Gli Occhi di un Guerriero


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Gli occhi,
la porta dell’anima
il recipiente della verità
l’essenza dell’uomo.

Io guardo negli occhi di un guerriero e
vedo la gloria della nazione.
Un uomo, stà ritto, spalle larghe
sostenendo la storia e l’insita dignità del suo popolo.

Io guardo negli occhi di un guerriero
e capisco l’onore della nazione
la moralità
l’umiltà
la spiritualità
di questo popolo.

Io guardo negli occhi di un guerriero
e vedo il protettore della nazione
la prima e l’ultima linea di difesa
per i bambini e per gli anziani per le donne e i deboli.

Io guardo negli occhi di un guerriero
e vedo la fragilità dell’uomo
vacillare sotto il peso della sua responsabilità
e pur vacillante,
ancora fermo in piedi senza vergogna.

Io guardo negli occhi di un guerriero
e vedo la visione di un uomo
i suoi sogni corrono più veloci
può misurare la sua impaziente andatura.

Io guardo negli occhi di un guerriero
e vedo l’uomo.

~ Canto Pellerossa ~

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tratto dalla pagina FB di   ஜ Gli Indiani D’America: il Popolo ஜ

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Il Carattere della Vecchiaia (parte seconda)


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come preannunciato ieri vi posto la seconda parte della prefazione dello stesso Hilmann al suo libro LA FORZA DEL CARATTERE;
ovviamente il carattere riguarda tutti, giovani e vecchi ma questo testo si occupa di più della seconda categoria;
una riflessione però vorrei fare proprio sull’interscambio generazionale tra giovani ed anziani nel mondo moderno;
nel lontano passato il rapporto era ben delineato nelle società patriarcali o matriarcali ma anche in un passato più recente troviamo ad esempio nei nativi nordamericani un ruolo degli anziani di primissimo piano, degni di considerazione e rispetto; sicuramente costoro avevano “carattere” e saggezza a cui i giovani si inchinavano;
oggi invece gli anziani sono generalmente relegati ai margini, trattati senza il dovuto rispetto e considerati come un peso morto per la società che ha altri obiettivi da perseguire;
a causa poi di una particolare situazione economica (non fortuita) i giovani anzi vedono negli anziani meno vecchi dei rivali e non dei modelli : sono coloro che non lasciano loro i posti di lavoro …

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LA FORZA DEL CARATTERE di James Hillman

prefazione parte seconda …

“[…] Durare, Lasciare, Restare.
Tre parti, tre idee portanti.
Ogni libro è costruito sulle idee, questo libro in particolare.
La capacità di intrattenere idee privandone piacere è sempre stata una delle giustificazioni del fatto di scrivere e di leggere libri e di tenerceli cari.
Il capitolo intitolato ‘Longevità’ esamina i significati più ampi sottinitesi in questa idea, le aspirazioni che la accompagnano, come la si possa estendere al di là delle misure di efficienza biologica e delle aspettative statistiche.
Viene inoltre esaminata l’idea di ‘vecchio’ e perché tale connotazione sia essenziale a ciò che amiamo del carattere di una persona, di un luogo, di un oggetto.
[…]
‘Lasciare’ cerca di mostrare come le disfunzioni della vecchiaia si trasformino in funzioni del carattere.
Gli acciacchi, gli impedimenti e i temuti sintomi degli ultimi anni della vita, cambiano significato.
L’idea di intrattenere durante questa parte del libro, e della vita, è che il carattere impara dal corpo la saggezza.
‘Lasciare’ ricollega la psicologia alla sua prima patria storica, la filosofia.

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Il compito del filosofo, diceva Nietzsche, è quello di *creare valori*.
Oggi, i valori sono spesso liquidati come mere opinioni personali e sono trasformati in dogmi o mercanzie per attirare convertiti o compratori; perciò, scoprendo nella vecchiaia valori duraturi, lo psicologo-filosofo si troverà, come diceva Nietzsche,
*in contraddizione con il suo oggi* (cfr. Al di là del bene e del male).
Tra ‘Lasciare’ e ‘Restare’ ho inserito un breve interludio: ‘La forza della faccia’. Questo excursus sostiene che le facce vecchie sono segnate dal carattere, che la loro bellezza rivela il carattere e che la loro perdurante forza come immagini di intelligenza, autorevolezza. tragedia, coraggio e profondità dell’anima è dovuta al carattere.
L’essenza di queste qualità nella società contemporanea e nelle sue figure pubbliche è dovuta, sosterremo in questa sezione, alla falsificazione della faccia vecchia che ci viene pubblicamente proposta.
‘Restare’, cerca di venire a capo dell’antico detto: ‘Il carattere è il destino’. Perché ciò che resta è la porzione di destino che il carattere unico e irripetibile di ciascuna persona incarna.
Essere unici è essere strani, diversi, atipici, senza uguali in nessun luogo; le eccentricità che per tutta la vita abbiamo cercato di smussare, di conformare alla norma, riemergono nell’ultima parte della vita per comporre l’immagine che resterà.

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Questa parte mette in chiaro le differenze esistenti tra l’enigma del carattere e l’idea astratta del Sé tanto amata dagli psicologi, nonché tra il carattere e l’idea, più popolare, di personalità. che è più adatta, semmai, al fascino delle celebrità e agli interessi della giovinezza.
Un’ulteriore distinzione percorre tutto il libro: la distinzione tra il carattere inteso come struttura morale da inculcare per mezzo di precetti e da sostenere con la forza di volontà e la coercizione, e il carattere inteso come stile estetico di tratti durevoli, quale si esprime in gusti e comportamenti individualizzati. perché ciò che resta dopo che abbiamo lasciato la scena è un’immagine caratteristica, in particolare quella presentata negli ultimi anni, e non già i precetti morali che abbiamo cercato di propugnare sotto l’erroneo nome di ‘carattere’.
L’immagine che rimane di noi, quel modo unico di essere e di fare che lasciamo nella mente di altri, continua ad agire su di loro, nell’aneddotica, nei ricordi, nei sogni; come un modello ideale, come voce guida, come antenato protettivo: una forza potente all’opera in coloro che hanno ancora una vita da vivere.”

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mi ricorda qualcosa …


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tratto dalla pagina FB di   Realtà, inganno e manipolazione

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“Un saggio aveva inventato l’arte di accendere il fuoco.
Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo, davvero molto freddo.
Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco.
La tribù era molto interessata.
Il saggio mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc.
Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli era scomparso.
Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere.
Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione.
Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo, però, per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità.
Così decisero di liberarsene.
Lo avvelenarono, lo crocifissero o quello che volete.
Ora, però, temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta.
Sapete cosa?
Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio.
Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.
L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco.”

(Anthony de Mello)

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