NOI, ESSERI ECCENTRICI E SORPRENDENTI


By Alfredo

Continuo a leggere il testo che vi ho presentato: LA CAPRA CANTA di Ludovica Scarpa. A pag. 50, inizia un capitolo, a mio parere, molto interessante.
Vi trascrivo uno stralcio:

NOI, ESSERI ECCENTRICI E SORPRENDENTI

“Avere a che fare con l’altro, compreso l’altro dentro di noi, è un’inevitabile sorpresa continua.
Malgrado la nostra potenziale empatia, l’altro ci può risultare estraneo, incomprensibile.
In quanto portatore dei suoi desideri (e non dei nostri) è anzi probabile che ci risulti estraneo: come fa ci chiederemo, ad avere questi suoi desideri, così strani, e a non condividere i nostri, che noi sentiamo essere chiari, logici?
I desideri degli altri ci sembrano a volte ‘grilli’, stranezze.
Dato che non li sentiamo in modo immediato (come invece sentiamo i nostri), non li prendiamo sul serio. E la stessa cosa vale per le loro interpretazioni della realtà, i loro giudizi e le loro intenzioni.

Osservare in modo distaccato, sospendendo l’abitudine a dare immediatamente una valutazione, un giudizio, a tutto ciò che osserviamo, è secondo il filosofo indiano Jiddu Krishnamurti la forma più elevata di intelligenza umana. Ed è lo strumento essenziale dell’antropologo.
Osservare inoltre ‘come’ fa, la nostra mente, ad assegnare quei significati che assegna, alla nostra esperienza, e notare che ce ne sono sempre altri a disposizione, si può considerare una specie di salto evolutivo.
Ci rendiamo conto di avere una consapevolezza, e di poter stabilire sempre nuovi livelli, dai quali osserviamo i passi della mente nel produrre i significati che produce, per orientarci nel mondo.
Possiamo vivere più ‘strati’ di osservazione, rispetto a percezioni sia interne che esterne a noi stessi, allenando una sorta di distacco ‘grato’ verso le nostre emozioni, attente assistenti che ci segnalano, momento per momento se possiamo rilassarci e sentirci a nostro agio, o meno.
E notiamo che il disagio, che pur preferiamo non sentire, ci vuole dare una mano.
L’antropologia culturale è la scienza dell’estraneo e il senso di estraneità che viviamo nell’incontro con culture diverse è simile a quello che sentiamo con gli altri più vicini a noi, e che anzi sentiamo a volte in noi stessi.
L’antropologia ci mette a disposizione la possibilità. in contemporanea, di sentire ciò che proviamo, di osservarlo e di ‘sospenderlo’ nel distacco tipico dell’osservazione stessa.
E di fermarci a guardare noi stessi, mentre facciamo queste operazioni mentali.
Lo sviluppo dell’antropologia è collegato al processo dell’emancipazione Illuminista, al superamento sia dello schiavismo sia del riferimento a un’autorità trascendente e divina nel riflettere sulla condizione umana.
Non può esistere una ‘antroponomia’, ma solo un’antropologia, un discorso sull’essere umano, non leggi fisse e matematiche, come quelle che regolano il corso dei pianeti – e infatti esiste una ‘astronomia’ che studia queste leggi, accanto all’astrologia, che ragiona in modo interpretativo sulle presunte qualità degli stessi.

L’antropologia riflette sui modi del suo stesso riflettere ed esiste da quando gli esseri umani ragionano sulla loro esistenza – da ben poco tempo, se mettiamo in relazione i 2500 anni passati dall’epoca dei filosofi greci, di Buddha, di Confucio, di Lao Tze (o Tzu ndr), dei profeti delle tradizioni monoteiste, con le dimensioni temporali di altri avvenimenti assolutamente necessari, perché noi oggi possiamo essere vivi, qui e ora.

