La Cultura ci nutre solo se il Pianeta vive . . . . . e questo dipende solo da noi . . . . . e ricordiamo sempre che …. "anche se non ti occupi di politica, stai sicuro che la politica si occuperà di te …"
Quando sono andato a New York City vestito come un senzatetto, nessuno mi ha notato. Per la prima volta ho sentito come ci si sente a essere un senzatetto. La gente che passava accanto a me, mi guardava come un caduto in disgrazia. Solo una signora è stata così gentile da darmi un po’ di cibo. E’ stata un’esperienza che non dimenticherò mai… Tante volte ci dimentichiamo di quanto siamo fortunati. Non dovremmo darlo per scontato. E se possiamo aiutare qualcuno che ha bisogno, dovremmo farlo. Ecco perché dopo aver vissuto questa breve esperienza, ho girato e ho dato cibo e 100 dollari ad ogni senzatetto che ho visto. Hanno pianto e sono stati riconoscenti. SIATE il cambiamento che vorreste vedere nel mondo! Richard Gere
Ha messo a punto un esame del sangue che individua le cellule malate con 4 o 5 anni di anticipo sulla normale diagnosi. Un test rivoluzionario per la lotta al cancro: «Perché il tempo, nella cura, fa la differenza»
di Mariella Boerci – donnamoderna.com
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Per passione, per testardaggine, ma non solo. «Da medico, non sono mai riuscita ad accettare che il cancro uccidesse un così grande numero di persone». Patrizia Paterlini Bréchot, oncologa, docente di Biologia cellulare e molecolare all’universtità Descartes di Parigi e direttore di un’équipe dell’Inserm (Institut national de la santé et de la recherche medicale), non ricorda una morte che le sia stata indifferente: «Ci sono sguardi di pazienti che ancora oggi non riesco a togliermi dalla testa».
È la ragione per cui, quasi 30 anni fa, ha deciso di diventare ricercatrice. Da allora questa emiliana adottata dalla Francia ha speso tutte le sue energie, la sua intelligenza e anche molto del denaro di famiglia nella guerra contro il cancro. Con un obiettivo: «Arrivare alla fine dell’esistenza e guardarmi allo specchio sapendo che sono riuscita a salvare tante vite». Obiettivo centrato, si direbbe. È frutto del suo lavoro il test Iset (Isolamento per dimensione delle cellule tumorali): una tecnica in grado di diagnosticare un tumore anche 4 o 5 anni prima che si manifesti e quindi di abbattere in modo significativo la mortalità.
Cos’è l’Iset? «Un esame del sangue che riesce a individuare la presenza di cellule neoplastiche circolanti nell’organismo molto prima che il tumore raggiunga una dimensione tale da essere “visibile” con Pet, Tac e risonanza magnetica. Nel caso del cancro al seno, gli studi epidemiologici hanno dimostrato che l’invasione tumorale ha inizio 5-6 anni prima della diagnosi. Un tempo che, nelle cure, può fare la differenza. Purtroppo il test ha ancora un limite: non è in grado di individuare l’organo da cui derivano le cellule malate. Per ora, almeno, perché la ricerca è già in fase avanzata».
Ma non esistono già i “marker” per scoprire il cancro attraverso un prelievo di sangue?«I marker sono molecole che possono essere associate a una neoplasia o alla sua evoluzione, ma che non danno la certezza della diagnosi. Invece le cellule sono l’unità biologica del tumore: isolarne una significa trovare una parte della neoplasia senza il rischio di incorrere in falsi negativi e falsi positivi. Certo, le cellule tumorali circolanti sono rare: una per millilitro, mescolata a 5 miliardi di globuli rossi e a 10 milioni di globuli bianchi. Ma siccome sono più grandi delle altre, per individuarle abbiamo messo a punto un sistema basato sulle dimensioni, a cui segue la diagnosi citopatologica. In pratica, una sorta di pap-test applicato al sangue. In medicina quello è l’esame che ha salvato più vite: da quando è stato introdotto, le morti per tumore al collo dell’utero sono calate drasticamente».
