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Frammentato con articoli di altro tenore ed argomento mi ritrovo volentieri a postare ancora qualcosa che ha attinenza con l’economia;
non mi stancherò di ripeterlo fino alla nausea (vostra 😉 ): ricordiamo sempre che “finanza” ed “economia” non sono affatto sinonimi ma che il riflesso della loro esistenza e delle conseguenti “azioni” concorrono pesantemente alla formazione del vostro “tenore di vita”, incidono non poco sul tipo di società civile in cui ci ritroviamo ad esistere;

il loro impatto sulle nostre esistenze è sempre più tendente al negativo, le nostre aspettative si riducono, le nostre incertezze aumentano e le sicurezze scemano, la visione del futuro è sempre più nebulosa;
il denaro ha una posizione predominante all’interno dell’universo finanza, in pratica è un dio che tanti adorano, un mezzo ed un fine, la più grande priorità e quindi oggi parliamo dei soldi;

la stragrande maggioranza delle persone, come tanti topolini, viene incantata dal pifferaio di Hamelin di turno e si inchinano dinanzi al nuovo feticcio “denaro” senza rendersi conto che i soldi che circolano non sono poi dissimili da quelli del Monopoli;
le Banche stampano (spendendo circa 30 centesimi) una banconota a cui “affibbiano” d’emblée un valore assolutamente ingiustificato ed a quel valore la prestano agli Stati (anche in cambio di interessi) …

vi sembra una cosa con una pur minima parvenza di logica ?
E chi occorre ringraziare per tutto ciò ?
Credo sia inutile che stia qui a ricordarvelo ma certo che la palese commistione tra politica e finanza dovrebbe essere un buon indizio a cui aggiungere la ormai “famigerata” (giustamente) globalizzazione;
il contributo però tocca si l’argomento ma da un “particolare” punto di vista (e spero che, nonostante la lunghezza, sia di vostro gradimento), al termine della lettura pensate al fatto che la Fed e la Bce non possono “fare le stesse cose” e così avrete un po’ più chiaro il “nostro” futuro in quanto europei;

BANCHIERI
Storia del nuovo banditismo globale
Federico Rampini
Capitolo: STAMPARE MONETA, CREARE LAVORO ?
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“Può una banca centrale ‘creare’ lavoro in misura consistente?
Quali sono i meccanismi con cui agisce? E perché lo fa?
Sono questioni che sorgono alla luce dell’eccezionale esperimento storico condotto nl 2009 in poi: contrastare la recessione stampando moneta.
L’ultima di queste tre domande racchiude una differenza costituzionale tra la Fed e la Bce.
La banca centrale americana ha l’obbligo di perseguire il pieno impiego, non solo di lottare contro l’inflazione.

E si vede, anche dall’attenzione che Bernanke (governatore della Fed ndr) ha dedicato dal 2009 in poi all’analisi della disoccupazione.
In un discorso pronunciato nell’agosto del 2012 a Jackson Hole, Bernanke ha sottolineato i danni enormi che ne derivano: *L’alto numero di persone senza lavoro è una grave preoccupazione, non solo per le enormi sofferenze e lo spreco di talenti umani che comporta, ma anche perché gli elevati livelli di disoccupazione creano alla nostra economia un danno strutturale che può durare anni.*
Questo tipo di analisi è condivisa da coloro che studiano da vicino la disoccupazione, e ancor di più da coloro che la vivono.
Oltre all’impoverimento materiale ce n’è uno psicologico, conseguente alla perdita di status, di ruolo sociale, di autostima.
Quando l’inattività dura a lungo, inoltre, si dilapidano competenze, si degrada l’attitudine al lavoro, alle dinamiche relazionali che vi sono collegate.
E’ una distruzione di ricchezza, superiore a quella di un impianto industriale che arruginisce o diventa obsoleto per mancanza di manutenzione.
[…]

Come si è mossa la Fed, per cercare di ridurre al disoccupazione?
I suoi strumenti sono indiretti, ovviamente non è lei ad assumere i senza lavoro, e tuttavia la sua efficacia è indiscutibile.
Nessuno dei tanti economisti presenti a Jackson Hole – anche quelli fortemente critici del suo operato – ha messo in discussione i calcoli di Bernanke: sui quattro milioni di posti di lavoro creati nel settore privato in America tra il 2009 e il 2012, la metà sono conseguenza delle azioni della banca centrale.
Gli interventi della Fed sono ‘costati’ in quel triennio 2300 miliardi di dollari (poi è stata sfondata quota 3000 miliardi, nel 2013), ma a differenza del piano per la crescita di Obama (800 miliardi di investimenti pubblici, varati nel gennaio 2009) ciò che ha fatto Bernanke non pesa sul contribuente, non fa aumentare il debito statale.

La banca centrale, infatti, ha il potere di stampare moneta, questa è la sua ragion d’essere originaria.
Dunque, la Fed ha creato migliaia di miliardi di moneta e li ha spesi per comperare buoni del Tesoro americani (o titoli simili come le obbligazioni emesse dagli istituti di credito immobiliare semi pubblici)
Perché, acquistando quei titoli, ha dato luogo a milioni di posti di lavoro in più? La catena di trasmissione degli effetti funziona in tre passaggi semplici.