La scienza ci dice che il ‘Big Bang’ è avvenuto 13 miliardi di anni fa (ahahah), e se ponessimo questo ‘inizio’ all’ora zero del quadrante di un grande orologio e adesso fosse mezzanotte, il primo atomo si sarebbe formato (con una esplosione di dimensione straordinaria) alle 00,40, la prima galassia alle 01,45, la nostra alle 15,10, il nostro sole verso le 16, qualche minuto dopo. il nostro pianeta, la vita sulla terra sarebbe comparsa verso le 17, l’essere umano verso le 23,59 e stiamo vivendo l’ultimo minuto che dura da circa 40.000 anni.

(E continuate a non avere tempo per leggere Spinoza eh :-))) ndr).
[…]
Questi esperimenti mentali sembrano ridimensionare la nostra importanza, mentre li possiamo usare invece per rendercene conto: ne sono successe di tutti i colori, e da miliardi di anni, ma senza una specie come la nostra, capace di pensarci, nessuno se ne sarebbe mai accorto.
L’evoluzione naturale del nostro cervello si è conclusa circa 40.000 anni fa, quando inizia l’evoluzione culturale (non per tutti ehehe), quella che ha a che fare con l’immaginazione, con i nostri simboli e concetti, non con la biologia del cervello, che in sé, da allora, pare sia rimasta uguale a quella dei nostri lontani antenati.
L’ evoluzione culturale è molto più veloce (forse troppo veloce ndr).
Pensiamo a quante cose sappiamo che non conoscevamo 50 anni fa.
Negli ultimi anni l’evoluzione culturale ha fatto salti maggiori di quelli degli ultimi 2000 anni: e oggi siamo, per certi versi, non esemplari di ‘Homo sapiens sapiens’, ma ‘esseri sapientissimi’, interconnessi a livello mondiale nel mercato globale e nel web.
Ma più sappiamo più ci rendiamo conto di quel che non sappiamo.
Tanto che oggi non solo i filosofi hanno dubbi sulla nostra stessa sapienza.
Siamo dei principianti, come esseri moderni e liberi.
E una caratteristica dei principianti. se ci pensiamo, è l’entusiasmo”.

Sta a voi, ora, leggere con la dovuta attenzione questo ‘bel?’ testo, e tirare le vostre conclusioni.
Io, comme d’habitude, mi spendo, ma, se mi accorgo che non c’è entusiasmo, ma solo una serie di irrisolti – personali, culturali, esistenziali – posso cambiare la ‘mia’ situazione, cambiando una sola consonante, cioè: mi spengo, e buonanotte al secchio… :-)))
Un ‘principiante’ ma non un ingenuo boccalone eh :-)))

By Alfredo

§§§

un testo che condivido in toto e che mi sarebbe piaciuto essere in grado di scriverlo tale e quale …

” si riconosce al pastore la competenza per gestire il gregge in tutti i suoi aspetti, ci sono molti concorrenti, commercianti, agricoltori, fornai, maestri di ginnastica, medici, che pretendono di avere voce in capitolo nell’allevamento degli esseri umani. Come mai? ” (credo lo affermasse Platone)

solo una piccolissima aggiunta: no all’antropocentrismo !!!

Claudio

LA CAPRA CAMPA


By Alfredo

Mi hanno consigliato un libro con un titolo curioso: LA CAPRA CAMPA – Per vivere sempre sopra la panca – scritto da Ludovica Scarpa

docente di Teorie e tecniche di comunicazione presso l’Università Iuav di Venezia e Doktor der Philosphie alla Freie Universitat di Berlino.
Ha ideato anche la prima scuola italiana di competenza sociale.
Cosa ho fatto ? Me lo sono procurato e lo sto leggendo, scoprendo una ‘miniera’ di buoni argomenti da sottoporvi… azz vostri ! :-)))