E il suo test che sicurezza garantisce? «Quella di riuscire a individuare una cellula tumorale in 10 millilitri di sangue. Una sicurezza validata da altri scienziati nel mondo e da 42 studi indipendenti su oltre 2.000 pazienti con tumore».
Nella ricerca che usa l’Iset sono stati coinvolti dei malati? «Certo. Fin qui 245, di cui 168 affetti da broncopatia cronica ostruttiva: grandi fumatori a forte rischio di sviluppare un cancro del polmone. In 5 di loro il test ha rilevato cellule tumorali. I noduli sono poi comparsi in un tempo compreso fra 1 e 4 anni: sono stati rimossi chirurgicamente e, a 2 anni dall’intervento, nessuno ha sviluppato recidive. Se si pensa che finora l’87% dei pazienti è morto a 5 anni dalla diagnosi, si può capire quanto forte sia la speranza. In un tumore così letale la speranza di sopravvivenza è legata alla diagnosi precoce, quando la neoplasia si trova allo stadio 1, quello di tutti e 5 i pazienti sottoposti all’Iset. Dopo la divulgazione di questi dati, in Francia il test sta per essere utilizzato su persone già colpite da neoplasia, in modo da individuare con largo anticipo eventuali recidive e intervenire prima che si manifestino. Ma ci sono altri Paesi interessati, compresa l’Italia».
Dall’Italia lei se n’è andata quasi 30 anni fa e non è più tornata. «Ma sono fiera di essere italiana: nella classifiche della produzione scientifica, siamo i ricercatori che pubblicano di più rispetto ai fondi che hanno. Siamo dunque tra i più efficaci al mondo. Io sono partita per la Francia perché volevo fare uno stage di biologia molecolare e nel 1988, in Europa, Parigi era il posto migliore, in particolare il gruppo del professor Christian Bréchot».
Che poi è diventato suo marito. «È successo che il professore si è innamorato della stagista e la stagista si è innamorata del professore… Contro ogni intenzione, perché volevo dedicare tutta me stessa alla ricerca, mi sono sposata e ho avuto 2 figli, che ormai hanno 25 e 23 anni e sono indipendenti. In passato, però, non tutto è stato semplice: da italiana, l’attaccamento alla famiglia era più forte di qualsiasi cosa. Per quello che mi riguarda, l’equilibrio casa-lavoro è più difficile di qualsiasi progetto scientifico. Una sfida senza regole che mette quotidianamente alla prova».
Mi pare che comunque se la sia cavata. «Pare anche me. In fondo, il fatto di avere una professione che coincide con una passione è una fonte di stabilità e di sicurezza. Nei confronti della vita, dei figli, del marito, del mondo».
Lei lavora con suo marito? «Non più. Sono stata per lungo tempo nella sua unità di ricerca ma, quando lui è diventato direttore dell’Inserm, ho fatto un concorso per avere un mio gruppo. L’ho vinto e sono andata per la mia strada».
Nella sua lotta contro il cancro ha usato anche il patrimonio familiare. «Sì, ho costituito una società per sviluppare l’Iset e metterlo a disposizione dei medici. Se avessi aspettato i finanziamenti pubblici, il test non sarebbe ancora arrivato ai pazienti. I brevetti, però, sono di proprietà degli istituti di ricerca. Se nella mia carriera avessi pensato al denaro, a guadagnare dalle scoperte fatte, non dirigerei un laboratorio né insegnerei: farei altro».
Oggi vive tutto questo come una vittoria personale? «No, il progetto è soprattutto una vittoria della ricerca. Nella quale, in particolare, mi ha seguita una collega italiana, Giovanna Vona, che è morta a 35 anni per un tumore al colon. Eroica e magnifica fino alla fine, Giovanna non ha mai voluto smettere, continuando a lavorare con l’apparecchio per iniettare i farmaci nascosto sotto il camice. Per me non se n’è mai andata: questa battaglia per migliorare la vita dei malati di cancro la combattiamo ancora insieme».
Leggendo i quotidiani sembrerebbe che tanti italiani abbiano iniziato ad aver paura dei vaccini.
Secondo alcuni di questi giornali la responsabilità sarebbe anche di certi siti internet che inventerebbero bufale per spaventare gli italiani e convincerli a rinunciare ai vaccini.
