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Vi voglio proporre un testo un po’ particolare (ed un po’ lunghino … sorry);
l’autore (nato nel 1965) a 23 anni si laurea in Lettere Moderne con una tesi in Letteratura contemporanea sulla struttura del romanzo fantastico. Consegue un bachelor in Comunicazione e inizia la carriera di consulente e poi manager in agenzie e aziende italiane e multinazionali.
Nel frattempo continua a scrivere racconti e articoli per riviste underground e a navigare, prima come semplice appassionato, poi come skipper e istruttore di vela.
“Ne abbiamo abbastanza. Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti, ma come uscirne? Cambiare vita da soli sembra una scelta troppo faticosa. Addirittura impossibile. Invece no.
Il downshifting (“scalare marcia, rallentare il ritmo”) è un fenomeno sociale che interessa milioni di persone nel mondo (complice anche la crisi).
Ma non si tratta solo di ridurre il salario per avere più tempo libero.
Simone Perotti propone qui un cambio di vita netto, verso se stessi, il mondo che ci circonda, le abitudini, gli obblighi, il consumo.
La rivoluzione dobbiamo farla a partire da noi, riprendendoci la nostra vita per essere finalmente liberi. Come ha fatto lui, che, lasciato il posto di lavoro (sicuro e ben remunerato) racconta la sua esperienza entrando nel merito delle conseguenze economiche, psicologiche, esistenziali, logistiche.
Dire no non basta per essere felici.
L’insicurezza economica cui andiamo incontro è anche un’occasione per ripensarci.” (tratto da IBS.it)
Il libro-romanzo di Simone Perotti: UN UOMO TEMPORANEO è stato scritto tra il 2014 e 2015 a bordo di una barca ‘Mediterranea’ a zonzo tra il Mediterraneo e il Mar Nero.
Vi trascrivo alcuni brani in cui si può notare con precisione la differenza e la difficoltà del pensiero ‘autentico’ rispetto al pensiero politically correct.
Per la particolarità del testo e l’impossibilità di renderlo “migliore” attraverso delle illustrazioni, eviterò le stesse;
La storia si svolge in un’azienda quotata in borsa, quindi con una strategia del profitto imperante ed il personaggio centrale, tale Gregorio, che Perotti immagina e descrive così:
“Mi affascina la sua totale mancanza di ideologia, e il fatto che di lui ci si possa chiedere se è un imbecille o un genio senza che la domanda stupisca nessuno.
Non ho mai amato le persone di cui è chiaro, fin dal primo sguardo, se siano qualcosa o il suo opposto.
Il dubbio è più affascinante della certezza perché ci riguarda, è una domanda rivolta a chi la pronuncia.
Perché Gregorio non odia la sua azienda?
Perché non si sente defraudato, maltrattato?
Perché non cerca vendetta, ma solo come continuare a rendersi utile?
Queste domande mi perseguitano.
Gregorio non si limita a cambiare le regole: cambia il gioco.
Forse di lui non capisco molte cose proprio perché è un uomo del futuro, anticipa una condizione umana in arrivo ma ancora imperscrutabile.
Forse è ‘l’Uomo con Qualità’, per opporlo al modello che ha fatto scuola fin qui”.
Lo scenario in cui si svolge la storia è descritto così:
“Per tutto il periodo invernale l’azienda fu impegnata in ogni ruolo nel difficile lavoro di ripresa economica e competitiva.
Crescere, senza sosta, a qualunque costo: era questo l’imperativo dell’epoca.
L’industria si era già impadronita dell’artigianato, il terziario dei lavori manuali.
Ora la finanza soggiogava ogni cosa.
Società senza addetti, senza cespiti, senza storia, cominciavano a scalare le borse mondiali.
A leggere i giornali, pareva che un nuovo mondo, splendente e invincibile, attendesse chi era pronto a lasciare la realtà per il miraggio del virtuale.
Ciò che veniva davvero fatto, davvero pensato, prodotto nella realtà, aveva sempre meno importanza.
Per un’impresa enorme, abituata alla vecchia economia, non era facile restare a galla”.
La trama racconta che una giornalista, belloccia, di un importante quotidiano, riesca ad ottenere un’intervista da un lavoratore di tale azienda che, ammaliato dalla pulzella, si ‘sbottona’ e racconta cose interne, dal suo punto di vista, sul clima che si respira in azienda.
Il giorno successivo, venne pubblicato con una pagina intera, con un box sulla situazione economica ed un aggiornato organigramma.
Panico !
Il protagonista, Gregorio, venne, tra gli altri, accusato…
“Sei stato tu? gli chiese senza indugio.
A fare che? rispose Gregorio.
L’articolo. Dove hanno preso queste informazioni? Non vedi come sono precise? rispose Sansa.
In effetti era tutto vero, anche se descritto con una cronaca secca e serrata che dava al lettore il senso del diario di una guerriglia con tanto di giusti – pochi, deboli e male armati, che stavano per crollare – e di cattivi – forti e crudeli, che stavano per sferrare il colpo di grazia.
I sindacati erano al settimo cielo.
[…]
Erano tutti pronti a farsi intervistare.
Il Paese, intanto, reagiva a quello scoop.
Si parlava di manifestazione nazionale di solidarietà, di impegno della società civile contro la protervia del capitale.
Quando Gregorio ebbe finito di leggere aggrottò le sopracciglia.
