By Alfredo
Di prima mattina, ho scelto il tema da introdurre oggi, sempre utilizzando i TALLERI DI KANT, la cui rilettura mi da un’infinità di spunti per cercare di chiarire, o meglio rischiarare, certi concetti che ho cercato di introdurre, magari in maniera un po’ “caotica”, ma, solo apparentemente, slegati tra di loro.
(…)
Ecco, si tratta di capire come usiamo le parole, il loro significato e la loro significanza.

E’ il tema di oggi !
Per me è in tema che “esploro” da anni, arrivando alla conclusione che il linguaggio, il lessico, oggi non ha più la rilevanza del passato, né tanto meno la profondità e lo spessore del linguaggio filosofico e letterario che ci è pervenuto in eredità.

Troppe persone hanno un vocabolario personale limitatissimo, e rimangono in un recinto verbale o epistolare strapieno di luoghi comuni, banalità, ripetizioni ad orecchio di concetti “alti” senza che ne abbiano capito il significato.

Un gigantesco copia-incolla linguistico che porta, in ultima analisi, ad un analfabetismo emotivo e questo, per mie esperienze di vita, lo riscontro – purtroppo – da tempo, in moltissime persone.
Poi, ci sono i monotematici, i “ricopiatori” che cercano di essere trandy o cool, martellando come fabbri su un “unico” tema che, quasi sempre, non hanno ben capito, o se l’hanno capito lo hanno fatto in maniera superficiale.

(…)
AIACE ? BELLO, BELLISSIMO, ANZI SUBLIME
La più importante estetica dell’antichità, quella di Aristotele, dava per scontato che l’arte esercitasse una funzione benefica nell’ambito della società.
Ma in epoca romana, un autore anonimo, ma certo controcorrente, sostenne che la grandezza di un poeta non stesse nel mettersi al servizio della società, ma nella grandiosità della sua concezione e nella forza del pathos.
E dette a queste qualità il nome di “sublime”, destinato a una straordinaria fortuna a partire dal Settecento.
“Quando un libro o uno spettacolo ci entusiasmano, definirli *belli* ci sembra troppo poco e ricorriamo a parole quali *eccezionale* o *straordinario*.
E se una personea ci affascina usiamo il superlativo: è bellissima, è meravigliosa. Sembra che in tali casi l’aggettivo *bello* sia insufficiente. Esiste un termine adeguato? Nel Settecento, Kant lo individuò in *sublime* e lo contrappose a *bello*.

Per Kant la donna è bella, ma l’uomo è sublime. Ovviamente il giudizio è di uno scapolo impenitente che non impazziva per il gentil sesso.
Altrettanto, il giorno è bello, la notte sublime. Perché? Un uomo che cammina nella notte prova un misto di sgomento e piacere: sgomento per la grandiosità della natura che si manifesta nell’inquietante oscurità; piacere se, ciononostante, si senta intrepido nell’affrontarla.

Per queste ragioni Kant considera il sublime una vera e propria categoria estetica, accanto a quella tradizionale del bello.
Ma già molti secoli prima, con l’Anonimo del Sublime, esso era una categoria stilistica che dava vita a una retorica dell’eroico e del pathos.
Qual’era l’eroe greco che risuciva a sbigottire?
Achille ? Sì e no. Ebbe il merito di portare i Greci alla vittoria, ma la sua figura non era il massimo della virilità. Invece Aiace! Quello sì che era una fiera umana.

I tragici avevano fiutato la differenza fra i due personaggi e si erano guardati bene dal dedicare una tragedia ad Achille. Ma quella su Aiace fu addirittura la prima che Sofocle volle scrivere.
Da eroe senza paura, Aiace preferisce guardare in faccia l’avversario, anche a rischio della vita: *Padre Zeus, libera dalla caligine i figli degli Achei, rendi il sereno, concedi agli occhi di vedere, e poi annientaci, ma alla luce!* (Iliade, XVII, 645-647).
Se si fosse limitato a dire “fammi vincere!” si sarebbe dimostrato un *bell’eroe*, ma gridando *annientami pure* diventa sublime.
Il sublime può scaturire anche dal silenzio. L’eroe sublime non si abbassa a parlare col nemico. Quando scende negli inferi, Ulisse vorrebbe rivolger la parola ad Aiace, ma questi non lo degna neppure di uno sguardo, memore del fatto che, con l’inganno, gli ha sottratto le armi di Achille conquistate col valore.

[…]
Sul sublime del silenzio Aristotele sarebbe stao probabilmente d’accordo.
Ma quando il sublime è trascinato da un pathos prorompente, allora vìola il principio fondamentale che fonda l’arte sull’armonia. Proprio per evitare la sfenatezza della passione, Orazio aveva raccomandato al poeta di contenere per nove anni (!!!) le passioni perché non risultassero smodate.
Chi non ci crede controlli pure: *nonum prematur in annum* (Ars poetica).
Ma la poetessa Saffo non avrebbe aspettato neppure nove giorni prima di effondersi nell’ode alla sua amata, che per l’Anonimo, e non solo per lui, è una pagina straordinaria da raggiungere il sublime.

Ed ecco la tempesta: raramente nella storia della poesia un autore è riuscito a descrivere, contemporaneamente, il turbamento psichico e lo sconvolgimento fisico, come in questi versi:
*Questo mi fa tremare il cuore nel petto
Come ti vedo, non mi viene più la voce,
ma lingua mi si spezza,
e subito un fuoco sottile mi corre sotto la pelle,
e non vedo più con gli occhi,
e mi rombano gli orecchi,
e il sudore scorre,
e un tremore mi prende tutta,
e io divento più verde dell’erba,
e appaio poco lontana da morte*.
(questa è un’altra traduzione … Claudio)
Per l’Anonimo questo è un eccezionale esempio di sublime, proprio perché è il contrario di quella calma commozione che l’estetica di Arstotele richiedeva.
Non a caso, Aristotele definiva questo effetto *catarsi*, che in greco significa liberazione,purificazione da ogni disagio psichico,

(la pioggia purificatrice … Claudio)
Saffo fa l’opposto: invece di sollevare dalle passioni, fa accapponare la pelle.
[…]
Certo, per il lettore non è tranquillo godimento. Ma l’estetica del sublime non è fondata sul piacere, piuttosto sulla sofferenza. A partire da quella di chi scrive. Saffo non canta i suoi amori corrisposti, ma proprio quell’amore che la fa soffrire.
[…]
Non si può gustare l’arte del sublime nè esponendola in una conferenza, né ascoltandola in una sala da concerto. L’Anonimo non prelude certo al sorriso di un Ariosto, ma piuttsoto alla disperazione di un Baudelaire. E, anche se non ha tuttora un nome, spuntando in mezzo alla calma armonia della classicità come un *fiore del male*, si è comunque assicurata la fama”.
Non notate la differenza di stile,di semantica, di cultura, di originalità di uno scritto come questo, e relative citazioni, rispetto ai “pallosissimi” termini – politically correct – attenti a non scontentare nessuno, che sono la conditio sine qua non della comunicazione… ???

E ricordatevi anche che da considerazioni come questa, sono nati movimenti e stili, come Dada, futurismo, scapigliatura, e anche il surrealismo, l’astrattismo, il cubismo e vari generi musicali (poi Fritjof Capra, grande saggista, inserisce tra i suoi ispiratori, Charlie Parker… Come mai??).

Meditate gente, meditate e, come diceva un mio amico, non confondetevi con il noto slogan della birra… :-)))
By Alfredo
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...