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questa sera vi posto un contributo di un “uomo” al di sopra di ogni sospetto che non è una new entry, parlo di Vittorino Andreoli, di cui nutro una profonda stima per la sua cultura e la sua intelligenza;
sempre tratto dal suo Libro IL DENARO IN TESTA
e dal capitolo
TEMPO DI UTOPIE
un pensiero che non è stato certo espresso a seguito di un terremoto ma che comunque ben si confa anche a queste giornate in cui si discute del denaro e della cosa pubblica, della prevenzione da preferire alla ricostruzione, di cosa sia diventato l’uomo in questo moderno ed esasperato tipo di economia in cui si riesce ad esprimere un concetto meschino che identifica la disgrazia immane, come un volano per l’economia tramite la “ricostruzione” (mancava solo che dicessero che i morti erano un buon affare per le ditte di Onoranze Funebri …): il denaro è veramente una cosa dannata !
Vorrei segnalare subito nel testo una perla che dà vigore ad un pensiero da me espresso recentemente sul valore massimo delle “utopie” … grande Vittorino 😉
e giusta una sua considerazione; Repubblica significa “cosa pubblica” ma per estensione mi piace intenderla come un tipo di società che necessariamente deve mettere gli interessi della collettività al di sopra di quelli dei singoli ma con la difesa strenua degli interessi e dei diritti anche di questi ultimi, fossero anche una sola persona … mi sembra che Andreoli sia della stessa opinione (e questo mi conforta assai);
certo che scorrere FB (ed anche gli articoli di blog correlati), vedere la TV ed i titoli di alcuni giornali e poi leggere queste parole sembra proprio di trasferirsi in un altro mondo, su un altro pianeta, lontano anni luce … sentire queste parole ed accostarle a quelle pronunciate (ed è solo un esempio tra tanti) da Del Rio e dal “servo imenottero” ti lascia sconcertato : possibile che siano appartenenti alla stessa “razza” ???
😦
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“Abbiamo dimostrato in più modo il ruolo nefasto che può avere il denaro, sino alla riduzione della società stessa alle sole logiche del profitto.
Abbiamo indicato il degrado a cui può giungere l’esistenza e criticato gli economisti che, trasformando il denaro nel burattinaio dell’agire umano, hanno dimenticato cos’è la morale.
In un mondo dominato dal denaro e dalle sue logiche, si va verso la catastrofe.
Non è una profezia da Cassandra, ma la semplice e realistica cronaca dei nostri tempi.
Certo si possono tentare strategie di ricostruzione, aggiustamenti e cure sintomatiche.
E’ anche possibile ridare fiato a una società che sembra rallentata, a regime minimo.
Occorre però un pensiero alto, un’analisi profonda e non più settoriale, che voli fino a toccare le utopie, perché quando si è vicini alla catastrofe le utopie assumano grande valore.
Misuro questa società dal grado di malessere che contiene, dalla violenza che esprime, dalla distruttività che emana e sono convinto che il denaro e le sirene dell’economia siano parte in causa.
Ecco perché mi viene in mente la Grecia dell’antichità e la REPUBBLICA di Platone, che aveva affidato ai filosofi la gestione della cosa pubblica.
Era quello un tempo in cui si concepiva l’idea come forma autentica della realtà, superiore alle opinioni individuali.
L’idea di cavallinità contiene tutti i cavalli, ma non ne indica propriamente alcuno.
Così la Repubblica deve servire al singolo, ma anche esserne al di sopra.
I filosofi pensavano dunque alla collettività e a loro spettava suggerire di cosa avessere bisogno tutti gli ateniesi; oggi diremmo l’uomo.
Mi pare che questo compito nel tempo presente spetti in particolare alla scienza del comportamento.
Anche se esiste la filosofia. e ha grandi maestri, è indubbio che la risposta ai bisogni dell’uomo è data dalle psicologie che, tra l’altro, sono parte della filosofia fino alla seconda metà dell’Ottocento, quando a Lipsia è nato il primo laboratorio di psicologia sperimentale diretto da Wihlelm M. Wundt.
I filosofi possono dare una strutturazione organica ai bisogni e dunque formulare una morale generale, ma spetta agli psicologi definire i contenuti.
Il funzionamento di quest’uomo, che è cambiato da quello delle Repubblica di Platone, prevista per una popolazione di circa diecimila cittadini.
Filosofi e psicologi danno (o dovrebbero dare ndr) un contenuto ai principi che guidano il comportamento, avendo come punto di riferimento il singolo uomo e la società, intesa come insieme, come estensione della rete di relazioni interpersonali.
A un livello più basso si pongono le discipline pratiche che devono studiare il rapporto tra risorse disponibili e bisogni dell’uomo, suggerendo quali sono i limiti dello sviluppo.
Esiste un livello ancora inferiore, ma non bisogna pensare a una ‘diminutio’ progressiva, piuttosto a una semplice necessità organizzativa, alla maniera di un’orchestra: i violini non sono affatto più ispirati dei fiati, hanno soltanto un compito differente; del resto è dall’insieme che nasce la sinfonia e persino il timpano è indispensabile, anche se entra in azione solo un paio di volte durante tutta l’esecuzione.
A questo livello inferiore, dunque, vanno inserite le discipline che affrontano bisogni specifici e permettono di creare un ambiente adeguato all’uomo, così come è fatto biologicamente: un essere fragile con i suoi limiti esistenziali, composta da ragione e di sentimenti, che sa amare ma anche distruggere.
Occorre che i progetti siano calibrati su quest’uomo, che non è ideale e spesso non corrisponde alle aspettative.
E’ questo livello delle discipline del particolare, che si occupano di alimentazione, di salute, di cura, di bisogni, di sopravvivenza.
Con una simile organizzazione piramidale, vengono minimizzati i conflitti e si evita di diffondere la logica dell’ ‘homo homini lupus’, parlando invece di gioia di vivere e di felicità.
Anche a proposito di questi sentimenti è possibile costruire una scienza, poiché si tratta di attese e delusioni, di bisogni soddisfatti e di frustrazioni.
E si giunge così finalmente a contatto con il singolo individuo e con i suoi sentimenti.
Nella sua Repubblica Platone non metterebbe più i soldati e gli schiavi, e nemmeno io li pongo nella mia società utopica, che ho diritto di costruire senza disturbare nessuno.
Semmai chiedo venia per qualche incongruenza, ma sono in volo, sto salendo alto e non ho l’esperienza di un’aquila reale e non possiedo nemmeno le piccole ali di un fringuello.
In questa utopia il denaro ha un ruolo importante, credo, perché si tratta di una società, la nostra, che ha bisogno di sviluppo e di organizzazione creativa.
Gli individui devono muoversi in tutto il mondo, con la voglia di fare esperienze e scoprire punti di vista differenti. […]
Ma il denaro non sostituirà né i filosofi né gli psicologi, e gli economisti devono trovare la maniera per permettere agli uomini, così fragili, di vivere senza lotte in uno spazio limitato e dalle risorse finite.
Il denaro è uno strumento, e nemmeno uno dei più rilevanti.
Non può (e non deve ndr) trasformarsi nel vitello d’oro che prende il posto di Yahweh. […]
Il portafoglio è solo uno strumento che facilita la vita dell’uomo, non vale quanto un testo sacro o un’antica pergamena con un segreto sulla saggezza del mondo.
So che può essere anche pericoloso, ma è utile se usato entro i giusti limiti.”
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