Non gli piaceva quell’articolo.
Quella storia di astio e rivendicazioni non era la loro storia.
Sì, forse era la vicenda di qualcuno che da anni conduceva il suo braccio di ferro con la proprietà, ma lui non si ritrovava.
La giornalista non ha capito cos’è veramente una lotta, commentò tra sé sconsolato.
[…]
I sindacati volevano soffiare sul fuoco.
Si vissero ore di tensione furibonda, in cui si rischiò di realizzare in pratica quello che l’articolo aveva descritto per pura immaginazione.
Fu Tresci a escogitare la contromisura risolutiva.
Corse a parlare con il direttore delle relazioni esterne, una dirigente sui quarant’anni vispa e ben introdotta nell’ambiente dei media.
Insieme cercarono Gregorio, ancora in riunione per gestire l’emergenza.
Una contro-intervista, Gregorio. E’ l’unica possibilità.
No, rispose Gregorio dopo aver guardato per qualche minuto oltre la vetrata, in televisione.
Quando le telecamere si accesero e Gregorio vide solo riflettori nei suoi occhi, ebbe più di un istante di perplessità.
Poi cominciò a parlare con calma, rispondendo con toni da monastero al ritmo serrato delle domande.
Nessuna reazione e nessun attacco, solo una quieta versione dei fatti, che erano radicalmente diversi da quelli che tutti si attendevano.
Ma insomma, lei è una vittima del sistema o no? sbottò a un certo punto il conduttore.
No. Il sistema è la nostra immagine riflessa. Quel che avviene siamo noi, rispose Gregorio.
Che vuole dire? Si spieghi meglio, gli urlò il giornalista, preoccupato di quel moderato buonsenso. L’intervista gli stava sfuggendo di mano.
Lei è sicuro che la paghino il giusto? rispose Gregorio.
Che diavolo c’entra, si stizzì il conduttore.
Dico che, per quanto mi sforzi, non riesco a vedere oltre le responsabilità personali.
I dipendenti che cercano con un accomodamento con le proprie incapacità, siano più responsabili dei loro mali del padrone iniquo che glieli infligge.
Quanto valgono le sue idee? Più o meno quello che producono? Per chi è positivo il suo lavoro? Non sarà che l’intuizione di questa sua fortunata trasmissione è di qualcuno che lavora nel suo staff e che guadagna un decimo di lei?
Il giornalista rimase interdetto e Gregorio fece una breve pausa, distraendosi con gli occhi verso il fondale nero dello studio.
Poi puntò il suo sguardo magnetico e sereno verso la telecamera, restò pochi istanti in silenzio, infine riprese con una calma irreale.
E’ sulle idee che si deve lavorare.
Non serve nessuna scrivania per essere utili. E’ più facile averne una e essere inutili, concluse lui.
Sì, ma la carriera… il ruolo che uno ha conquistato… lo stpendio, tornò alla carica, stremato, l’intervistatore.
Tutte cose talmente interne al capitale da giustificarlo.
Una rivendicazione, per essere credibile, deve essere promossa da uomini partecipi, liberi, che sono già cambiati.
Senza creatività non può esserci scontro di classe, declamò con una scioltezza che stupì lui stesso per primo.
Poi concluse: si ricordi. Se la lotta è per lo stipendio è una lotta destinata alla sconfitta. Se la lotta è per la felicità non ha molto a che fare con i soldi. Una scrivania è un problema psicologico, non sindacale. Che in mezzo ci siano il lavoro, una busta paga… è un dettaglio, Qui, quello che conta è divertirsi un po’.
Non seppe capire, nei giorni seguenti, dove avesse trovato quegli argomenti e quella sicumera da filosofo sociale.
La sua cultura in merito non era da buttar via, ma ai saggi aveva sempre preferito i romanzi e la poesia, costruendosi, semmai, un passaporto per qualche dialogo letterario e qualche film impegnato.
La serenità e la mancanza di incertezze sul proprio ruolo di uomo libero doveva averle generate senza accorgersene negli anni di impegno giornaliero apparentemente integrato, o negli itinerari disordinati attraverso gli uffici.
La perdita delle garanzie aveva offerto nuovi spazi alla curiosità.
Lei sbaglia perché vuole attribuire le colpe, aveva detto al giornalista con tono quasi condiscendente. Lei vuole impossessarsi della ragione presunta, vuole essere dalla parte giusta, cioè la parte opposta al nemico. Ma il nemico non è di là. E’ qui. Contano solo i comportamenti.
L’intervista si era conclusa quasi per sfinimento.
Mi creda i nemici non esistono, e comunque non sono fuori di noi.
Siamo tutti dalla stessa parte, aveva spiegato all’intervistatore, nel dopo trasmissione, cingendogli le spalle con un braccio, come per consolarlo.
Il risultato fu sorprendente, la puntata ebbe un picco di audience da talk-show, e sulla rete polverizzò ogni record di visualizzazioni.
La mattina dopo il titolo dell’azienda fu sospeso per eccesso di rialzo.
Il presidente e il direttore del personale gli inviarono una nota di ringraziamento per quella sua difesa leale.
Lui rispose con perplessità e fermezza.
Non vedo perché mi dobbiate ringraziare.
L’azienda che ho difeso non è la vostra”.
Grazie a coloro che hanno letto fin qui;
il testo, contiene comunque una morale.
Ognuno la trovi e se la adatti come meglio crede…
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