Se veramente esistessero siti del genere, occorerebbe prendere provvedimenti.
Ma noi non rientraimo certo in questo gruppo di siti spara bufale perché nel video che segue è il Dott. Stefano Montanari che parla. E dice cose gravissime.
Dopo averlo ascoltato, chiediamoci: come mai uno scoop del genere non interessa i giornalisti dei quotidiani? Come mai i risultati scioccanti di queste analisi non trovano spazio sui giornali che parlano sempre della non pericolosità dei vaccini?
In parole povere: chi è che sta mentendo agli italiani, noi con questo articolo o quelli che difendono le vaccinazioni?
La Siria è una severa maestra. Non solo per quello che riguarda la produzione di caos, ma anche perché è lì che i tracotanti produttori di terrorismo e guerra al terrorismo si sono trovati faccia a faccia col primo competitore serio ricomparso sulla scena: di fronte all’intervento russo la Nato si è fatta piccola piccola, stizzosa e non può che rispondere con esercitazioni che paiono più un lunch belligerante che non un avvertimento a Mosca. Del resto questa “risposta” tesa più a mostrare la vastità di legami dell’alleanza più che a mettere alla prova un’ armata afflitta da obesità per troppi hambuger, era necessaria perché alle opinioni pubbliche occidentali sfuggisse il punto, cioè che la macchina militare russa è molto più efficiente e potente di quanto non si narrasse e che anzi il sistema militar industriale di Mosca teso più ai risultati concreti che non ai profitti e alle commesse del lobbismo, ha riguadagnato molto terreno dai tempi successivi al collasso dell’Urss e che oggi è in netto vantaggio in alcuni settori.
Forse con un’informazione più critica e attenta l’idea di un sistema distorto che oggi produce principalmente denaro avrebbe potuto farsi strada con gli incidenti della Orbital Sciences, primo ma non unico esempio del privato nello spazio, che utilizzava i vecchi propulsori sovietici degli anni ’60, comprati a saldo di magazzino, con il calvario dell’ F35 aereo di assoluta mediocrità le cui commesse vanno avanti solo per la forza delle tangenti e del ricatto, con l’episodio del cacciatorpediniere Donald Cook avvicinatosi alle coste della Crimea più di quanto consentisse la convenzione di Montreux e affrontato da un SU 24 russo che ne accecò il sistema di acquisizione e tiro Aegis. La cosa ebbe anche una coda curiosa e significativa perché quando la nave giunse in un porto rumeno, 27 marinai chiesero il congedo essendosi resi conto che si può rischiare la pelle e che non si tratta solo di mostrare la bandiera contro avversari che non possono nulla.
La Siria non è che una conferma in grande stile: la Russia è in grado di bloccare tutte le comunicazioni Nato, comprese quelle satellitari, in un raggio di 600 km ( vedi qui ) cosa ammessa tra i denti anche dal comandante in capo della Nato Breedlove. In una parola la Russia è avanti nella guerra elettronica. Ma ciò che ci riguarda da vicino è un altro vantaggio in realtà mantenuto fin dai tempi della guerra fredda e riguarda i sistemi di propulsione: i nuovi missili da crociera russi hanno un’ autonomia doppia rispetto a quelli Usa, hanno testate molto più potenti, possono essere lanciati da navi molto, ma molto più piccole, in pratica già da pattugliatori d’altura, come Mosca si è incaricata di farci sapere colpendo le basi dell’Isis dal mar Caspio. E last but no least costano si e no un quinto di quelli americani.
Ora immaginiamo che fine farebbero le basi Nato in Italia, tutte sotto tiro e colpite da missili con testate termobariche, le più potenti prima dell’atomica. Senza voler a tutti i costi esagerare i termini del vantaggio è assolutamente chiara una cosa: che l’evoluzione delle tecnologie belliche ha completamente cambiato il senso e il rischio di una partecipazione passiva e servile alla Nato, cioè al sistema di attacco e difesa degli Usa. Negli anni in cui gli arsenali dell’armata rossa arrugginivano, versare il gravoso obolo a un’alleanza che aveva perso di senso, acconsentire alle “vittoriose” ancorché sanguinose guerre nelle aree più arretrate del pianeta, è parso un affare a rischio zero a parte qualche caduto e alle voragini nell’erario. Ma ora, nella multipolarità le cose sono cambiate, anche rispetto alla vecchia guerra fredda: non si tratta più di della difesa comune, ma di foraggiare i profitti delle industrie belliche Usa anche, anzi soprattutto, a fronte di prodotti non all’altezza, di fungere da territorio di guerra sacrificabile e da appendice destinata ad attrarre lo sforzo militare degli eventuali avversari salvaguardando il più possibile il territorio del padrone.
