By Alfredo
Resto, come argomento, ancora nella vasta tematica del linguaggio, del pensiero che lo genera, nei significati a cui esso è, o dovrebbe, essere legato.
Oggi allora vi intratterrò su Noam Chomsky, personaggio citatissimo, ma “sconosciuto” ai più.
UN TE’ BOLLENTE FA PARLARE UN PICCOLO LORD
Da sempre il linguaggio è oggetto di indagine filosofica: qual’è la sua origine, qual’è la sua natura?
Ma nessun secolo ha visto trionfare la linguistica filosofica come il Novecento.
L’americano Noam Chomsky (1929), linguista , filosofo, e socialista anarchico (negli USA eh) ne è stato uno dei principali protagonisti.
Ha sostenuto che alla base del caos apparente del linguaggio esistono delle matrici mentali che ne spiegano il rapido apprendimento, come avviene nei bambini.
Alcuni suoi discepoli hanno attribuito a questa teoria, nota come ‘grammatica generativa’, la stessa importanza che ha il sistema periodico degli elementi per la chimica.
“Il linguaggio è uno dei più antichi misteri dell’uomo, a partire da un fatto incredibile: pur impiegando un numero limitato di vocaboli, possiamo elaborare una quantità pressoché infinita di frasi.
Chomsky considerò questi enigmi il punto di partenza della sua teoria:
*Un parlante maturo può produrre una frase nuova della propria lingua al momento opportuno e gli altri possono capirlo, sebbene per essi sia ugualmente nuova.
Gran parte della nostra esperienza linguistica… ha che fare con frasi nuove.
La normale padronanza di una lingua comporta non soltanto la capacità di capire un numero indefinito di frasi interamente nuove, ma anche la capacità di identificare le frasi devianti e, nell’occasione, di imporre ad esse un’interpretazione” (cfr. Problemi di teoria linguistica).
Questo stupefacente carattere creativo del linguaggio, per cui parlare non significa ripetere le stesse parole o le stesse frasi a memoria, alla maniera di un computer (il famoso copia-incolla verbale ndr), ma proferire frasi nuove, è ciò che ha messo in difficoltà gli avversari di Chomsky.
Costoro pretendevano di spiegare i prodigi del linguaggio giustificandoli in base alla sola esperienza.
Chomsky, invece, voleva andare al di sotto della superficie. E per farlo, decise di compiere una scelta improntata alla tradizione razionalista: si ispirò cioè alla teoria cartesiana delle idee innate, sostenendo un analogo innatismo linguistico.
Postulò quindi che la mente umana sia strutturata in modo da possedere una grammatica universale inconscia che permette a ogni individuo di generare frasi in una qualsiasi lingua.
E’ superfluo precisare che Chomsky non ha in mente uno smemorato o un distratto, ma un ideale individuo che sappia parlare e ascoltare in modo normale. A questa condizione si può affermare che i bambini, prove clamorose del miracolo del linguaggio, non potrebbero manifestare la loro sorprendente capacità di parlare se non esistesse a priori nella loro mente una certa forma di grammatica.
Ponendo alla base del fenomeno del linguaggio questo fondamento biologico di strutture linguistiche innate, per Chomsky non soltanto è possibile spiegare il mistero della facilità di apprendimento dei bambini, ma si può persino ammettere qualcosa che sembra impossibile, cioè che un bambino sappia parlare prima ancora di aver mai aperto bocca.
Chomsky porta l’esempio di Thomas Macauly, il lord inglese ottocentesco noto come storico e politico.
A differenza di ogni bambino, che impara gradatamente a parlare, il piccolo Lord nella sua infanzia era stato sempre zitto a causa di una timidezza patologica.
Sino a quando un bel giorno (si fa per dire) un’ospite maldestra gli rovesciò addosso un tè bollente.
Di fronte alle ansiose scuse della signora, il piccolo pronunciò le prime parole della sua vita in un elegante inglese: *Grazie signora, l’atroce dolore si è alquanto placato*. L’esempio è brillante, ma siamo di fronte a un bambino normale o a un enfant prodige?
In ogni caso Chomsky ha ragione a rilevare che non si può dare una spiegazione meramente empirica all’apprendimento del linguaggio: *L’idea che una persona abbia un repertorio verbale – una raccolta di frasi che essa produce per abitudine nelle dovute occasioni – è un mito che non corrisponde affatto all’uso della lingua quale praticamente si osserva…
Tali concezioni possono essere valide per gli auguri, per alcune frasi stereotipate e così via, ma danno un’idea del tutto errata dell’uso corrente della lingua* (cfr. La grammatica trasformazionale).
In questo modo Chomsky riprende, oltre che Cartesio, la teoria di Wilhelm von Humboldt, che aveva cercato di fondare le istanze illuministiche con quelle romantiche ponendo alla base del linguaggio un impulso razionale e,
insieme, creativo.
La lingua diceva: *non si può propriamente insegnare, per quanto a prima vista possa apparire il contrario, ma solo suscitare nell’animo; si può quindi soltanto porgere il filo, secondo il quale essa si sviluppa da sé* (cfr. Problemi di teoria linguistica).
Ciò accade perché già all’interno della psiche esiste una forma capace di suscitare istintivamente delle strutture linguistiche.
Chomsky fa suo questo principio di Humboldt, ma lo specifica sostenendo che il linguaggio comprende due distinti livelli. uno inconscio e l’altro esplicito.
Il primo è una struttura profonda, mentre quello del linguaggio parlato è una struttura di superficie.
Il rapporto tra l’inconscio e le strutture consapevoli da esso prodotte, viene detto generativo.
[…]
Eccoci di nuovo di fronte al mistero dell’infinito, esso si è affacciato in maniera enigmatica e angosciante agli esordi del pensiero, dando origine allo sconcertante paradosso di Achille e la tartaruga.
Ci vollero secoli perché quel paradosso si risolvesse con la teoria del calcolo infinitesimale.
Chomsky sembra qui accarezzare l’utopia di scoprire un calcolo infinitesimale che sia in grado di dominare anche le innumerevoli parole e combinazioni di frasi che costituiscono il linguaggio.”
– Pietro Emanuele –
Discutendo con amici, forse anche con voi, asserii che con le parole si può anche “giocare”, con i pensieri no !
E se presterete sempre più attenzione ai linguaggi usati, scoprirete con facilità se sono “generativi” o, più spesso,
“degenerativi” :-)))
By Alfredo