Se la Fed si presenta sul mercato come acquirente di Treasury Bond, essa aumenta la domanda di questi titoli pubblici.
Come in ogni mercato, un aumento della domanda fa salire il prezzo. Nel caso dei titoli l’aumento del prezzo ha un effetto particolare: fa scendere il rendimento. Il meccanismo aritmetico è facile da capire.
Immaginiamo un Bot che viene emesso dallo Stato per un valore nominale di 100 euro e una cedola d’interesse del 3%, cioè un rendimento di 3 euro dopo un anno. Lo stesso Bot viene venduto a un’asta (mercato secondario ndr) dove la domanda sale così tanto che gli investitori pagano ben 120 euro per comprarlo. A quel punto il suo rendimento di 3 euro rappresenta un interesse del 2,5%.
Ecco perché si dice che l’interesse si muove ‘inversamente’ al valore di un titolo. Ecco come l’intervento di una banca centrale con massicci acquisti di bond può spostare verso il basso i tassi di interesse.
Il secondo passaggio avviene perché i tassi di interesse che ci riguardano da vicino sono agganciati a quelli dei bond pubblici.

Esempio: in America i mutui per la casa, quindi a trent’anni, hanno interessi che seguono strettamente quelli del Treasury Bond di lungo termine (!!! Ricordatelo ndr). Se la Fed riesce ad abbassare i tassi dei bond, automaticamente accade lo stesso per i mutui-casa.
Terzo passaggio, un esempio concreto. Il calo dei tassi sui mutui c’è davvero, in effetti tante banche americane hanno proposto ai loro clienti di rinegoziare i mutui preesistenti, rifinanziandoli in base alle nuove condizioni in modo che si paghino rate mensili inferiori (sic).
Gli effetti sull’economia reale sono molteplici.
Per chi è in cerca di prima casa, l’accesso al credito è meno costoso.
Infatti il mercato immobiliare USA è stato il primo settore che – dopo il 2009 – ha dato segni di ripresa.

Per chi ha già una casa, il rifinanziamento del mutuo preesistente crea un liquidità aggiuntiva e permette di fare altre spese.
Anche in questo caso l’effetto è percepibile.
C’è poi un altro effetto dello stampare moneta, di tipo indiretto.
Generalmente una banca centrale che aumenta la liquidità tende anche a ‘deprezzare’ la propria valuta, la indebolisce rispetto alle altre monete.
Questa può diventare una vera e propria svalutazione competitiva, che rende meno cari i prodotti nazionali e quindi dà una mano alle esportazioni.
Anche se non lo ha mai detto in modo esplicito, la Fed ha usato anche questo strumento per creare lavoro e assecondare una reindustrializzazione degli USA, una parziale inversione di tendenza dopo tanti decenni di delocalizzazioni che avevano portato a chiudere stabilimenti in America per aprirli in Asia.

E l’Europa? Se ricordiamo alla sua nascita, nel 1999, l’euro scivolò per un certo periodo sotto la parità con dollaro (1 euro valeva 97 cent di dollaro) – (ricordatevi però che l’euro era ancora una moneta ‘virtuale’ ndr).
Proprio mentre l’America usciva dalla crisi per prima, e ricominciava a crescere creando occupazione, l’euro restava ‘forte’ rispetto al dollaro, oscillando attorno, o sopra, quota 1,30 dollari per 1 euro.
L’assurdità si scioglie se il nesso casuale si inverte: l’Europa è affondata più a lungo nella recessione anche perché penalizzata da un cambio troppo forte. (La Svizzera, che aveva stabilito un cambio fisso per impedire una fuoriuscita dai mercati delle sue industrie, ha analizzato la questione, dando all’euro il suo ‘giusto’ valore, e da un cambio 1,20=1, portò la parità 1=1. poi rivista in 1,09=1 ndr).
La forza eccessiva della moneta è meno dibattuta dell’austerity, ma non è meno importante.
Il Giappone ha copiato la ricetta della ripresa americana: politiche keynesiane (90 miliardi di euro in grandi opere) più moneta debole.
La Cina ha navigato cautamente a metà strada fra il dollaro e l’euro, ben guardandosi dal seguire la moneta unica quando era troppo forte.

In questa ‘guerra delle monete’, un perdente sicuro è il settore manifatturiero europeo: da una parte è schiacciato da una domanda interna divenuta asfittica per gli effetti dell’austerity sul potere d’acquisto delle famiglie, dall’altra parte vede insidiate le sue quote di commercio mondiale da grandi potenze che manovrano spregiudicatamente il cambio.
Il mandato istituzionale della BCE lega le mani a Mario Draghi, quand’anche volesse svalutare l’euro.
Il mandato è scritto nei trattati costituzionali dell’Unione, e ricalca l’ossessione antinflazionistica della Bundesbank.

Ma se la politica della Bce non ha la possibilità di rispondere colpo su colpo alle offensive convergenti di Giappone e USA, l’handicap resterà grave per l’industria europea (ad esclusione di quella di alta qualità, meccanica e automobilistica soprattutto, e in minima parte a quella eno-gastronomica, La prima quasi tutta in mano ai tedeschi, la seconda divisa fra francesi e italiani, con i primi molto più abili a promuovere i loro prodotti ndr). “
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