Con la vicenda siriana la leggenda della totale superiorità occidentale, quella che alla fine ha permesso lo sviluppo del profitto più opaco sui giochi di guerra nella certezza che non esistessero avversari all’altezza, quella che ha dettato le logiche delle guerre infinite, cade come un castello di carte.
Ora sappiamo che c’è un osso duro e che abbiamo la dentiera.
Non lamentiamoci. Dopo tante umiliazioni possiamo vantarci di essere in vetta a una hit parade che annovera Paesi industrializzati ed emergenti: siamo quarti nella classifica dei perdenti. Insomma su ogni bambino che nasce pesa non solo la sua quota personale di debito pubblico, ma anche i circa 430 dollari l’anno che i cittadini del mondo ci rimettono giocando ai videopoker, con le macchinette, partecipando alle lotterie, grattando e perdendo, al casinò reale o virtuale, per un volume complessivo di 24 miliardi di dollari, su un giro d’affari complessivo di 488 miliardi di dollari. In testa alla graduatoria degli sfigati si collocano gli americani, non contenti di aver scommesso sulle bolle immobiliari, con 142,6 miliardi di dollari persi nel 2014, segue la Cina con 95,4 miliardi e al terzo posto, molto distanziato, il Giappone con 29,8 miliardi. L’Italia dunque si piazza al quarto posto per poco, secondo le rilevazioni della società di consulenza britannica H2 Gambling Capital, con 23,9 miliardi di quattrini bruciati ogni anno.
Abbiamo capito che per il governo questo primato è irrinunciabile: così la legge di Stabilità prevede che tra le risorse su cui deve contare il Paese per mettere il segno “più” ci siano i proventi del gioco d’azzardo incrementati da 22 mila nuove installazioni. L’ambizione è sempre quella di far meglio di Berlusconi che si era accontentato di regalare una sanatoria ai biscazzieri e un “premio di produttività” per il 2011, come riconoscimento delle loro performance e dell’elevato “livello di servizio raggiunto”.
Se n’è accorto perfino il Corriere che con uno sdegnato articolo di Stella sottolinea l’incoerenza non sorprendente del croupier di Palazzo Chigi, che da sindaco e poi da segretario di partito si era pronunciato contro la piaga dell’alea. E quindi esprime tutta la riprovazione per le misure in itinere, compreso il rinnovo delle attuali concessioni per i punti di raccolta delle scommesse in scadenza, forse tramite gara, che potrebbe servire a rottamare vecchi patron, accontentandone di nuovi. Interrogandosi sulla deplorevole iniziativa del governo che vuole trarre profitto da quella che, secondo la Consulta Nazionale Antiusura, è diventato negli anni della crisi una delle cause principali dell’indebitamento di famiglie e imprese e imponendosi come una delle principali matrici del sempre maggior ricorso all’usura. Ma dimenticandosi nel suo investigare che per anni e forse anche oggi – magari potrebbe essere un terreno di indagine per giornalisti di punta che hanno fatto fortuna denunciando la “casta – dietro le pimpanti sigle dei signori dell’azzardo c’è di certo la criminalità organizzata, ci sono imprenditori che investono nelle bische, oltre che per il vantaggioso giro d’affari, per allargare il brand dell’evasione e del riciclaggio, ma ci sono stati anche correnti di partito, leader e prestanome per la politica.
E siccome il gioco d’azzardo è indecente, iniquo, infame ma legale, la loro presenza è stata poco pubblicizzata per un’ultima istanza di decenza, molto opaca, ma non certo clandestina, ci voleva poco a indovinare di chi erano “amici” e grandi elettori i Corallo a un tempo famigli di parlamentari del Pdl e di Nitto Santapaola, a svelare i legami tra la Codere e l’Unipol di Consorte.
