By Alfredo
oggi voglio trattare il tema della ‘giustizia’ facendovi confrontare la filosofia di Platone, per il quale la giustizia era un valore assoluto, versus chi la considerava e la considera, ancora oggi. una formalità delle leggi.
Platone, per dirimere la controversia, ricorse al mito dell’anello di Gige.
Sto spendendo gli ultimi TALLERI, con la speranza di non averli spesi invano… :-)))
L’ANELLO DI GIGE. LE TENTAZIONI DELL’INVISIBILITA’
“Il tema dell’invisibilità fu affrontato addirittura da Platone, che lo trattò nel secondo libro della REPUBBLICA.
Nei sui dialoghi si alternano infatti narrazioni, dibattiti filosofici e miti, alcuni dei quali fungono da base per esaminare questioni controverse.
E’ il caso del mito di Gige. il pastore che diventa re grazie a un anello magico che rende invisibili.
Gige è un pastore dipendente del re di Lidia.
Un giorno. mentre pascola il suo gregge, scoppia un gran temporale che produce una voragine nel terreno, preso dalla curiosità. Gige discende nella voragine e scopre, con grande meraviglia, un cavallo di bronzo vuoto in cui si può entrare attarverso piccole porte, Sporgendosi da una di esse, scorge all’interno l cadavere di un gigante che ha un anello d’oro in una mano. Se ne impossessa e va via, non immaginando che quell’anello cambierà la sua vita.
Durante una delle riunioni che ogni mese i pastori tengono per aggiornare il re sulle condizioni delle greggi, Gige, inavvertitamente, gira l’anello verso il palmo della mano. In quell’stante, con sua grande sorpresa. diventa invisibile. Riportato l’anello nella posizione di prima, torna visibile. Ripete quei movimenti finchè non ha più dubbi. Eccitato da questa scoperta, mette in atto un piano criminale. Prima si fa accreditare come messo del re per entrare nella sua casa, poi ne seduce la moglie (non sappiamo se da visibile o da invisibile), infine uccide il sovrano prendendo il suo posto.
Glaucone, interlocutore di quel Socrate che è sempre in primo piano nei dialoghi platonici, sfrutta questo mito come esempio per una tesi provocatoria: praticando l’ingiustizia si vive meglio che non seguendo la giustizia.
La prova? Immaginiamo, dice, che esistano due anelli come quello trovato da Gige. Diamone uno a una persona per bene, l’altro a un malfattore.
*Non ci sarebbe, si può supporre, nessuno di tempra così adamantina da preservare nella giustizia e avere cuore di astenersi dalla roba altrui e non stendervi la mano; mentre gli sarebbe lecito di prendere senza paura ciò che volesse e, entrando nelle case, usare con chi volesse, e uccidere… e fare ogni altra cosa, pari a un dio tra gli uomini* (Ibid. 360).
Ogni uomo, è la tesi di Glaucone, è paragonabile a Gige.
Infatti nessuno in cuor suo ama la giustizia, neppure la persona ritenuta per bene. Se ci si astiene dal compiere atti ingiusti, non lo si fa per amore della giustizia, bensì per la pura di essere scoperti e puniti dalla legge.
Dice Glaucone: *Nessuno è giusto volontariamente, ma costrettovi dalla necessità*.
Del resto, insiste, qualsiaisi persona per natura tende a compiere ingiustizia piuttosto che a subirla. La ragione di ciò è che la giustizia, tanto magnificata, non è un bene assoluto ma un patto convenzionale, che costringe a rispettare l’uguaglianza, contrariamente all’istinto naturale degli uomini di sopraffarsi a vicenda.
Ma di una cosa si può star certi: non appena si ha l’occasione di violare le leggi impunemente, ci si distacca da essa per desiderio di guadagno o di qualche azione turpe.
