e che necessita di una rilettura più attenta per essere compreso;
Di sicuro possiamo sbilanciarci in alcune semplici e brevi considerazioni mettendo a confronto quanto abbiamo letto e quello che vediamo guardandoci intorno;
A) la politica così come la vediamo nel nostro Paese e le considerazioni sulla politica qui espresse sono tra loro distanti anni luce;
B) Essendo la democrazia un termine coniato dagli Ateniesi per il governo della loro città, che aveva una popolazione ‘votante’ (i ‘non’ ateniesi, le donne e gli schiavi non potevano votare) di circa 20.000 persone, non è applicabile così come nella tradizione, a numeri milionari, come sono le odierne società;
C) Per gli stessi motivi (le tradizioni) dobbiamo comunque tener conto che gli ‘italiani’ non sono in realtà un ‘popolo’, ma più più popoli con diverse ‘tradizioni e antropologie’, ognuna delle quali cerca di imporre alle altre il proprio stile di vita, con valori e dis-valori che, quando sono preponderanti, obbligano gli ‘altri’ a farsi carico dei ‘danni’ che i dis-valori provocano.
per accertarsi di ciò basta guardarsi in giro.
E da questa ‘ipocrisia’ d’insieme, deriva, poi, la mancanza di ‘etica’ e anche di responsabilità sociale di una classe dirigente e politica che si fa eleggere non per ‘merito o competenze’, ma attraverso quel vero ‘cancro sociale’ formato dal familismo amorale, dal clientelismo, dall’opportunismo.
La gente questo però pare non averlo ancora capito …
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