Insomma quello è un business che può competere con quello della corruzione, con la differenza che uno è largamente impunito l’altro invece è legale, quindi impunibile, anzi encomiabile perché partecipe del cammino verso l’uscita del tunnel.
Peccato che in un tunnel nero, sempre più nero ci sono milioni di italiani: in media, oltre un euro su dieci che le famiglie spendono normalmente è drenato verso qualcuno dei modi di scommettere, puntare, ricercare denaro come “ricompensa” e gratificazione. E che il gioco d’azzardo s’inserisca dunque, potenziandone gli effetti, nel cerchio vizioso della crisi fiscale dello stato, esasperando la riduzione delle entrate pubbliche, esacerbando i “consumi dissipativi”, indirizzando le vittime, tutte appartenenti, come ha rilevano la Commissione Antimafia nella sua ultima relazione sul tema, ai ceti più “deboli”, verso l’usura, quando non addirittura costringendole – proprio come accade con la droga – al proselitismo o a entrare nelle schiere della manovalanza criminale.
E dire che la “promozione” dell’azzardo, che lo Stato sostiene e incrementa, nonostante che i ricavi erariali siano sempre più esigui, malgrado sia ampiamente dimostrato che “in termini di risorse, consuma molto di più di quanto porti alle casse pubbliche ” era nata all’insegna di uno di quegli “equivoci” che hanno dato luogo alle operazioni più disastrose degli ultimi decenni. Il gioco legale e sicuro è stato pubblicizzato come impegno sociale attivato nel 2004 con una serie di investimenti del Monopolio, per “sottrarre spazio alla criminalità che propone clandestinamente scommesse, sale da gioco, slot machine e varie altre forme di azzardo in aperta sfida allo Stato”. Man mano che la marea tossica montava, poche voci si sono alzate a smascherare l’evidente “sinergia tra legale e illegale”, quello che la Consulta prevedeva già nel 2000, l’affermarsi cioè di un “tandem tra il legalizzato e il criminalizzato: il successo delle operazioni di marketing del primo finisce per riflettersi sull’espansione dell’altro, in un’interazione che è già stata rilevata, almeno dalle correnti più critiche del pensiero economico e sociale, per altre forme di “nocività” generatrici di lucro (tabagismo, consumo di stupefacenti)”.
La Corte Costituzionale era stata profetica, salvo l’omettere tra le forme di nocività, quella commistione tra l’apparentemente e diversamente legale e l’esplicitamente criminale che si gioca nel casinò finanziario globale e della quale siamo vittime proprio come se fossimo davanti a una macchinetta truccata che ci farà perdere sempre.
Chiarite alcune cose, preso atto che siamo quello che siamo, e che alcuni cercano di migliorarsi ed altri si accontentano di quello che hanno, di più, sono ‘ammirati’ dalla loro ‘sapiente’ capacità di interpretare la vita e gli altri, procedo nella descrizione della condizione umana intesa come: siamo/vorremmo essere/potremmo essere/ci è dato essere.
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Come sempre, è una questione di scelta personale, oppure dell’abdicazione di se stessi, accontentandosi del’essere quello che si ha.
Capre ! Urla il polemista a gettone, personaggio di un teatro scalcagnato che si rappresenta – ogni santo giorno – dal mefitico video. E cosa fanno le capre? Applaudono !
Io, viceversa, ho scoperto la CAPRA CHE CANTA. Cosa canta ? Canzoni che ci invitano a:
VIVERE SEMPRE SOPRA LA PANCA.