Sono ai primi capitoli, per me già convincenti.
Ve ne trascrivo, parzialmente, uno, augurandomi che vi sia d’aiuto per meglio comprendere concetti come ‘sicurezza’, ‘cultura’, ‘libertà’, ‘potenzialità’, ‘creatività’, ingredienti presenti nelle nostre vite, ma – ahimé – male interpretati dai più, che riducono il tutto in una indistinta melange che spesso produce solo sterili polemiche, sulla falsariga del concetto sottoculturale dell’io ce l’ho più lungo… e ci siamo capiti. :-)))

UN’ANTROPOLOGIA DELL’ESPERIENZA

“[…] Possiamo vedere nella nostra vita quotidiana un ‘esperimento continuo’ dialogico e aperto ai risultati dell’esperienza, che rinuncia a ogni pretesa di sicurezza: l’esperienza individuale è così difficile da comunicare. […]

La libertà non è una condizione oggettiva, ma uno stato mentale, una disposizione interna che abbiamo nella misura in cui la possiamo immaginare, sceglire e coltivare.
Con la libertà di scelta operiamo una ‘riduzione’, nella nostra esperienza personale, nelle infinite possibilità ancora aperte, fino a concentrarci su un’opzione.
Così stabilizziamo, selezionandolo, il campo ristretto della nostra vita personale, definendo per noi scopi e valori, e una identità che ha questi scopi e valori e non altri.
Libertà e potenzialità sono allora correlate, e con la prima, scegliendo, gestiamo la seconda, disegnamo autolimitazioni: orizzonti di senso e confini in cui ci identifichiamo.
Immaginiamo di prendere in mano una mappa: l’intrico di vie rappresenta la potenzialità, mentre il disegno a matita dei nostri percorsi indica la potenzialità che attiviamo con la libertà di scelta. Camminando si aprono sempre nuove potenzialità, passaggi imprevisti nella mappa, e scopriamo che questa è solo una selezione, una rozza esemplificazione del territorio a disposizione.
A differenza di una mappa di carta, che resta com’è, la mappa della nostra mente è assai più interattiva e cambia, si apre a quel che di volta in volta ci pare possibile, e per non disorientarci produce selezioni grossolanamente semplificative.[…]
La libertà di scelta che ci caratterizza come esseri umani, è allora di per sé un’esperienza che non si lascia cogliere né limitare dal determinismo scientifico, dalla regolarità e prevedibilità che ci auguriamo dalla scienza.[…]
Una recente teoria (Peter Sloterdijk 2009)

caratterizza in modo suggestivo gli esseri umani attraverso il loro bisogno e la loro capacità senza limiti di ‘allenarsi’, e interpreta tutte le culture e le religioni come forme di allenamento e modi di pensare che ci aiutano a gestire la fatica di vivere.
La cultura è il sistema ‘immunitario’ che sostiene il focalizzarci sulle nostre risorse per prendercene cura nella pratica. […]
Le scienze sociali oscillano tra due estremi. considerare i fatti sociali come ‘cose’ oggettive, con leggi da studiare in modo scientifico e ragioni sconosciute agli stessi individui coinvolti, o invece come un tessuto intricato di ‘narrazioni’ dei soggetti, delle loro visioni del mondo e delle loro esperienze.
Si trascura anche che nel primo caso la riflessione si basa sulle interpretazioni e i concetti degli studiosi che se ne occupano: fattori comunque soggettivi e variabili come le loro scelte interpretative, narrazioni speciali mascherate da ‘saggi’.
Abbiamo così i mondo degli specialisti: soggetti che tentano di spiegare i motivi di vari altri soggetti, senza sentirli, trattandoli da oggetti delle loro ricerche.
Una scienza degli esseri umani risponde al bisogno di fornire ragioni e teorie, col senno di poi, a quanto avviene: tentativi di spiegazioni che cercano di prevedere i comportamenti e le loro conseguenze.
Ma spiegare un comportamento con ipotesi scientifiche, immaginazioni ormai istituzionalizzate all’interno di discipline, implica al limite interpretare l’agire della persona come funzione di presunte regole, di automatismi, facendo del comportamento dell’essere umano una funzione necessaria di ‘qualcosa’ di dato, e perde di vista la sua caratteristica principale. la libertà, e cioè il suo vivere in funzione di significati che egli stesso assegna.
[…]