Questa ramanzina di Glaucone, sulla presunta superiorità dell’ingiustizia, risentiva dell’influenza dei cosiddetti sofisti, intellettuali che trasmettevano il loro sapere dietro pagamento. da loro proveniva sia l’idea che la giustizia altro non sia ch ‘l’utilità’ del più forte’, sostenuta da Trasimaco di Calcedonia, interlocutore della REPUBBLICA, sia l’invito a rispettare le leggi solo in presenza di testimoni, ma ad agire senza inibizioni quando non si è osservati da occhi indiscreti. In questo modo la circospezione diventa una virtù, come tra gli Spartani, i quali, secondo la testimonianza del biografo Plutarco, punivano i ladri colti in flagrante non per il furto, ma per la dabbenaggine nel farsi sorprendere.
Glaucone ha ragione a pensarla così?
Egli giunge addirittura a sostenere che colui che mette in atto tutti i mezzi per compiere un’ingiustizia è spesso baciato dalla fortuna, mentre chi si comporta onestamente è spesso soggetto alla sventura.
E’ un dilemma destinato a durare per secoli e riemerge, non a caso, nelle leggende nordiche che danno origine alla saga medievale dei Nibelunghi”.
Tralascio di trascrivere il racconto, chi fosse interessato approfondisca.
Il tema tratta dei rapporti tra Sigfrido e Crimilde, e tra Gunther (fratello di Crimilde) e la tremenda Brunilde.
“Aveva ragione Glaucone quando, a proposito dell’invisibilità, sosteneva che la nobiltà d’animo non paga? Se rispondiamo affermativamente, allora non c’è più opzione morale, non esiste un modo di vivere retto e uno cattivo, e non esiste neppure una distinzione oggettiva tra bene e male. Ma nell’apologia dell’ingiustizia di Glaucone segue un lungo ragionamento di Socrate, il campione di virtù, che esprime al proposito il pensiero di Platone.
Egli non si limita alla tesi scontata, che è migliore la vita dell’uomo che agisce con giustizia indipendentemente dalle costrizioni delle leggi, ma illustra una concezione armonica di essa.
Come occorre un accordi fra le parti dell’anima (la ragione, l’emotività e il desiderio dei sensi), così anche la giustizia sociale implica che ogni classe rispetti le sue competenze senza sconfinare nell’ambito di quelle delle altri classi. Possiamo. dunque, considerare chiusa questa disputa sul valore della giustizia?
Essa è ancora oggi tanto lontana dall’esser conclusa che i più rinomati filosofi della politica non fanno altro, nei loro libri, che interrogarsi sul significato di giustizia e su quale possa essere la sua corretta definizione.
Certo, la soluzione platonica, che fonda la giustizia sul merito, non ha mancato di suscitare qualche perplessità. […]
Bertand Russell,
al proposito, considerava che non serve rapportare il merito di una persona al ruolo che svolge in una società. *Confrontiamo un fornaio e una cantante d’opera. Si potrebbe vivere senza il servizio svolto dalla cantante, ma non senza l’operato del fornaio. Basandoci su questo esempio, potremmo dire che il fornaio assolve a un compito più importante per la comunità; però nessun amante della musica sarebbe d’accordo* (Pensieri, voce ‘Giustizia’).
Si deve allora concludere che le ingiustizie, siano esse di fatto o di diritto, sono congenite ai rapporti sociali? Platone lo negava perché era ottimista.
Ma oggi il suo ottimismo potrebbe essere contestato.
Perlomeno da qualche teorico anticonformista, quale il celebre critico del socialismo Friederich von Hayek:
*E’ un vero dilemma decidere fino a che punto si deve incoraggiare nei giovani l’idea che quando si sforzano veramente riescono, o se non si debba piuttosto enfatizzare il fatto che, inevitabilmente, alcuni poco meritevoli avranno successo, mentre altri meritevoli falliranno* (Il miraggio della giustizia sociale) “.
Trascrivendo, mi tornava in mente la parola ‘coscienza’ (individuale eh), che, se definisce una cosa che veramente esiste, dovrebbe redimere questo, apparentemente inestricabile, dubbio.
Ognuno sia artefice di se stesso, assumendone gli oneri e gli onori. Certo è che di ‘hombres vertical’ in giro se ne vedono pochi eh…
Molti invece hanno trovato l’anello di Gige ahahahah
By Alfredo