Ve ne trascrivo una:
PERSONE E COSE
Non pensare, osserva! – Ludwig Wittgenstein –
“Con osservare intendo un atteggiamento descrittivo, accettante, non belligerante, che prende atto di quel che è come’è (o che ci sembra essere così), un metterci in relazione, guardando nello stesso tempo -come- la nostra mente lo fa. L’antropologia dell’esperienza ci può aiutare -in tempo reale-, quando, ad esempio, soffriamo se cose e persone sono diverse da come noi vorremmo, aiutandoci ad assumere questa posizione mentale. Se soffriamo, la nostra attenzione è concentrata su qualcosa che -vogliamo cambiare-. e questo ci conferma che sì, siamo esseri umani. Fissiamo di solito in simili casi la nostra attenzione sull’oggetto del nostro malessere, ritenendo che ne sia la causa, e non ci accorgiamo che è lo stesso processo creativo della nostra mente a produrre il malessere: la nostra mente vuole con tutte le sue forze che, mettiamo, la persona x si comporti y e non z, come la vediamo fare, e vuole che la persona x cambi.
I nostri desideri non sono solo pressioni, forzature rispetto al mondo, che-è-com’è e non se ne cura, ma hanno a che fare solo con noi: sono forzature autoreferenziali, che ci forniscono l’energia necessaria per darci da fare e cercare di imporli al mondo. Se ci alleniamo a osservare i processi della mente con accettazione e curiosità per le scoperte che vi faremo, riusciremo anche ad osservare i nostri desideri e a non identificarci con loro. Col risultato immediato di sentirci meglio. Quando soffriamo dimentichiamo facilmente la differenza fondamentale tra cose e persone. Le cose, i videogiochi, ma anche i libri, sono un’alternativa disponibile quando rapportarci con l’altro diventa un problema, quando ci sentiamo in difficoltà nei confronti dei suoi bisogni e desideri. Con un videogioco impongo i miei bisogni (vincere) a una macchina, che per definizione bisogno non ne ha, e quindi mi permette di fare quel che mi pare, senza contrapporsi alla mia volontà. In genere anche i nostri rapporti con gli animali domestici sono un buon sostituto a quelli con gli altri e con i loro desideri imprevedibili. Cose e animali non si contrappongono al nostro forzare il mondo cercando di farlo andare per il nostro verso, non resistono ai nostri desideri con i loro, non come fanno le persone. […] ‘Lì fuori’ cose e persone continueranno a essere come sono, ma noi sentiremo la gioia di occuparci degli strumenti della nostra mente, più che di loro. La nostra mente si occupa per il 90% di processi interni a se stessa, ma quando ce ne accorgeremo ne trarremo un vantaggio – di cui essere consapevoli -. Avremo finalmente un luogo in cui stare in pace davvero, dentro di noi. Possiamo osservare i nostri comportamenti e i pensieri e interpretarli come scelte -possibili-. Ogni scelta attiva un mondo e non un altro. […]
Se non riusciamo ancora a immaginare come potrebbe essere prendere una strada e non un’altra, potremmo perfino immaginare di -farci scegliere- da una strada. E sarà anche questa una scelta, nella misura in cui la accetteremo con tutto il cuore.
L’idea di fare -la scelta giusta- è una pretesa della mente, che si complica inutilmente la vita. Giusto è un giudizio che comporta scenari oggettivi stabili, in sé inesistenti, la scelta -giusta per noi- sarà quella con cui possiamo identificarci, e per la quale siamo pronti a pagare un prezzo”. – Ludovica Scarpa –
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In questo testo, la parola ricorrente, quasi d’ordine, è: scegliere. Certo ! La nostra vita, nella migliore delle ipotesi, è una scelta continua, oppure un farsi scegliere – ma consapevolmente – e non, come succede, lamentandosi continuamente della scelta che ti ha scelto. Nell’operazione mentale della scelta, entrano in gioco e in campo una miriade di dati, vissuti, paure, aspettative, insicurezze, e – molte volte – ci si perde nell’indecisione, annichiliti da una realtà incombente in tutta la sua crudezza.
Allora mi sento di introdurre un altro concetto: lasciarsi fluire, senza resistenze, presentarsi per quello che si è (mente, cuore e sentimenti) senza preoccuparsi del giudizio degli altri e senza – contemporaneamente – giudicare. Essere se stessi ‘integralmente’, senza aspettative esterne a noi, fiduciosi del nostro ‘sentire’ che sarà ascoltato, condiviso o meno, ma che sarà comunque il nostro genuino contributo alla vita e al mondo che ci ospita.