Fin dall’antichità i filosofi hanno contrapposto la nostra sensazione di libertà  alla regolarità delle leggi della natura.
Siamo parte della natura, ma in modo speciale, quasi incompatibile, che ne forza le leggi: e anche queste ultime sono ‘nostri concetti’ e produzioni culturali.
I nostri modi di vedere concatenazioni di cause e effetti sono i ‘nostri’ modi di vedere il mondo, attraverso questi concetti, esistenti in natura solo nelle nostre menti interconnesse.
[…]
Ogni scelta implica gli altri nel suo maturare: pensiamo infatti le interpretazioni del mondo implicite in ogni nostra scelta in un linguaggio che è quel tessuto confortevole di simboli creato nei secoli da generazioni innumerevoli di ‘altri’, chi ci accoglie quando nasciamo in una cultura, l’eredità degli altri che ci aspetta.
Questi simboli sono le parole, ‘parabole’, come quelle che un oggetto che lancio percorre nel cielo: per raggiungere qualcun altro con concetti e immagini mentali, senza bisogno di portarsi dietro le cose di cui parliamo, come fossero peanti valige piene di simboli.
Le parole hanno il potere straordinario di collegare la mente e le emozioni al mondo, che in tutte le sue versioni è sempre un posto in cui sono (e ci sono state) altre menti, che con le loro parole, le loro parabole, creano ‘realtà’ plurali, o tessuti di simboli in cui viviamo.
[…]

Che colore ha la fiducia? Non ne ha: è un concetto, un prodotto della nostra immaginazione. Senza immaginazione tutti questi ingredienti fondamentali per la nostra vita non esisterebbero per noi; la nostra mente è l’organo che crea, immaginandolo, il significato di tutto ciò che esiste per noi e anche ciò che (ancora) non esiste, e il concetto per esprimerlo: la potenzialità.
Se abbiamo a disposizione questo concetto vuol dire che per noi è ‘pensabile’ qualsiasi caratteristica, in modo latente.
Noi esseri umani viviamo in una rete di significati, una rete autoprodotta da noi stessi, che sentiamo il bisogno di confermarci a vicenda.
Possiamo imparare a osservare come la tessiamo, per fare scelte nuove.
Ogni scelta implica gli altri nei suoi risultati: la società stessa consiste nell’insieme di ‘conseguenze impreviste’ delle scelte individuali e collettive, che con la cultura cerchiamo di gestire.

Questa società è l’insieme delle condizioni a cui facciamo riferimento, e che diamo per scontate.
E’ il prodotto di intenzioni e risultati: mentre vediamo (e giudichiamo) i secondi. sentiamo le nostre buone ragioni, ma non quelle degli altri.
Per questo è così facile accusare.
[…]
Con ogni scelta ci ‘apriamo a un futuro’, realizziamo le condizioni di una sua versione oppure di un’altra, e quindi ci apriamo all’imprevedibile, al rischio, visto che (forse) conosciamo gli scopi che vogliamo raggiungere, ma non gli imprevisti e le loro conseguenze perverse, e a volte non ci sono chiari i costi, né chi li pagherà”.

Ho dovuto necessariamente ‘condensare’ perché il capitolo era veramente
lungo, ma, spero, che i concetti siano passati con chiarezza.
Farò seguito, prossimamente, con altri spunti che giudicherò interessanti in questo (nostro?) inesausto dibattito sul senso della vita. Intanto mi permetto di darvi un consiglio: girate al largo da chi cerca di imporre il proprio punto di vista, perdete tempo e energie… sure !

Open mind, forever !!!!

By Alfredo