La maggior parte della gente è ridotta sul lastrico da politiche infami, classiste e sadiche, politiche pensate dolosamente per aggravare una crisi che, nelle intenzioni dei nazisti tecnocratici ora al potere in Europa, deve regolare definitivamente i conti contro una “plebe maleodorante” da ridurre all’impotenza. In democrazia però vige la regola “una testa un voto”, per cui- in ossequio al suffragio universale- sembrerebbe impossibile poter riuscire ad impostare pacificamente una sterminio su larga scala come quello pianificato ed attuato in Italia e in Europa nell’ultimo decennio. La parola “sterminio” non va intesa in senso figurato ma in senso letterale. A conti fatti le politiche di austerità hanno già prodotto un numero di malati, depressi e suicidi tipico delle zone di guerra, con punte di malvagità toccate in Grecia degne del peggiore Pol Pot. Quindi bisogna dare ai rappresentanti dell’attuale governance europea il giusto nome: che non è “reazionari”, “conservatori”, “elitari” o “liberisti”; ma “assassini”, “vigliacchi”, “ipocriti”, “sanguinari”, “nazisti” e “miserabili”. La domanda vera però è un’altra: come fanno i nazisti moderni a raccogliere il consenso necessario da usare poi come una clava contro gli stessi cittadini votanti? Con l’imbroglio, il raggiro e la mistificazione elevata a prassi, scienza e sistema. Un qualsiasi disgraziato che vive una esistenza infelice sa di sicuro di essere un disgraziato (a parte i casi- non del tutto infrequenti- di mitomania parossistica recentemente analizzati), anche se non sempre conosce per davvero le cause che lo condannano a vivere concretamente una vita da “disgraziato”. In un mondo normale, non inquinato cioè da un “Grande Fratello” mediatico gestito in maniera sulfurea da una èlite finanziaria e plutocratica, qualunque idiota poveraccio intuirebbe che la causa del suo non aver nulla risiede nel fatto che il suo vicino ha troppo. Come conseguenza di tale sedimentata consapevolezza, un numero crescente di “non garantiti” si sentirebbe perciò in dovere di fare “massa” al fine di bilanciare in senso collettivo una oggettiva condizione di subalternità vissuta a livello individuale. Ecco come e perché nasce “la politica”. La politica ha un senso se protesa verso la realizzazione di una giustizia sociale nemica di un capitalismo sfrenato che produce solo iniquità, alienazione e sfruttamento. Quindi, pensate bene a quello che vi sto dicendo, alla luce della premessa appena fatta, quale sarà l’obiettivo prioritario perseguito dai padroni per garantirsi vita natural duranteprivilegi da caricare sulle spalle degli ultimi? Sarà in primo luogo quello- non di imporre l’applicazione di politiche infami- ma di “uccidere” e delegittimare il ruolo della politica in quanto tale, perché tutti i farabutti di questo mondo sanno che nel silenzio dei poteri pubblici-bene o male espressione della volontà popolare- dominano i poteri privati fondati sul controllo ferreo e dissimulato del denaro e dell’informazione. Per questo, tutti quelli che vogliono spezzare le catene di una schiavitù che manipola le menti, devono smetterla di demonizzare la “politica” e la “spesa pubblica”, indirizzando semmai i rispettivi strali verso le degenerazioni di un sistema finanziario privato tossico e ipertrofico che produce drammi veri, e non solo malcostume. La povertà che attanaglia milioni di italiani non è figlia della “casta”, degli “sprechi”, del “debito pubblico”, dell’eccessiva “spesa pubblica” e della “corruzione”; è figlia invece delle intenzionalità malefiche di un manipolo di oligarchi, possessori di grandi capitali, banche e assicurazioni nonché titolari di giornali e televisioni. Schiavisti che tengono a libro paga un numero consistente di politici e giornalisti usati come pappagalli ammaestrati bravi nell’offrire al popolo soluzioni false per problemi veri. Nessuno può vincere una guerra senza capire neppure chi gliel’ha dichiarata. E chi vuol capire per davvero chi sono i “nemici” deve innanzitutto ascoltarli e analizzarne criticamente le parole. Non è poi così difficile smascherarli. Tutti quelli che continuano ad indicare nella “casta”, gli “sprechi”, il debito pubblico” e la “corruzione” le cause vere del decadimento della nostra società, mentono nell’interesse dell’èlite plutocratica che li ingrassa; o, in alternativa, sono degli idioti. In entrambi i casi non servono e meritano di essere bollati, riconosciuti e trattati quali sicuri “nemici del popolo”.
tratto da Pagina di Il Lupo dagli Occhi rossi lo Spirito e la Carne su FB
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La solitudine più devastante non si avverte quando siamo da soli. Ma quando ci troviamo con altre persone. Persone che ci guardano, ma senza vederci. Che ci sentono, ma senza ascoltarci. O peggio, che ci giudicano, ma senza conoscerci.
Non è che abbiamo poco tempo: ne abbiamo perso molto. La vita ci è stata data lunga a sufficienza, ed anzi in abbondanza per la realizzazione delle cose più grandi, se fosse tutta investita bene; ma quando si disperde nello spreco che se ne fa o nella noncuranza che se ne ha, quando non la si spende per nessuna cosa buona, soltanto sotto la stretta della necessità finale ci accorgiamo che è passata oltre, quella vita di cui non ci siamo resi conto che stava passando.
materia non viva purtroppo … però sono bellissimi e avrebbero tante storie da raccontare … quelle che sussurra l’acqua che li lambisce … quella che le sussurra il vento …
la foto è di un buco nero al centro della galassia NGC 4261, distante 100 milioni di anni luce da noi, nella costellazione della Vergine. In base alla velocità di rotazione del disco che lo circonda, la sua massa è stimata a 1.2 miliardi di masse solari, pur occupando un’area non più grande del Sistema Solare Nella relatività generale, si definisce buco nero (black hole in inglese) una regione dello spaziotempo con un campo gravitazionale così forte e intenso che nulla al suo interno può sfuggire all’esterno, nemmeno la luce.
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Classicamente, questo avviene attorno ad un corpo celeste estremamente denso nel caso in cui tale corpo sia dotato di un’attrazione gravitazionale talmente elevata che la velocità di fuga dalla sua superficie risulti superiore alla velocità della luce. Da un punto di vista relativistico, invece, la deformazione dello spaziotempo dovuta ad una massa così densa è tale che la luce subisce, in una simile situazione limite, un redshift gravitazionale infinito. In altre parole, la luce perde tutta la sua energia cercando di uscire dal buco nero. La superficie limite al di là della quale tali fenomeni avvengono è detta orizzonte degli eventi.
Da questa caratteristica, deriva l’aggettivo “nero”, dal momento che un buco nero non può emettere luce. Dal fatto che nessuna particella può sfuggirgli (nemmeno i fotoni), una volta catturata, risulta invece appropriato il termine “buco”. Un corpo celeste con questa proprietà risulterebbe, quindi, invisibile e la sua presenza potrebbe essere rilevata solo indirettamente, tramite gli effetti della materia che precipita nel suo intenso campo gravitazionale. Il termine “buco nero” è dovuto al fisico John Archibald Wheeler (in precedenza si parlava di dark star o black star).
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riassumendo :
* corpo dotato di un’attrazione gravitazionale
* nessuna particella può sfuggirgli una volta catturata, (risulta appropriato il termine “buco”)
* risulterebbe invisibile e la sua presenza potrebbe essere rilevata solo indirettamente, tramite gli effetti della “materia” che precipita nel suo intenso campo gravitazionale
* limite al di là della quale tali fenomeni avvengono è detta orizzonte degli eventi
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ma … ma stiamo parlando di “astrofisica” oppure di “politica” ????????????
molti politici (sia in Parlamento, sia nelle partecipate, sia negli “Enti inutili”, sia nelle Regioni) corrispondono perfettamente a tale “identikit” :
* hanno una grande “attrazione” per le “mazzette”
* nessuna “mazzetta” sfugge loro una volta giunta nelle loro “vicinanze”
* spesso risultano invisibili e si possono intuire solo per la “sparizione del denaro pubblico” (ma spesso qualche PM li becca, ahah)
* l’orizzonte degli eventi ? lascio a voi “intuire” quale possa essere …